Il roccolo di Sant'Alipio. Caccianiga Antonio
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Finalmente giunti al sommo della salita, vennero salutati da un ultimo applauso, e da un ultimo addio, ed entrarono nel bosco che domina la valle di Caralte appiè di altissimi monti, sul margine d'un profondo burrone, dal quale si ode il cupo mormorìo della Piave che batte le sue onde spumanti nelle pareti di macigno della sua base. Quando ebbero percorso il lungo tratto di via che attraversa i boschi, e s'interna nei prati, e giunsero a quel punto dove la strada esce all'aperto, Tiziano scorgendo Montericco e i ruderi dell'antico castello, sentì che il cuore gli batteva precipitoso, e guardando a quei gruppi d'alberi che gli nascondevano il nido diletto, provava quella beatitudine, che è così bene espressa sui volto ascetico dei santi, che in un'estasi soave travedono il paradiso, nei dipinti dei pittori insigni delle vecchie scuole italiane.
Sul tramonto del sole passavano per Tai, e sull'imbrunire entrarono in Piave, e poterono raggiungere la loro dimora senz'essere veduti da nessuno. Non ebbero nemmeno bisogno di picchiare alla porta. Fido, riconosciuto da lontano il passo della Nina, s'era messo ad abbajare, e saltando all'uscio con indizi evidenti d'impazienza e di gioja domandava che si corresse ad aprire. Bortolo, che dopo l'arresto di Tiziano aveva veduto il cane costantemente malinconico, accovacciato in un angolo della cucina o della stalla, vedendolo colle orecchie tese stare in ascolto e poco dopo saltare in piedi, balzare verso la corte abbajando e agitando la coda, comprese subito ciò che voleva dire la buona bestia, e corse ad aprire. Poco dopo, la timonella coi viaggiatori, entrava nel cortile, e Fido vi saltava dentro, prima che avessero il tempo di discendere, e con dimostrazioni di letizia convulse e rumorose accarezzava i padroni, poi correva tutto intorno alla corte con allegri abbajamenti, come per avvertire quelli di casa, e tutto il vicinato del felice avvenimento, e non finiva più di manifestare in varie forme le ripetute prove della sua immensa contentezza. Intanto la Betta era accorsa col fanale acceso, seguita dalla padrona che s'era gettata nelle braccia del figlio.
I baci, le carezze, le domande e le risposte durarono un bel pezzo mentre che Bortolo conduceva in stalla la Nina, la stropicciava affettuosamente, le lavava gli occhi e la bocca, le apparecchiava un buon letto di paglia, e finalmente tutti entrarono in casa. Era bello trovarsi ancora riuniti intorno a quel santo focolare, da ove erano stati rapiti e divisi dalla violenza di stranieri dominatori che non avevano altro diritto che quello della forza. Era una grande consolazione sedere a quella mensa di famiglia, ove da padre in figlio s'erano succedute parecchie generazioni di galantuomini, che prima di dormire in pace nella tomba, avevano trasmesso nei figli dei loro figli il loro tipo caratteristico, le loro abitudini, la lingua e le storie del paese, gli affetti e le memorie domestiche. E quella sera la cena fu lunga, e i racconti infiniti. Maddalena non poteva saziarsi di contemplare suo figlio, lo trovava patito, sofferente, voleva conoscere i suoi dolori, dividere le ansie della prigione e i pericoli del processo ascoltando il suo racconto, e godeva di udire dalla voce del marito la collera dei Veneziani contro i tedeschi, la loro concordia nel manifestarsi malcontenti e decisi di finirla, l'entusiasmo del popolo, lo sgomento delle truppe, l'audacia fortunata di Manin all'arsenale, la sua fermezza e la sua autorità, quando imponeva a tutti l'ordine, la concordia, la disciplina; e si esaltava ella stessa, quando Tiziano esclamava:
— Ah se il nonno Taddeo avesse udito nuovamente quelle grida di — Viva San Marco! — che avevano risuonato alle sue orecchie al tempo della repubblica!... se avesse assistito all'imbarco dei tedeschi, mentre la bandiera italiana sventolava sulle antenne della piazza!...
La Betta ascoltava in silenzio, rideva e piangeva, Bortolo interrogava, voleva che gli spiegassero minutamente ogni cosa, s'inteneriva o si accendeva di sdegno secondo le impressioni ricevute, e così passarono una gran parte della notte, e non si decisero di andare a letto che quando cascavano tutti dal sonno, e che mancava l'olio alla fiorentina.
