La Bugia Perfetta. Блейк Пирс
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Il parcheggio era messo in sicurezza per mezzo di un cancello sorvegliato 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. I guardiani del cancello erano tutti poliziotti in pensione. C’era un metal detector incorporato nella porta d’accesso dedicata ai non residenti che entravano nell’edificio. Tutti gli ascensori avevano una doppia chiave e riconoscimento tramite impronta digitale. Ogni piano del complesso, incluse le strutture di lavanderia, palestra e piscina, avevano numerose videocamere di sicurezza. Ogni unità abitativa era dotata di pulsanti di allerta e accesso interfono diretto alla sicurezza. E questa era solo la dotazione dell’edificio.
Oltre a questo c’erano la sua arma di servizio e le ulteriori misure di sicurezza che i federali le avevano permesso di impostare all’interno dell’appartamento e che includevano balconi di sicurezza, vetri antiproiettile alle finestre, porta scorrevole sul patio e porta d’accesso di spessore doppio che era quasi impossibile da scardinare, oltre a videocamere con sensori di movimento e di calore che si potevano accendere e spegnere usando il cellulare.
Infine c’era un’ultima precauzione, la preferita di Jessie. Viveva al tredicesimo piano, anche se, come in molti altri edifici, quel piano non esisteva. Non c’era nessun pulsante nell’ascensore. L’ascensore di servizio poteva fermarsi al piano, ma questo richiedeva la presenza di una guardia di sicurezza per potervi accedere. Per avere accesso al piano in normali circostanze, era necessario fermarsi al dodicesimo o al quattordicesimo e aprire una porta che dal corridoio era contrassegnata come “Ingresso pannello di servizio”.
La porta conduceva effettivamente a una stanzetta con il pannello di servizio. Ma sul retro della stanza si trovava un’altra porta con la scritta ‘magazzino’, per cui era richiesta una chiave speciale. La porta dava accesso a una scala che portava al tredicesimo piano, dove si trovavano otto appartamenti, proprio come agli altri livelli.
Ciascuno di questi appartamenti era occupato da persone che chiaramente tenevano particolarmente alla loro privacy, alla loro sicurezza o a entrambe le cose. Nella settimana che Jessie aveva trascorso lì, aveva incontrato in corridoio una nota attrice della televisione, un avvocato di alta levatura e un controverso presentatore radiofonico.
Avendo fatto le cose a regola d’arte con il divorzio, Jessie non si doveva preoccupare del costo. E grazie ad alcuni sconti dovuti alla sua appartenenza al Dipartimento di Polizia di Los Angeles e all’intervento del Servizio Federale, alla fine la sistemazione non risultava costosa quanto si era immaginata. E ad ogni modo ne valeva la pena, se il risultato era il suo benessere mentale. Ovviamente aveva pensato che anche la sua ultima casa fosse stata un posto sicuro.
La macchinetta del caffè emise il suo segnale acustico e Jessie andò a versarsi una tazza. Mentre preparava la bevanda, aggiungendo panna e zucchero, si chiese se fossero state prese misure speciali per proteggere anche Hannah Dorsey. Hanna era la ragazza di diciassette anni che si era trovata legata alla sedia e imbavagliata quando Xander Thurman l’aveva costretta ad assistere mentre lui assassinava i suoi genitori e quasi uccideva anche Jessie.
I pensieri di Jessie andavano spesso ad Hannah, in parte perché si chiedeva come la ragazza stesse gestendo la sua vita nella famiglia a cui era stata data in affido dopo un trauma del genere. Lei stessa aveva passato qualcosa del genere da ragazza, anche se era stata molto più giovane, appena sei anni d’età. Xander l’aveva legata in un capanno isolato e l’aveva costretta a guardare mentre torturava e uccideva sua madre, la donna che lui stesso aveva sposato.
L’esperienza l’aveva segnata per sempre e Jessie era certa che lo stesso valesse per Hannah. Ovviamente, quello che questa ragazza non sapeva, ciò che aveva la benedizione di ignorare, era che Xander era anche suo padre, il che significava che Jessie era sua sorellastra.
