I rossi e i neri, vol. 2. Barrili Anton Giulio

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I rossi e i neri, vol. 2 - Barrili Anton Giulio

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letto, ov'egli giaceva, strinse quella mano che pendeva prosciolta sul ruvido copertoio, e recatasela alle labbra, la baciò amorosamente più volte.

      «Al tocco di quelle labbra, tornò in sensi, riaperse gli occhi il moribondo, e vide finalmente, ahi troppo tardi! quella immagine divina. Un'aria di supremo contento gli si diffuse sul volto; la sua mano strinse dolcemente quella di lei; i suoi occhi si affisarono estatici sul bianco viso, sul collo, sugli omeri, e sulla persona tutta quanta di quella gentile, quasi non volessero perdere un lineamento, un contorno, di tanta bellezza. Così guardandola, e palpitando, raggiando verso di lei con tutte le forze stremate dell'anima sua, notò Goffredo le lagrime che le sgorgavano copiose dagli occhi.

      « – Madonna, – diss'egli allora, con un filo di voce, e traendo a sè, come gli veniva fatto, quella maravigliosa persona, – qui, qui, presso a me, ve ne prego, che quelle dolcissime lagrime non vadano perdute!

      « – State di buon animo, messere! – soggiunse ella, accostando la sua alla faccia di Goffredo, per modo che i suoi capelli ricadenti gli sfiorarono le guance e l'alito della sua bocca scese come una divina ambrosia a rinfrescargli le labbra; – Voi risanerete, e la nostra corte udrà ammirata i nuovi versi di un sì gentil trovatore. —

      «A queste parole della contessa di Tripoli, Goffredo crollò malinconicamente la testa sull'origliere.

      « – No, madonna, – ripigliò; – io mi sento morire. Solo la speranza di vedervi una volta, mi ha serbato questo soffio di vita. Addio, madonna; io non mi dolgo ora della morte, ora che vi ho veduta. Il mio labbro ha bevute le vostre lagrime; il mio cuore le porterà nella tomba. —

      «Furono le ultime parole di Goffredo Rudel, che poco stante, felicissimo nella morte, com'era stato infelicissimo in vita, esalava lo spirito tra le braccia della donna adorata. La quale compose la salma di lui in una ricca ed onorevole sepoltura di porfido, su cui fece intagliare alcuni versi in lingua arabica, a ricordo di un così grande amatore.

      «E i versi tutti che Goffredo Rudel aveva composti in lode di lei, fece trascrivere in lettere d'oro e serbò gelosamente con sè. Ma, da quel giorno, mai più la contessa di Tripoli fu veduta con faccia lieta. Visse ancora, ma soltanto per ricordare quel giorno, quell'ora, in cui avea conosciuto, e perduto ad un tempo, il signore di Blaia.

      «Il codice dei trovatori che si conserva a Roma, nella biblioteca Vaticana, racconta che la contessa di Tripoli, come potè farlo liberamente, si chiuse in un monastero. Tutti gli altri cronisti narrano che non tardasse molto a seguir nella tomba l'uomo che era morto d'amore per lei.»

      V

      L'uomo propone e la donna dispone.

      Così finì il racconto di Aloise di Montalto, che, interrotto sul principio dalle gaie considerazioni della brigata, fu poscia, a mano a mano che si avvicinava alla catastrofe, ascoltato con molto raccoglimento da tutti, segnatamente dalle tre dame.

      – Se amassero tutti come Goffredo Rudel! – disse la bianca Maddalena. – Ma, pur troppo, nella vita comune non sarà così; e il suo caso…

      – Il suo caso prova, – interruppe prontamente Aloise, – che gli uomini non sono poi così brutti come le signore donne li dipingono.

      – Non lo nego, – rispose la marchesa Maddalena, – ma il caso è tuttavia dei più strani. —

      Aloise si preparava a rispondere; ma Ginevra, accennando col gesto di voler parlare, gli ruppe il filo delle sue argomentazioni.

