I rossi e i neri, vol. 2. Barrili Anton Giulio

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I rossi e i neri, vol. 2 - Barrili Anton Giulio

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non ebbe più pace. E certo quel suo insolito e strano amore diventava la favola di tutta la corte d'Inghilterra, se le canzoni che egli scriveva in lode della lontana sua dama, della sconosciuta beltà, destando l'ammirazione universale, non avessero fatto tacere il sarcasmo.»

      – Voi pure ammettete, – interruppe Ginevra, – che fosse strano non poco, questo amore d'udita?

      – Non lo nego; sebbene, a que' tempi, la cosa poteva parere meno bizzarra. Le cronache provenzali ci hanno conservata una tenzone tra due poeti, Gerardo e Peronetto, intorno alla quistione, chi più ami la sua dama, se il presente o l'assente, e chi più possente amore introduca, o il cuore o gli occhi.

      – Questione difficile! – notò il Pietrasanta. – Che ne pensate voi, signora?

      – Io tengo per gli occhi; – rispose arrossendo la Giulia, a cui la dimanda era rivolta.

      – E voi? – chiese il Cigàla, alla Torralba.

      – Pel cuore; – rispose la soave Maddalena.

      – Ed io per tutti e due! – sbruffò il lezioso De' Carli.

      – Ma come fu sciolta la questione, allora? – chiese Ginevra, per dar la parola di bel nuovo al narratore.

      – Non saprei dirvelo. Le cronache raccontano che fu portata innanzi alla corte d'amore di Pierafuoco e di Signa; ma non ci recano la sentenza che ne fu data. So bensì che in quella tenzone poetica, tra molte buone ragioni ed esempi per l'una parte e per l'altra, c'era una strofa che vi traduco così: «Tutti gli uomini di perfetto giudizio conoscono molto bene che il cuore ha signoria sopra gli occhi, e che gli occhi non servono punto nelle cose d'amore, se il cuore non acconsente; laddove, senza gli occhi, il cuore può francamente amare una cosa che giammai non abbia veduta, siccome avvenne al signore di Blaia.»

      – L'esempio non scioglie la questione! – disse Ginevra.

      – È un circolo vizioso! – aggiunse il De' Carli.

      – Ma via, – ripigliò la marchesa, – continuate la vostra storia, signor Aloise, e perdonate le interruzioni troppo frequenti a un uditorio curioso ed attento.

      – «Infiammato sempre più dal desiderio di veder la contessa, Goffredo deliberò di andarsene pellegrino in Terrasanta. Un suo dilettissimo, anch'egli buon trovatore, Bertrando di Alamannone, fu pronto, come suol dirsi, a tenergli bordone, e ambedue fecero il disegno d'imbarcarsi a quella volta. Doleva di quella partenza al Plantageneto, che usò d'ogni suo potere per distogliere il suo protetto da quel faticoso viaggio. Ma nulla valse; e finalmente, ottenuta licenza dal conte, il Rudel monta in nave coll'amico. Eccoli in viaggio, alla scoperta dell'ignota bellezza. Il vento fischia nel sartiame; la tempesta assale il naviglio; il masso di Gibilterra torreggia spaventoso frammezzo alle brume; Goffredo Rudel non ode il fischio del vento; non bada ai marosi che invadono la coperta, e canta dolcemente d'amore. Udite la canzone ch'egli ha composto nel tragitto, temendo di non poter subito parlare alla contessa, anzi d'aversene a tornare con suo estremo dolore, dopo un sì lungo e pericoloso viaggio:

      Irat et dolent m'en partray.

      S'yeu no vey est amour deluench

      Et ne say qu' ouras la veyray,

      Car son trop nostras terras luench.

      «Ma scusate; senza badarvi, la recitavo nel testo provenzale, non rammentando che l'avevo tradotta.

      «Corrucciato, dolente, io partirò,

      Se pria non vegga l'amor mio lontano,

      E non so quando mai lo rivedrò,

      Chè nostre terre son troppo lontano!

      «Quel Dio che quanto viene e va creò,

      Che vita diede a quest'amor lontano,

      Mi dia conforto al cor, perchè pur ho

      Speranza di vederti, amor lontano!