Secondo le autorità, Hannah sapeva di essere stata adottata, ma non aveva idea di quale fosse l’identità dei suoi veri genitori. E dato che Jessie aveva avuto il divieto di incontrarla dopo che avevano condiviso una tale odissea, la ragazza non aveva idea che loro due fossero parenti. Nonostante avesse implorato per poter parlare con la ragazza, promettendo che non avrebbe rivelato nulla riguardo al loro legame, tutti tra le autorità erano stati concordi nel non farle incontrare di nuovo fino a che i medici non avessero ritenuto che Hannah fosse pronta a gestire la cosa.
Nella sua mente, Jessie comprendeva la decisione e la approvava pure. Ma in qualche punto più profondo della sua coscienza, provava una forte urgenza di parlare con la ragazza. Avevano un sacco di cose in comune. Loro padre era un mostro. Le loro madri erano dei misteri. Hannah non aveva mai incontrato la propria, e quella di Jessie era solo un lontano ricordo. E proprio come Xander aveva ucciso i genitori adottivi di Hannah, lo stesso aveva fatto con quelli di Jessie.
Nonostante tutto questo, non erano sole. Ciascuna di loro aveva un legame familiare che poteva offrire sollievo e una certa speranza di recupero. Ciascuna di loro aveva una sorella, una cosa che Jessie non aveva mai creduto possibile. Desiderava tantissimo mettersi in contatto con lei e creare un legame con quell’unico elemento ancora vivente appartenente alla sua stessa linea di sangue.
Eppure, anche se desiderava riunirsi a lei, non poteva che soffermarsi a riflettere.
Conoscermi potrebbe arrecare a questa ragazza più danno che vantaggio?
CAPITOLO DUE
L’uomo era appostato nel corridoio esterno del condominio e si guardava continuamente alle spalle. Era mattina presto e un tizio come lui, grande e grosso come un armadio, afro-americano e con un cappuccino in testa, non poteva che attirare l’attenzione.
Era all’ottavo piano, subito fuori dall’appartamento della donna che sapeva abitare lì. Conosceva anche la sua auto e l’aveva vista parcheggiata nel garage di sotto, quindi era quasi certo che lei si trovasse in casa. Come precauzione, l’uomo bussò delicatamente alla porta.
Non erano neanche le sette del mattino, e lui non voleva svegliare prematuramente i vicini inducendoli ad affacciarsi curiosi per vedere cosa stesse succedendo. Era freddo fuori questa mattina e l’uomo non avrebbe voluto levarsi il cappuccio dalla testa. Ma temendo che avrebbe dato troppo nell’occhio, alla fine se lo tirò giù, esponendo la pelle all’aria pungente.
Non sentendo nessuna risposta al suo bussare, fece un inutile tentativo di aprire la porta, che era certo di trovare chiusa. Lo era. Andò quindi alla finestra accanto. Quella era leggermente aperta. Era dibattuto se provare davvero ad entrare da lì. Dopo un po’ di titubanza, prese la sua decisione, sollevò la finestra e saltò all’interno. Sapeva che chiunque l’avesse visto avrebbe probabilmente chiamato la polizia, ma decise che valeva la pena di correre quel rischio.
Una volta all’interno, si diresse silenziosamente verso la camera da letto. Tutte le luci erano spente e c’era uno strano odore che lui non riusciva a identificare. Mentre si addentrava di più nell’appartamento, si sentì percorrere da uno strano brivido che non aveva niente a che vedere con la temperatura. Raggiunse la porta della camera da letto, ruotò delicatamente la maniglia e sbirciò all’interno.
Lì sul letto c’era la donna che si aspettava di vedere. Sembrava dormire, ma c’era qualcosa di strano. Anche alla tenue luce della mattina, la sua pelle appariva stranamente pallida. E poi sembrava del tutto immobile. Il petto non stava salendo e scendendo nel normale movimento indotto dalla respirazione. Niente di niente. L’uomo entrò nella camera e si avvicinò al letto. L’odore ora era fortissimo, un puzzo di marcio che gli fece lacrimare gli occhi e gli rivoltò lo stomaco.
Avrebbe voluto allungare una mano e toccarla, ma non riuscì a farlo. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma non trovò le parole. Alla fine si girò