      – Io qui non sono dalla tua; – disse Ginevra. – Io so di un caso anche più strano. —

      E così dicendo, ella aveva volto lo sguardo ad Aloise.

      – E quale? – dimandò egli.

      – Quello del signor Aloise, che sa così bene la storia di Goffredo Rudel, da raccontarcela con tanti particolari, e ricorda i suoi versi provenzali e li ha tradotti per giunta. Sareste per caso un dilettante d'anticaglie?

      – Un pochino, signora; – rispose il giovine, cercando di vincere il suo turbamento. – Son sempre vissuto volentieri coi vecchi libri, e se la storia che ne ho cavata non v'è riuscita spiacevole…

      – Che dite voi mai? C'è andata anzi a genio, e ve ne siamo gratissime. Peccato che non sappiate anche quella di Percivalle Doria, che vi pregheremmo di raccontarcela adesso. Ho letto questi due nomi in un libro francese, – soggiunse ella, a mo' di parentesi, – e m'era venuta la curiosità di sapere chi fossero. Il secondo, a giudicarne dal nome, dovrebbe essere un genovese. Spero che voi, così dotto nella materia, vorrete cercarne sui libri, e narrarci di quest'altro tra breve.

      – Anche domani! – rispose Aloise. – Questa sera medesima andrò a scartabellare i miei vecchi amici.

      – Non tanta fretta! – esclamò Ginevra. – Noi leggeremo stasera, se vi piacerà rimanere, quel proverbio di Alfredo de Musset che dicevamo ieri, e che reciteremo sul nostro teatrino rustico, all'aria aperta. Non volete voi che vi diamo una parte? —

      A quel cortese invito di Ginevra, la gioia balenò sugli occhi del giovine. Ma tremò in cuor suo l'amico Pietrasanta, a cui la lettera di Lorenzo Salvani bruciava, stiam per dire, nella tasca della giacca.

      Come vengono le inspirazioni? Gli antichi, per cavarsela dai viluppi psicologici, le facevano discendere senz'altro dal cielo. Per non metterci a nostra volta nel ginepraio, le deriveremo anche noi di lassù, raccontando che dal cielo venne una ispirazione ad Enrico Pietrasanta; sebbene egli, facendo l'atto di grattarsi una certa protuberanza dietro l'orecchio, dimostrasse che gli veniva dal cervello, posto in quel momento a tortura.

      – Voi dicevate dunque, o signora, – entrò egli a dire sollecito, – che vi piacerebbe sapere la vita e i miracoli di Percivalle Doria?

      – Sì, per l'appunto, la vita… e i miracoli, se pure ne ha fatti; – rispose sorridendo la marchesa.

      – Oh, ne ha fatti, ne ha fatti! – soggiunse il Pietrasanta, colla deliberata prontezza di un uomo che, dovendo affrontare un pericolo, si butta disperato innanzi, per non rimanere più oltre perplesso.

      – E li sapete voi?

      – Da capo a fondo.

      – E perchè non dircelo subito?

      – Perchè… perchè volevo anzitutto raccapezzarmi… Ho letto anch'io la mia parte di libri vecchi.

      – Benissimo! – saltò su a dire il Cigàla. – Anche a te, Pietrasanta, s'è dischiusa la vena?

      – Sicuro, e perchè no? Certo, non racconterò così bene come il mio amico Aloise; ma ognuno fa quel che può, e in fin de' conti, meglio poco e male, che nulla.

      – Sentiamola, – disse Ginevra, – sentiamola dunque, la vostra storia!

      – La mia, signora?

      – Sì, quella che sapete voi. Ho detto forse male?

      – Tolga il cielo che io voglia correggervi! – rispose Enrico, che pure avea sentita la botta, e l'aveva per tale. – Voi ci avete le labbra d'oro!

      Questa volta fu Ginevra che s'inchinò, per ringraziar l'oratore.

      – I complimenti del nostro amico Pietrasanta, – ella

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