I rossi e i neri, vol. 2. Barrili Anton Giulio
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«Il primo giorno della mia villeggiatura, vado a salutare la Corte d'amore della marchesa Tullia, e quella tavola di lavagna che sai. Sull'orlo di quella tenera lastra di pietra che cosa trovo? Inciso il mio nome, __Ginevra__. Tutto ciò mi dà molto da fantasticare. Chi è stato? Vo a squadernare l'albo dei visitatori della villa. Son tutti nomi di Francesi, di Tedeschi, d'Inglesi, e di persone ignote. Ma l'incisore del mio nome, dico tra me, ha da essere uno del nostro ceto, e che mi conosca per bene. Ora io non so raccapezzarmi tra i nomi scritti nell'albo; due soli mi tengono dubbiosa, due nomi strani, due nomi d'antichi trovatori, Goffredo Rudel e Percivalle Doria. Piglio lingua dal giardiniere. Il brav'uomo si ricorda della venuta di due gran signori, giovani ambedue; l'uno pallido, biondo e svelto della persona, taciturno e infermiccio in apparenza; l'altro di capel bruno, spigliato nei modi, chiacchierino e sempre in moto. Sono certamente costoro che hanno lasciato quei due nomi nell'albo; il giardiniere ha notato che s'era negli ultimi giorni di febbraio, e sulla pagina c'è appunto scritta la data di quel mese. Essi visitarono la villa per ogni verso; ma, il biondo, che pareva stanco, non era andato più oltre della prateria, e, mentre il compagno scendeva nella grotta, era andato a sedersi presso la tavola di lavagna. Ci siamo, ho detto tra me; l'ignoto incisore è il giovine biondo.
«Ma ciò non bastava ancora; ho cavato le parole di bocca al Pietrasanta, l'amico inseparabile del Montalto, e lì, tra mille chiacchiere sbadatamente fatte, ho potuto sapere che egli era stato, in un tempo non molto lontano, a visitare la nostra villa. Non ho chiesto di più, per non metterlo in sospetto; ma il mio dubbio s'è fatto certezza; il tenue filo della mia logica mi ha guidato a questa scoperta: Aloise di Montalto aveva un segreto, e questo segreto lo ha confidato ad una tavola di lavagna, credendola muta. Ma oramai non parlano anche le tavole?
«Scriva a suo talento, il signorino: cada egli pure ed affoghi nella consuetudine di tutti gli uomini suoi pari. Ahimè, mia bellissima! non ci sono creature perfette quaggiù; salvo te, s'intende, salvo la prediletta, la lontana dagli occhi, ma non dal cuore di Ginevra.»
Di questa lettera, come dell'altre scritte prima e poi alla viscontessa di Roche Huart, come, a farla breve, di tutto ciò che pensasse la bella Ginevra, nulla poteva sapere Aloise. Però, argomenti il lettore come rimanesse sgomentito a quella improvvisa dimanda della marchesa, intorno ai due trovatori. Un fulmine, caduto a ciel sereno, non lo avrebbe scosso più forte. Per un tratto rimase muto; e fu ventura che altri parecchi gli fossero compagni, ai quali la domanda era rivolta come a lui; se no, impacciato come un pulcino nella stoppa, non avrebbe trovato niente da dire, e, quel che è peggio, il rossore lo avrebbe tradito.
Primo a rompere il silenzio fu il Cigàla, che rispose candidamente di non conoscere que' due personaggi. Il piccolo Riario fece una ugual confessione; altri due si strinsero nelle spalle; perfino il De' Carli tartagliò le sue quattro parole di scusa. Il Pietrasanta stette duro, come se la cosa non lo risguardasse punto, e se la cavò mandando una languida occhiata alla marchesa Giulia, che si fece tutta rossa nel volto. Ma i lettori non facciano sospetti temerarii; la marchesa arrossiva facilmente, perchè a ciò la traeva il suo color naturale.
Restava Aloise; ma, in quella che gli altri parlavano, il nostro giovine s'era fatto un cuor da leone. Non si diventa prodi, se non guardando in faccia il pericolo. Cotesto occorre in battaglia, e molti che leggono ne avranno fatto sperimento in sè stessi. Chinar la testa una volta al sibilar delle palle, conduce a chinarla per sempre; mettersi al riparo dietro un ciglione, persuade a non trarne più fuori la testa; e l'occasione, che potrebbe fare dell'uomo un eroe, la occasione se ne va, lasciando il soldato nella sua codarda postura.