      «Signor, per vero e per leale io dò

      L'amor che porto a lei, così lontano:

      Giacchè per un sol gaudio che n'avrò,

      N'ho mille affanni, tanto son lontano!

      «Già d'altri amori ormai non gioirò,

      Se di te non gioisco, amor lontano;

      Chè donna pia leggiadra esser non so,

      In alcun luogo, prossimo, o lontano!

      «L'amore è stato paragonato ad una lama che, troppo a lungo rinchiusa, irrugginisce e corrode la guaina. Al misero Goffredo, quell'amore fortissimo per una donna ignota, compresso per così lunga stagione nel profondo del cuore, aveva turbate, distrutte, le fonti della vita. I venti contrarii, le stazioni forzate nei porti del Mediterraneo, tutto concorreva ad accrescere i disagi del tragitto; laonde il desiderio di giungere si tramutò in febbre, e colla febbre si svolsero in breve ora i segni dell'interno struggimento di quelle membra affralite. La nave non aveva anche oltrepassata la punta estrema di Sicilia, che già l'infermo non era più in grado di muoversi dal suo giaciglio, e i governatori del legno pensavano di averlo tra pochi giorni a seppellire nei gorghi del mare.

      « – Almeno vivessi io tanto da vederla una volta! – andava ripetendo l'infermo al cortese amico, che passava i giorni e le notti al suo fianco, studiandosi di consolarlo. Veder la contessa e poi morire, era il suo pensiero assiduo, incessante, e, diremo anzi, la sua agonìa.

      «La nave giunse finalmente nelle acque di Soria, in vista di Tripoli. Trascinatosi a stento sul cassero di poppa, Goffredo Rudel salutò le bianche torri della sospirata città, che parevano accostarsi a lui sulla liquida superficie, e non volle smuoversi da quella contemplazione fuorchè per scendere a riva. Ma un tanto sforzo lo aveva stremato; e quando, a gran fatica di braccia amorevoli, calato in uno schifo, fu condotto a terra più morto che vivo, parve necessario portarlo immantinente allo spedale dei pellegrini, dove si credette che in quella notte medesima dovesse render l'anima a Dio.

      – Poveretto! – esclamò la pietosa Torralba.

      – «In tali distrette – proseguì Aloise – Bertrando di Alamannone fu sollecito a recarsi presso il conte di Tripoli. Ma il conte Raimondo non era in città, sibbene ai confini della sua vasta contea, per abboccarsi con un messaggero del Saladino, al quale egli, cristiano, doveva più tardi riuscire di così valido aiuto nella conquista di Gerusalemme. Vide in quella vece la contessa e n'ebbe le più oneste accoglienze che sperar si potesse. E allorquando egli ebbe detto a quella nobile dama com'egli fosse giunto in compagnia del signore di Blaia, la cui fama era pervenuta fino a lei, insieme coi suoi versi d'amore per essa (perchè allora le canzoni dei trovatori correvano il mondo, in quella stessa guisa che oggidì corrono i libri dei più famosi scrittori) e come il gentil trovatore fosse ridotto in fin di vita, ella fu presa da così forte turbamento che la costrinse a sorreggersi sulle braccia delle sue ancelle, per non cadere come corpo morto sul pavimento.

      «La donna che sa d'essere amata, è facilmente pietosa (almeno così dicono): e la contessa di Tripoli sentiva nei canti celebrati di Goffredo Rudel e nella fama che del suo affetto correva da più anni in Europa e sulle spiaggie di Palestina, di essere la più amata tra tutte le donne della cristianità. Epperò, tornata in sè stessa, non volle mettere indugio a vedere il morente, e corse, volò, in compagnia di Bertrando, allo spedale dei pellegrini.

      «Allorquando dalle labbra dell'amico, che era corso innanzi, udì Goffredo che la sospirata donna gli era già tanto vicina, non seppe resistere a quella grande allegrezza, e uscì per tal modo fuori de' sensi, che fu da Bertrando creduto morto senz'altro.

      « – Ahimè, – gridò

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