Sior Antonio ritornato nella sua camera dopo la lunga assenza, faceva gli elogi della bontà dei padroni, che lo avevano ospitato e consolato con tanta cordialità, descriveva alla Maddalena il lusso del palazzo, le diceva che aveva dormito in un letto da principe, sotto un baldacchino di damasco... poi mettendosi in testa il berretto da notte conchiudeva:
— Dopo tutto questo non vi sono stanze reali, nè letti sontuosi dove si stia meglio della nostra camera, e del nostro letto, e stirandosi le stanche membra sotto la vecchia coperta di lana, si addormentava profondamente.
Il giorno appresso essendosi già sparsa per tutto il Cadore la notizia della partenza delle truppe austriache di Venezia e dalle provincie, e del ritorno dei Larese, la loro dimora fu invasa dai parenti, dagli amici, dai conoscenti, e dai curiosi, avidi di abbracciare i reduci, e di udire le novelle della rivoluzione.
L'Arcidiacono accorse fra i primi a congratularsi con Tiziano per la sua liberazione, ed a ringraziare sior Antonio delle sue lettere. E più tardi si vide comparire anche il Consigliere imperiale con tanto di coccarda italiana sulla bottoniera, col viso atteggiato ad uno sberleffo che voleva essere un sorriso di compiacenza, ma che malgrado lo sforzo non riusciva all'intento. Fra le visite più gradite Tiziano potè abbracciare strettamente il suo caro Isidoro Lorenzi che gli portava i saluti di Maria, e veniva ad invitarlo a passare tutto l'indomani al roccolo di Sant'Alipio.
Tiziano non si fece pregare, e di buon mattino attraversò il bosco dei larici, ed entrò in quel delizioso romitaggio la cui lontananza lo aveva fatto soffrire più di tutto nei carcere di Venezia.
Isidoro era uscito per tempo per predisporre coi suoi amici la convocazione della Comunità Cadorina, e Maria aspettava Tiziano alla finestra. Quando lo vide entrare diede un guizzo, scese precipitosamente la scala, e corse ad incontrarlo. Tiziano la prese per le mani e le depose un bacio sulla fronte; si dissero delle parole confuse dalla commozione pronunciate colle labbra tremanti, e s'avviarono a quel padiglione di verdura che il giovane aveva denominato il nido di Montericco. Il sole brillava nel cielo sereno, l'aria leggiera era pregna d'esalazioni resinose, la Piave sussurrava fra i sassi del suo letto, e si udiva il muggito delle mandre che uscivano dalle cascine per abbeverarsi nel torrente, e un lieve stormire di fronde confondeva tutti quei suoni lontani col canto degli uccelli, col ronzio degl'insetti, e col soave mormorìo delle loro confidenze. Tutte le angoscie passate apparvero a Tiziano come le dolorose impressioni d'un sogno svanito. Quale cambiamento di scena! dalle tetre mura, dalle doppie inferriate, dalla triste solitudine e dall'afa nauseante della prigione, egli era passato rapidamente all'entusiasmo turbinoso d'una rivoluzione popolare, e da quei fragori assordanti, si trovava trasportato come per incanto fra le armonie soavi della natura, davanti l'aspetto ridente delle montagne, delle colline boscose, della vallata pittoresca, nel nido di Montericco accanto a quella bella fanciulla, fra i profumi della terra e delle piante.
L'ebbrezza della libertà, della gioventù, della vita lo tenevano sollevato dalle cose terrene, in un etere splendido, sottile, in un'estasi di delizie sovrumane; e così assorti entrambi in un magico prestigio, rimasero lungamente in silenzio a sentirsi vivere in quella strana esistenza.
Finalmente ruppero il silenzio per raccontarsi le reciproche impressioni dei giorni dolorosi. Essa gli narrò il raccapriccio provato alla notizia dell'arresto, le ansietà di quei giorni pieni di amarezza, le preghiere che aveva fatte al cielo per la sua liberazione, la felicità nell'udire l'annunzio del vicino ritorno. Egli le raccontò i dolorosi pensieri del carcere, le soavi rimembranze del passato che venivano a rendere più desolante la sua prigionia, e a fargli doppiamente sentire la privazione della libertà, la mancanza d'aria e di luce, le ore solitarie passate sul pagliericcio della prigione coi pensiero intento al roccolo di Sant'Alipio, a quel nido di Montericco, veduti da lontano fra le nuvole, come un paradiso antecipato sulla terra, che forse non lo avrebbe mai più consolato nella vita.
E ai lunghi discorsi affettuosi, succedevano nuovi silenzi ancora più eloquenti, e quando la bocca taceva parlavano gli occhi, quell'arcano linguaggio che senza alfabeto scritto, nè segni convenzionali, imprime e scolpisce con indelebili impronte. Così si amavano profondamente, senza aver mai pronunciata una parola d'amore.