È L'Amore Che Ti Trova. Isabelle B. Tremblay
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Quest’ultima non si rese conto di nulla, tanto alcol aveva in corpo. Cominciò allora a spiegarle che circolava una leggenda metropolitana sulla sua nascita. Non l’aveva mai negata. Alcuni avevano spinto la storia al punto di dire che aveva sangue reale. Persino che i suoi antenati discendevano direttamente da una principessa, ma era tutto falso. Candice proveniva da una famiglia modesta di un villaggio costiero dell’Inghilterra. Non aveva studiato a Oxford, ma aveva frequentato corsi di comunicazione per corrispondenza. Aveva incontrato suo marito, Nicolas Campeau, non a un ricevimento mondano dove erano stati entrambi invitati, ma mentre lei serviva le bevande in un bar dove lui era andato a festeggiare la firma di un importante contratto con un cliente del posto. L’aveva sedotta e le aveva promesso che non l’avrebbe mai abbandonata. Lei aveva finito per cedere, ignara che fosse un importante uomo d’affari nel suo paese d’origine. Era felicissima di abbandonare il suo villaggio sperduto e vivere finalmente la vita che aveva sognato. Era partita su due piedi e non immaginava che quell’uomo sarebbe stato ancora suo marito decenni dopo. Il monologo di Candice era presto diventato sconclusionato, così Emma le propose di andarsene e tornare in albergo.
CAPITOLO 4 – L’ASCENSORE
Candice camminava barcollando, sostenuta da Emma che la aiutava ad andare avanti. Quest’ultima si chiese per un attimo in che guaio si fosse cacciata volendo fare la salvatrice. Non aveva osato chiedere soccorso alla sua migliore amica, mandandole un messaggio. Non voleva che Charlotte vedesse il triste spettacolo che il suo capo stava offrendo. La sua amica le aveva già confessato di avere una certa ammirazione per Candice ed Emma non voleva rovinare l’immagine che se ne era fatta. Inoltre, per l’orgoglio di Candice, sapeva che era meglio che nessuno dei suoi dipendenti la vedesse in condizioni così deplorevoli.
Aveva chiamato un taxi per tornare all’albergo, anche se si trovava nelle vicinanze. Non si era persa nessuna fase dell’ubriachezza di Candice. Quest’ultima si era confidata, in modo abbastanza deprimente, sui suoi figli, che non erano ben riusciti. Aveva anche parlato di suo marito che la tradiva, senza nemmeno nasconderlo, con donne più giovani di lui, e aveva una relazione stabile con una delle sue assistenti. Candice temeva che alla fine l’avrebbe lasciata per quella ‘puttana’, come lei l’aveva soprannominata. Emma non aveva immaginato neanche per un secondo che la sua serata sarebbe andata così, a fare la psicologa improvvisata per una ricca donna d’affari. Provava compassione per quella donna che, dietro una spessa corazza, nascondeva una persona ferita e umiliata che aveva avuto una vita difficile, nonostante tutti i soldi che possedeva.
Candice si era mostrata nella sua vera luce. In tutta la sua vulnerabilità e senza andare per il sottile. Emma non poteva che rispettare quell’audacia, anche se incoraggiata dall’alcol. L’alcol era diventato una stampella per lei. Un modo come un altro per sfuggire alla realtà che stava diventando troppo difficile. Sotto quella facciata fredda e forte si nascondeva un’anima sofferente. Una donna con una sete irrimediabile di amore. Chi non aveva bisogno di essere amato? Emma era la prima. Eppure, come quella donna che indossava una maschera per tenere le persone lontane da sé, anche lei faceva tutto il possibile per evitare che gli altri le si avvicinassero troppo. Charlotte era una delle poche che accettava nella sua cerchia ristretta. Non dava nessuna relazione per scontata.
“Qual è il numero della sua stanza?” chiese, entrando nell’ascensore.