Aloise aveva veduto il suo segreto scoperto; ma, tocco sul vivo, aveva pure considerata in un batter d'occhio la sua condizione disagiata, e fatto il proposito di uscirne. Però, a mala pena ebbe il marchese Onofrio tartagliate le sue scuse, volse lo sguardo animoso a Ginevra, e le disse:
– Orbene, se gli amici non la sanno, vedrò di raccontarvela io; ma quella soltanto di Goffredo Rudel, che l'altra del Doria non l'ho presente ora.
– Ci contenteremo di quella; – rispose Ginevra.
– Incomincio, dunque; ma badate, signora, che è lunga.
– Oh, non ve ne date pensiero; il tempo è tutto nostro.
– Aloise, – bisbigliò il Pietrasanta all'amico, – ero venuto per parlarti di un negozio…
– Me ne parlerai più tardi! – interruppe Aloise, con un accento che non isfuggì al fine udito della marchesa Ginevra.
E mentre tutta la nobile brigata si raccoglieva ad udirlo, Aloise, non senza arrossire un tantino, così incominciò la la narrazione:
– «Goffredo Rudel, signore di Blaia, è uno dei primi trovatori di cui facciano menzione le cronache di Linguadoca. Da giovine, amò, o credette di amare, una Guglielmetta di Benagues, viscontessa guascona, la quale doveva essere una gran lusinghiera, e amica del numero tre, poichè le piaceva tenere a bada, nel medesimo tempo, lui Goffredo, Elia Rudel suo cugino, e Savary di Mal Leone.»
– Povera viscontessa! – interruppe Giulia. – Non sareste per caso un po' crudele con lei?
– No, marchesa, imparziale. «Narra la storia che in una conversazione tra la dama e i tre gentiluomini anzidetti, ella sapesse diportarsi per modo che ognuno di loro, uscendo di là, si tenne il prediletto di lei. Infatti, venuti a disputa, si chiarì che a Goffredo avea data una dolcissima occhiata; ad Elia una eloquentissima stretta di mano; a Savary aveva premuto il piede, sotto la tavola. Così narra Nostradamus, ed io lo ripeto, per dimostrarvi in che guisa Goffredo Rudel si allontanasse da lei. Per ventura, quell'amore del giovine per la Guascona, era un capriccio, uno scherzo, non già un affetto profondo…»
– Non amano tutti ad un modo i signori uomini? – chiese argutamente Ginevra.
– La storia di Goffredo Rudel vi dimostrerà il contrario; – soggiunse Aloise, – ed io vado innanzi senza paura. «Fatto esperto da quel primo disinganno, Goffredo Rudel non volle metter più la sua fede fuorchè in nobili cuori. Ora i nobili cuori erano rari al suo tempo tra le donne, e per lunga pezza il signore di Blaia visse soltanto per l'amicizia, nè altro ebbe a celebrare ne' suoi versi che questa. Il signore d'Agoult era l'amico suo, e il castello dell'amico lo trattenne a lungo tra le sue mura ospitali. Ma giunge in Provenza il conte Goffredo Plantageneto, fratello a Riccardo Cuor di leone, re d'Inghilterra, e nella breve dimora fatta al castello di Agoult, s'innamora cosiffattamente del gentile poeta, che lo vuole con sè alla corte d'Inghilterra. Il trovatore si schermisce; ma il signore d'Agoult, liberale com'era, nè volendo rimandare scontento un così potente barone, prega a sua volta l'amico di cedere allo invito del conte Goffredo. Ed ecco i due Goffredi, il principe e il trovatore, in viaggio, alla volta d'Albione.»
– Dell'__avara Albione__! – tartagliò il De' Carli.
– Ma non avara di lusinghe pel nostro provenzale; – soggiunse il Cigàla. – Egli certamente avrà fatto dar volta al cervello di molte __ladies__!
– Può darsi; – soggiunse, continuando, Aloise: – «Quel che avvenisse alle dame inglesi non so; ma posso starvi pagatore che Goffredo Rudel non n'ebbe il cuore commosso, e in quella vece s'accese del più gagliardo affetto che uomo sentisse mai, per una donna la quale egli non aveva mai vista, per la contessa di Tripoli, la quale viveva nella sua corte, sulle spiagge di Soria. Innamorarsi di veduta, è cosa agevole e naturale; innamorarsi d'udita, è cosa strana, che molti stenterebbero a credere. Ma che volete? Udendo dai pellegrini, che tornavano da Terrasanta, narrare i pregi della contessa, celebrare