La Bugia Perfetta. Блейк Пирс
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L’uomo avanzò e diede un calcio al corpo dell’uomo che prima Jessie aveva inseguito sulla spiaggia e che ora si trovava privo di conoscenza, riverso nella sabbia. Quando il corpo rotolò, Jessie si accorse che non era privo di conoscenza. Era morto. Gli era stata tagliata la gola e aveva il petto ricoperto di sangue.
Jessie risollevò lo sguardo, ancora incapace di vedere il volto del suo aguzzino. Di sottofondo sentiva un sommesso ansimare. Guardò nell’angolo della caverna e notò una cosa che prima le era sfuggita. Una ragazza apparentemente adolescente era legata a una sedia, imbavagliata. Era lei che ansimava e sbuffava. I suoi occhi erano spalancati e colmi di terrore.
Anche questo sembrava impossibile. Era proprio come due mesi fa. Anche in quell’occasione una giovane ragazza si era trovata legata a una sedia. Ma anche quel dettaglio era stato tenuto segreto. Eppure l’uomo che le si stava avvicinando pareva conoscere ogni particolare della dinamica. Ora si trovava a un paio di metri da lei, e Jessie poté finalmente vederne il volto. Sussultò.
Era suo padre.
Era impossibile. Lei stessa l’aveva ucciso al termine di un combattimento brutale. Ricordava come gli aveva spaccato il cranio con le gambe. Si era trattato di un impostore? Suo padre era in qualche modo sopravvissuto? La domanda non aveva importanza, ora che l’uomo stava alzando il coltello preparandosi a colpirla.
Jessie cercò di appoggiare meglio i piedi a terra, in modo da poter saltare e dargli un calcio per spingerlo indietro, ma per quanto si allungasse, non riusciva a raggiungere il terreno con le punte dei piedi. Suo padre la guardò con un’espressione di divertita commiserazione.
“Pensavi che avrei fatto lo stesso errore una seconda volta, farfallina?”
Poi, senza aggiungere una parola di più, calò la lama che teneva in mano, puntandola dritta contro il suo cuore. Jessie serrò gli occhi, preparandosi al colpo mortale.
*
Jessie sussultò sentendo una fitta acuta, non al petto ma alla schiena.
Aprì gli occhi e scoprì di non trovarsi nella grotta marina, ma nel suo letto, zuppo di sudore, nel suo appartamento di Los Angeles. Era seduta.
Si voltò a guardare l’orologio e vide che erano le 2:51 del mattino. Il dolore alla schiena non derivava da una recente pugnalata, ma piuttosto dall’intensità della sua ultima sessione di terapia effettuata il giorno precedente. L’indolenzimento generale era invece un ricordo del vero attacco di suo padre otto settimane prima.
Le aveva tagliato la carne subito sotto la spalla destra con una ferita che le era arrivata nei pressi del fegato, falciandola tra muscolo e tendine. L’intervento chirurgico che ne era conseguito aveva richiesto trentasette punti di sutura.
Con la testa ancora frastornata, Jessie si alzò dal letto e si diresse verso il bagno. Una volta arrivata nella stanza, si guardò nello specchio e controllò le sue ferite. Con gli occhi passò in rassegna la cicatrice sul lato sinistro dell’addome, un regalo permanente causato da un colpo di attizzatoio a opera del suo ex marito. Notò anche di sfuggita la cicatrice d’infanzia che le attraversava buona parte della clavicola, un ricordo questa volta del coltello di suo padre.
Si concentrò invece sulle diverse ferite risultanti dall’effettivo combattimento letale che aveva avuto contro suo padre. Le aveva inferto diversi colpi con il coltello, soprattutto attorno alle gambe, lasciandovi cicatrici che non sarebbero mai scomparse e che le avrebbero impedito di indossare un costume da bagno senza rischiare di attirare gli sguardi scioccati di chi l’avesse vista.
