Le tigri di Monpracem. Emilio Salgari

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Le tigri di Monpracem - Emilio Salgari

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allora che un migliaio di abitanti, quasi tutti di razza malese e forse duecento bianchi. Avevano appena allora fondata una cittadella alla quale avevano dato il nome di Vittoria, munendola di alcuni fortini per impedire che venisse distrutta dai pirati di Mompracem, che parecchie volte ne avevano devastate le coste. Il resto dell’isola era ricoperto di fitti boschi popolati ancora di tigri, e solo rare fattorie erano state fondate sulle alture o nelle praterie.

      I due prahos, dopo aver costeggiato per alcune miglia l’isola, si cacciarono silenziosamente in un piccolo fiumicello, le cui rive erano coperte da una ricchissima vegetazione, e lo salirono per sei o settecento metri ancorandosi sotto l’oscura ombra di grandi alberi.

      Un incrociatore che avesse battuta la costa, non sarebbe riuscito a scoprirli, né avrebbe mai potuto sospettare la presenza di quei tigrotti, imboscati come le tigri delle Sunderbunds indiane.

      A mezzodì, Sandokan, dopo di aver mandato due uomini alla foce del fiumicello e due altri nelle foreste, per non venire sorpreso, armatosi della sua carabina, sbarcava, seguito da Patan.

      Aveva percorso circa un chilometro inoltrandosi nella fitta foresta, quando si arrestò bruscamente ai piedi di un colossale durion, le cui frutta deliziose, irte di punte durissime, si agitavano sotto i colpi di becco di uno stormo di tucani.

      – Avete veduto qualche uomo? – chiese Patan.

      – No, ascolta – rispose Sandokan.

      Il malese tese l’orecchio e udì un lontano abbaiare.

      – È qualcuno che caccia – disse rialzandosi.

      – Andiamo a vedere.

      Ripresero il cammino cacciandosi sotto le piante di pepe, i cui rami erano carichi di grappoli rossi, sotto gli artocarpi o alberi del pane e gli arenga, fra le cui foglie svolazzavano dei battaglioni di lucertole volanti.

      I latrati del cane si avvicinavano sempre e ben presto i due pirati si trovarono in presenza di un brutto negro, vestito d’un paio di calzoncini rossi e che teneva a guinzaglio un mastino.

      – Dove vai? – gli chiese Sandokan, sbarrandogli la via.

      – Cerco la pista di una tigre – rispose il negro.

      – E chi ti ha dato il permesso di cacciare nei miei boschi?

      – Sono al servizio di lord Guldek.

      – Sta bene! Dimmi ora, schiavo maledetto, hai udito parlare di una fanciulla che si chiama la «Perla di Labuan»?

      – Chi non conosce in quest’isola quella bella creatura? È il buon genio di Labuan che tutti amano e tutti adorano.

      – È bella? – chiese Sandokan, con una viva emozione.

      – Credo che nessuna donna possa eguagliarla. Un forte sussulto agitò la Tigre della Malesia.

      – Dimmi – riprese, dopo un istante di silenzio. – Ove abita?

      – A due chilometri da qui, in mezzo ad una prateria.

      – Basta così; va’ e, se ti preme la vita, non volgerti indietro.

      Gli diede un pugno d’oro e quando il negro fu scomparso si gettò ai piedi di un grande artocarpo, mormorando:

      – Aspettiamo la notte e poi andremo a spiare i dintorni.

      Patan lo imitò, sdraiandosi all’ombra di un arecche ma colla carabina sottomano.

      Dovevano essere le nove pomeridiane, quando un avvenimento inatteso venne ad interrompere la loro aspettativa.

      Un colpo di cannone era echeggiato verso la costa, facendo bruscamente tacere tutti gli uccelli che popolavano i boschi. Sandokan balzò in piedi colla carabina fra le mani, tutto trasfigurato.

      – Un colpo di cannone! – esclamò. – Vieni Patan; vedo del sangue!…

      Si scagliò a balzi di tigre attraverso la foresta, seguito dal malese che, quantunque agile come un cervo, stentava a tenergli dietro.

      TIGRI E LEOPARDI

      In meno di dieci minuti, i due pirati giunsero sulla riva del fiumicello. Tutti i loro uomini erano saliti a bordo dei prakos e stavano abbassando le vele essendo il vento caduto.

      – Cosa succede? – chiese Sandokan, balzando sul ponte.

      – Capitano, siamo assaliti – disse Giro-Batol. – Un incrociatore ci sbarra la via alla foce del fiume.

      – Ah! – disse la Tigre. – Vengono ad assalirmi anche qui questi inglesi? Ebbene tigrotti, impugnate le armi e usciamo in mare. Mostreremo a questi uomini come combattono le tigri di Mompracem!

      – Viva la Tigre! – urlarono i due equipaggi, con terribile entusiasmo. – All’abbordaggio! All’abbordaggio!

      Un istante dopo i due legni scendevano il fiumicello e tre minuti più tardi uscivano in pieno mare.

      A seicento metri dalla costa, un grande vascello, della portata di oltre millecinquecento tonnellate e potentemente armato, navigava a piccolo vapore chiudendo la via dell’ovest.

      Sul suo ponte si udivano rullare i tamburi che chiamavano gli uomini ai posti di combattimento e si udivano i comandi degli ufficiali. Sandokan guardò freddamente quel formidabile avversario e, anziché spaventarsi della sua mole, delle sue numerose artiglierie e del suo equipaggio tre e forse quattro volte più numeroso, tuonò:

      – Tigrotti, ai remi!

      I pirati si precipitarono sotto il ponte mettendo mano ai remi, mentre gli artiglieri puntavano i cannoni e le spingarde.

      – Ora a noi due, vascello maledetto – disse Sandokan, quando vide i prahos filare come frecce sotto la spinta dei remi.

      Subito un getto di fuoco balenò sul ponte dell’incrociatore e una palla di grosso calibro fischiò fra gli alberi del praho.

      – Patan! – gridò Sandokan. – Al tuo cannone!

      Il malese, che era uno dei migliori cannonieri che vantasse la pirateria, diede fuoco al suo pezzo. Il proiettile, che si allontanava fischiando, andò a schiantare l’asta della bandiera.

      Il legno da guerra, invece di rispondere, virò di bordo presentando i sabordi di babordo, dai quali uscivano le estremità di una mezza dozzina di cannoni.

      – Patan non perdere un solo colpo – disse Sandokan, mentre una cannonata rimbombava sul praho di Giro-Batol. – Fracassa gli alberi a quel maledetto, schiantagli le ruote, smontagli i pezzi e quando non avrai più occhio sicuro, fatti uccidere.

      In quell’istante l’incrociatore parve incendiarsi. Un uragano di ferro attraversò l’aria e colpì in pieno i due prahos rasandoli come pontoni. Urla spaventevoli di rabbia e di dolore si alzarono fra i pirati, soffocate da una seconda bordata che mandò sottosopra remiganti, artiglierie ed artiglieri. Ciò fatto il legno da guerra, avvolto fra turbini di fumo nero e bianco, virò di bordo a meno di quattrocento passi dai prahos e si portò un chilometro più lontano, pronto a ricominciare il fuoco. Sandokan, rimasto illeso, ma atterrato da un pennone, si era tosto rialzato.

      – Miserabile! – tuonò egli,

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