Il roccolo di Sant'Alipio. Caccianiga Antonio
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Non era una sollevazione premeditata che la spingeva alla rivoluzione con piani studiati e preconcetti, era l'indignazione unanime, spontanea d'un popolo mite e civile angariato da odiose vessazioni, umiliato nei sentimenti più delicati della sua dignità, offeso nelle sue più sante memorie, risvegliato dall'esempio di Roma risorta, incoraggiato dalle rivoluzioni di Parigi e di Vienna; era un entusiasmo passionato, un'ebbrezza accompagnata da tutti i lirismi della poesia, da tutte le imprudenze dell'ignoranza. Tutti quei popolani avevano avuto un padre devoto a San Marco come sior Antonio, un nonno come Taddeo, che accanto al focolare domestico, aveva le cento volte rammentato ai nipoti le pompe de' suoi tempi, le feste religiose e civili del governo caduto. E tutti avevano detestato le sevizie dell'Austria, e ritenevano come un insulto gli arresti dei più degni cittadini, l'invasione dei croati, e la bandiera gialla e nera che sventolava sulle antenne che rammentavano le glorie veneziane, di Cipro, Candia, e Morea.
In quei giorni febbrili del primo risorgimento pareva che il leone di bronzo agitasse le ali sulla colonna di granito della piazzetta, e il sole che dardeggiava i suoi raggi in quegli occhi lucenti li faceva brillare d'un fuoco scintillante, che pareva precedere un tremendo ruggito. Al solo guardarlo, il popolo si sentiva trascinato al grido d'entusiasmo di Viva San Marco!...
Manin, liberato improvvisamente dal carcere, non ebbe il tempo di rivestirsi completamente cogli abiti che gli recarono gli amici, e venne trasportato in trionfo sulle spalle del popolo, calzato con uno stivale in un piede ed una pantofola nell'altro. Tommaseo uscito a capo scoperto dovette accettare il berretto d'un popolano. La liberazione di Manin è ricordata da una medaglia che rappresenta questa scena, colla iscrizione: — Liberato dal popolo il 17 marzo liberatore del popolo il 22 marzo 1848.
Dopo la presa dell'arsenale, e la capitolazione degli austriaci, i nostri due cadorini, lieti della libertà e desiderosi di rivedere le loro montagne, partirono da Venezia.
Usciti dalle vie tumultuose, ove il popolo faceva gazzarra fra gli evviva alla patria indipendenza entrarono in gondola, e solcarono la calma e silenziosa laguna, che sotto un cielo sereno, e davanti a quegli azzurri orizzonti non pareva destinata alle orribili scene di fuoco e di sangue che dovevano consacrare la sua libertà. A Mestre rividero la Nina la quale appena riconosciuti i padroni li salutò con allegri nitriti, ben felice di lasciare la stalla chiusa per ritornare ai freschi pascoli delle Alpi. Trovarono Treviso nell'esultanza, costituito in governo provvisorio coi suoi bravi ministri, delle finanze, delle pubbliche costruzioni, dell'istruzione e del culto, e perfino col dicastero della guerra e diplomazia, al quale non mancavano altro che gli ambasciatori e i soldati. Rividero con gioja l'ampio letto del Piave, che dietro la corrente delle sue limpide acque portava l'aria fresca del Cadore. Si arrestarono per riposarsi alquanto a Conegliano, ove Tiziano contemplava estatico il ridente panorama dei colli sormontati dai ruderi delle torri medioevali, in fianco al tempio greco di casa Gera, stupendo prospetto che si sostituiva davanti i suoi sguardi alle tetre mura del carcere; e finalmente sulla sera attraversarono Ceneda, e giunsero a Serravalle ove passarono la notte. Al mattino seguente si alzarono per tempo, la Nina riposata e nutrita largamente di biada si mostrava ben disposta d'intraprendere col consueto vigore le salite faticose dei monti. Uscivano dalla stretta gola di Serravalle quando il sole nascente indorava i tabernacoli di Sant'Augusta scaglionati sulla montagna, mentre la valle opposta appariva ancora confusa nell'ombra. La brezza mattutina increspava le acque dei laghetti, e agitava le canne palustri, che mandavano quel lieve bisbiglio che trascina la fantasia a pensieri vaganti nell'infinito, e dispone lo spirito ad una dolce malinconia.