Il colpo peggiore l’aveva raggiunta alla coscia destra, dove lui le aveva piantato il coltello nell’ultimo fallito tentativo di liberarsi dalle sue ginocchia che gli stavano schiacciando le tempie. Ora non zoppicava più, ma provava un certo disagio ogni volta che esercitava una certa pressione sulla gamba, vale a dire ogni volta che faceva un passo. Il terapeuta diceva che c’erano stati alcuni danni ai nervi e che anche se il dolore sarebbe diminuito nel giro dei mesi successivi, non sarebbe mai scomparso del tutto.
Nonostante tutto questo, le era stato permesso di tornare al lavoro come profiler forense al Dipartimento di Polizia di Los Angeles. Il suo primo giorno di lavoro sarebbe stato l’indomani, cosa che poteva aiutare a spiegare il motivo dell’incubo molto realistico che aveva appena avuto. Ne aveva fatti molti altri, ma questo sicuramente li batteva tutti.
Jessie si raccolse i capelli in una coda di cavallo e studiò il proprio volto con i suoi penetranti occhi verdi. Fino ad ora non aveva nessuna cicatrice, e le avevano detto che la cosa era piuttosto stupefacente. Così slanciata, alta quasi un metro e ottanta, era stata spesso scambiata per una modella sportiva, anche se dubitava che avrebbe mai potuto fare un lavoro del genere, soprattutto adesso che il suo corpo era così martoriato. Del resto però, per essere una donna di appena trent’anni che ne aveva già passate così tante, aveva l’impressione di reggere meravigliosamente.
Si diresse in cucina, si versò un bicchiere d’acqua e si sedette al tavolino della colazione, rassegnandosi alla possibilità di non riuscire a dormire ancora molto per quella notte. Si era abituata alle notti insonni fin da quando aveva avuto alle calcagna due serial killer che le davano la caccia. Ma ora uno dei due era morto e l’altro aveva apparentemente deciso di lasciarla stare. Quindi, teoricamente, probabilmente sarebbe stata davvero capace di rimettersi in sesto. Ma non sembrava funzionare esattamente così.
In parte, non poteva essere certa al cento per cento che l’altro serial killer che si era interessato così tanto a lei, Bolton Crutchfield, fosse davvero scomparso del tutto. Tutto indicava che le cose stessero così: nessuno l’aveva visto o sentito da quell’ultimo avvistamento otto settimane prima. Non era emersa una sola pista.
E, cosa più importante di tutte, Jessie sapeva di piacergli in un certo modo non-assassinesco. Le innumerevoli conversazioni che aveva avuto con lui nella sua cella prima che fuggisse avevano stabilito una sorta di connessione tra loro. In effetti era stato proprio lui a metterla in guardia contro la minaccia di suo padre in ben due occasioni, mettendo i bastoni tra le ruote al suo stesso mentore. Sembrava essere passato dalla parte di Jessie. Quindi perché non poteva fare anche lei la stessa cosa? Perché non permettersi di passare una buona nottata di sonno ristoratore?
In parte probabilmente c’era la semplice incapacità di lasciar andare tutto definitivamente. E poi era ancora fisicamente acciaccata. Inoltre, tra cinque ore avrebbe ricominciato a lavorare, probabilmente in coppia con il detective Ryan Hernandez, nei confronti del quale provava dei sentimenti complicati, per farla breve.
Sospirando rassegnata, Jessie passò ufficialmente dall’acqua al caffè. Mentre aspettava che si preparasse, si aggirò per l’appartamento, il terzo nel giro degli ultimi due mesi, controllando che tutte le porte e le finestre fossero ben chiuse.
Questo avrebbe dovuto essere il suo nuovo indirizzo semi-permanente, e ne era piuttosto contenta. Dopo aver rimbalzato impotente tra diverse location approvate dal servizio federale statunitense, alla fine le avevano permesso di metter voce in materia di casa. I federali l’avevano quindi aiutata a trovare un posto e l’avevano messo in sicurezza per lei.
L’appartamento si trovava all’interno di un condominio di venti piani a pochi isolati dal suo ultimo vero appartamento nel quartiere alla moda del centro