“Allora… wait a minute. It’s… ho… I think…”
Candice, appoggiata a Emma, cercò nella borsa e tirò fuori la sua smart card, che le consegnò. Emma constatò che non era al suo stesso piano e compose il numero corretto corrispondente al piano della camera di Candice. La trascinò lungo il corridoio fino al numero 349 e infilò la smart card. Quando aprì la porta notò che sembrava più una suite che la piccola stanza che lei e Charlotte condividevano. Avrebbe dovuto immaginare che, con i suoi mezzi finanziari e il suo status, si concedeva dei lussi.
“È arrivata a destinazione”, le disse piano, spingendo Candice all’interno della camera.
“Grazie mille”, mormorò lei.
“Se la caverà?”
La donna le sorrise, poi la abbracciò premendola contro di sé per alcuni secondi prima di baciarla sulla guancia e allontanarsi. Il suo respiro puzzava di alcol, il che fece fare una smorfia a Emma.
“Va tutto bene, Emma”, rispose infine, trovando la direzione del letto, impeccabilmente fatto, per sdraiarsi vestita.
Emma si avvicinò per assicurarsi un’ultima volta che la donna stesse bene, ma stava già russando. Tirò su una delle coperte e la pose su Candice, che socchiuse gli occhi per alcuni istanti prima di richiuderli, con un sorriso sulle labbra. Andò a mettere la borsa di Candice su una poltrona nell’angolo della stanza. Poi si diresse verso l’uscita e spense la luce lasciando immediatamente l’area. Dopo aver composto il suo numero di piano si appoggiò alla parete. La porta si chiuse e lei chiuse gli occhi finché l’ascensore non si fermò e lasciò entrare Gabriel Jones. Nonostante l’evidente stanchezza sul viso, l’uomo sorrise calorosamente a Emma.
“Le due quebecchesi, giusto?” disse con un sorrisetto agli angoli della bocca che sciolse la giovane donna.
Emma annuì e ricambiò il sorriso. L’uomo si ricordava di lei e le aveva anche rivolto la parola, cosa che non aveva fatto durante il loro breve incontro mattutino. Ne rimase colpita.
“Grande serata?” chiese timidamente sorridendogli.
“Sì. Chi avrebbe mai detto che un seminario potesse essere ancora più estenuante che fare ventiquattro ore al pronto soccorso?” reagì lui in tono ironico.
“Lei è un medico?”
Le stava per rispondere quando l’ascensore fece uno strano rumore e si fermò improvvisamente durante la discesa. Emma fu proiettata, suo malgrado, verso Gabriel e lo spinse involontariamente contro la parete alla sua sinistra. Farfugliò delle scuse, annusando en passant il profumo fresco e vivo che emanava, piacevolissimo alle narici. Il suo odore fece affiorare in lei l’immagine di un insegnante di francese del liceo che portava un profumo simile e per il quale aveva avuto una cotta passeggera. Si allontanò rapidamente dall’uomo, confusa.
“Sta bene?” chiese lui preoccupato.
“Sì, sorpresa, ma sto bene. Credo che l’ascensore ci abbia lasciati a piedi”, rispose Emma arrossendo.
Gabriel prese il telefono rosso per le emergenze e compose il numero di servizio per notificare il guasto. Scambiò qualche frase, poi riattaccò.
“Penso che rischiamo di passare molto tempo qui”, disse, “c’è un ragazzo nuovo alla reception e sembrava completamente perso. Richiederà assistenza immediata.”
Emma respirò lentamente. Cercava di mantenere la calma nonostante il panico che stava crescendo in lei. Ritrovarsi in un posto chiuso e senza via d’uscita la rendeva un po’ nervosa.
“Con un po’ di fortuna, potrebbe essere solo un piccolo guasto…”
“Lo spero. Ho un aereo domattina molto presto per tornare a casa. Non che non sia contento di essere bloccato qui con una signorina così graziosa”, disse Gabriel con un sorriso seducente.
Non volendolo, Emma rise al commento, ma preferì non dire nulla. Doveva essere un donnaiolo, vista la sua abilità nel parlare. Continuava a sentire il disagio di essere bloccata in un ambiente senza finestre e senza possibilità d’uscita. Imitò Gabriel quando lui decise di sedersi per terra e usare il telefono per controllare le sue e-mail. Udì la suoneria del suo e si mise a cercare in fondo alla