Giunti al lago morto scesero di timonella per rendere meno penosa l'ardua salita alla povera bestia che ansava, e la seguirono a piedi, silenziosi. Tanto il padre che il figlio erano invasi da molteplici pensieri, che le emozioni varie, i tumulti e gli entusiasmi dei giorni trascorsi avevano assopiti, ma che rigermogliavano rigogliosi nel silenzio e nella pace di quelle solitudini montane. Alle amarezze del passato remoto, alle soddisfazioni del presente, succedevano le incertezze dell'avvenire. In tempi di rivoluzione la vita è una continua vicenda di burrasche interrotte da brevi bonaccie. Non si è usciti felicemente da un pericolo che già minacciano nuove peripezie. — Quale sarà l'avvenire?... Sior Antonio vedeva torbido, e temeva rappresaglie e vendette austriache. Egli si rammentava le parole del Consigliere imperiale, che l'Austria non cederebbe mai i suoi domini in Italia, e che sarebbe sempre sostenuta dalla Confederazione germanica, che trovava utile di fissare i suoi confini in casa degli altri. E gli si affacciavano alla mente tutte le difficoltà d'una guerra nazionale, contro potenze sostenute da eserciti regolari, e munite d'armi e materiali che mancavano intieramente all'Italia. E il suo primo entusiasmo per la libertà si attutiva davanti ai nuovi pericoli che sovrastavano al paese, egli vedeva la vita di suo figlio esposta ai rischi d'una probabile difesa della patria, le proprietà violate e manomesse dalla guerra, le famiglie angariate, le seghe minacciate di saccheggi, gli operai dispersi, gli affari incagliati da disordini e disastri.
Tiziano invece sognava placidamente le dolcezze dell'amore e della pace domestica, nella indipendenza, e nella libertà. Egli s'immaginava finito per sempre il dominio straniero, e incominciata per la patria una nuova êra, piena di dignità, di felicità, di ricchezze. E Maria stava in cima de' suoi pensieri, come l'angelo sorridente della nuova fortuna, la meta di tutte le sue aspirazioni, il supremo compenso delle sue pene, delle sue fatiche, la consolazione della sua vita.
Ciascuno guarda l'avvenire colla propria lente, ma l'avvenire nessuno lo vede, e la lente non fa che riprodurre quello che si trova nel cervello del riguardante, cioè le speranze e i sogni della gioventù, o il senno dell'esperienza nell'età più matura.
Così divagando colla fantasia fra mille cose diverse e confuse, costeggiando i monti franosi di Fadalto, i nostri viaggiatori senza quasi avvedersene giunsero a Santa Croce ove si arrestarono per rinfrescare la Nina, e far colazione. Dopo un conveniente riposo risalirono nel loro veicolo e proseguirono la strada in fianco al lago che si stende fino ai colli d'Alpago, alle falde del bosco Cansiglio. Attraversato il Piave a Capodiponte si avviarono verso Longarone, ove fecero un'altra sosta, prima di riprendere la strada per Castellavazzo, e sempre in riva della Piave, e in fianco d'alte montagne raggiunsero il paesello di Termine, ed entrarono finalmente in Cadore.
Perarolo è l'emporio generale del legname cadorino, e presenta il carattere speciale di questa regione alpina, che mostra tutta la sua ricchezza forestale nelle taglie ammonticchiate davanti le chiuse che sbarrano il fiume torrente, e con voce locale si chiamano cidoli. Quando si apre il cidolo le taglie scendono pel torrente ed entrando nei canali artificiali vanno ad alimentare le centotrentadue seghe che sorgono sul Piave da Perarolo a Longarone, e che forniscono in media dai tre ai quattro milioni d'assi all'anno, le quali legate a fasci con cavicchie di faggio, e gettate in acqua, in una specie di bacino di carenaggio, vanno a formare circa 3200 zattere, che galleggiando sul fiume e sulle lagune giungono a Venezia dove vengono spedite ai magazzini della penisola, o caricate sui bastimenti partono per la Sicilia, le Isole Jonie, la Grecia, Malta, Alessandria d'Egitto e di colà sul dorso dei cammelli entrano talora fino nel centro dell'Africa.
A Perarolo molti zatteri, segatini, e menadàs vedendo sior Antonio con suo figlio si fecero loro incontro, plaudendo clamorosamente alla liberazione di Tiziano, e in breve tempo la timonella fu circondata da amici, da conoscenti e da curiosi che udite le novelle di Venezia corsero a propagarle nel paese, e a spiegare le bandiere tricolori che erano già pronte nelle case.