È L'Amore Che Ti Trova. Isabelle B. Tremblay
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“Eccoti! Candice verrà con noi stamattina. Vai a farti una doccia, ti aspettiamo per andare a fare colazione.”
“La notte è stata difficile?” chiese Candice, che non aveva staccato gli occhi di dosso a Emma e la cui voce non tradiva alcuna emozione.
Emma non capiva se era arrabbiata o sarcastica. Preferì rimanere in silenzio e guardarla per un attimo. Era una bella donna che doveva essere molto più giovane di quanto sembrasse in realtà. Era vestita in modo sobrio, ma di buon gusto, e indossava abiti firmati che Emma non poteva permettersi con il suo stipendio attuale. I suoi capelli erano biondi e scendevano scalati fino alle spalle. Niente meches pazze o treccine ribelli. Portava una camicetta bianca con solo l’ultimo bottone superiore aperto, sotto una giacca nera, e persino una cravatta. Aveva pantaloni neri a portafoglio, per completare il suo look androgino, che era anche molto femminile. Emma aveva incontrato Candice raramente e ogni volta le ricordava un avvocato, con la sua aria professionale e distaccata.
“Faccio presto”, balbettò, afferrando un paio di pantaloni e una camicia nella sua valigia.
Candice la seguì con lo sguardo mentre si dirigeva verso il bagno, continuando ad ascoltare Charlotte, che le descriveva l’itinerario della mattina. Aveva intuito che la giovane donna aveva passato la notte fuori e di certo non da sola: aveva gli occhi cerchiati e stanchi, il suo vestito era stropicciato e macchiato di sabbia, mentre i capelli erano spettinati. Contrariamente a quello che la gente poteva pensare, non era facile ingannarla, né era stupida. Osservava molto le persone e, attraverso il loro linguaggio corporale, era in grado di indovinare come fossero. Candice aveva vissuto molto. Aveva capito subito che Charlotte non era una ragazza di chiesa e che collezionava uomini e avventure. Mentre era a una serata di beneficenza, un socio d’affari di suo marito aveva vuotato il sacco, senza sapere del legame tra le due donne. Quel dettaglio l’aveva divertita. Era la vita privata della sua collaboratrice, dopotutto, e non aveva alcun diritto di controllare quella parte della sua esistenza. Almeno, non finché non pregiudicava la rivista. Per lei era essenziale erigere una barriera tra le due sfere.
“Se tu vieni, Emma potrebbe restare qui. Mi potresti correggere l’inglese se mi sbaglio…” propose improvvisamente Charlotte.
“No. Non l’ho portata qui per pagarle un viaggio di piacere e perché passi le notti a flirtare e le giornate a dormire. E non sono qui nemmeno per tenerti la mano, Charlotte. Voglio vedere Emma al lavoro. Voglio vedere su chi sto investendo i miei soldi.”
Charlotte sorrise al suo capo. Aveva totalmente ragione, anche se aveva un modo di esprimersi molto diretto. Non aveva peli sulla lingua. Diceva pane al pane e vivo al vino. Un tratto che anche Charlotte possedeva e che, a volte, provocava scintille tra le due donne. Prese la borsa e ci infilò il registratore, il suo taccuino e due penne. Candice guardò la sua redattrice con soddisfazione.
Loro due avevano diversi punti in comune. Era bello non dover sopportare urla e lacrime ogni volta che diceva quello che pensava o doveva alzare la voce. Lei non andava per il sottile ed era sempre sbrigativa. Apprezzava anche Charlotte per le altre sue qualità, come l’ambizione, la sincerità e l’impulsività, che le ricordavano i suoi inizi. Erano già troppo lontani nella sua memoria, tanta acqua era passata sotto i ponti. Candice aveva certamente molti difetti, tra cui quello di essere dura con la giovane donna, perché voleva che rasentasse la perfezione. Charlotte aveva un vero talento e Candice sperava che avesse successo senza sabotarsi, come aveva troppo spesso visto fare da alcune delle sue ex redattrici.
Emma uscì finalmente dalla doccia dopo una decina di minuti. Era fresca come una rosa e si era truccata leggermente. Trovò le due donne che continuavano a parlare del loro soggiorno.
“Riuscirà a resistere tutto il giorno? Lo spero”, chiese Candice prendendo la sua borsa, che aveva messo sul letto.
“Le diamo del buon caffè nero e vedrà che reggerà”, rispose Charlotte al posto di Emma.
“Credo che sia in grado di rispondere da sola, o le manca l’uso della parola?”
“Sono in piena forma. Non la deluderò, signora Rose.”
Fu il telefono a svegliare Ian. Socchiuse gli occhi e vide che erano già le tre del pomeriggio. Prese il telefono, che aveva smesso di squillare, e vide che aveva perso la chiamata di Lilly Murphy. Con la mente un po’ confusa raggiunse con la mano il pacchetto di sigarette sul comodino e si ricordò di trovarsi nella stanza degli ospiti della casa estiva dei genitori di Ryan. Tolse una sigaretta dal pacchetto, che rimise vicino al suo cellulare, e la accese dopo essersi avvicinato alla finestra. Pensò per un momento a Emma e rise come uno stupido, poi il suo sorriso svanì pensando a Lilly. Inalò il fumo della sigaretta e compose il numero della giovane donna per richiamarla.
“Sono io, Lilly, che succede?” chiese quando una voce femminile rispose al secondo squillo.
“Lo chiedo io a te. È da ieri sera che cerco di contattarti.”
La preoccupazione nella voce della donna aveva lasciato il posto alla rabbia.
“C’è stata un’emergenza?” chiese Ian sospirando e iniziando a fissare una crepa nel pavimento in legno massello.
“No. Non sei tornato a casa ieri sera. Non mi hai chiamata per informarmi e non mi hai inviato nessun messaggio. Il tuo capo ne ha lasciato uno perché ti stava cercando, quindi immaginati. Come pensi che mi sia sentita?”
“Mi sono preso un giorno libero. Ho fatto tardi e ho bevuto un po’. Ho preferito dormire da Ryan…”
“Di solito, quando si prende un permesso, si fa una telefonata al proprio datore di lavoro per farglielo sapere. Rischi di perdere di nuovo il posto. Avresti almeno potuto avvertirmi, era il minimo che potessi fare. Mi sono preoccupata da morire.”
“Lilly, mi dispiace davvero. Hai ragione, ho sbagliato e avrei dovuto avvertirti. Sai come sono, tesoro. Adesso chiamo Jeff e gli spiego la situazione. Capirà. E non preoccuparti più così tanto per me e per il mio lavoro. Andrà tutto bene. Jeff è un vecchio amico. Ci conosciamo da anni.”
La giovane donna sospirò.
“Quando pensi di tornare?”
“Domani. Forse dopodomani. Non lo so, Lilly.”
Lei sapeva che lamentarsi sarebbe stato inutile e riattaccò dopo avergli fatto promettere di richiamarla. Ian aprì la finestra e gettò via il mozzicone della sigaretta. Si infilò i jeans e scese. Trovò Ryan sulla terrazza sul retro della casa, di fronte all’oceano.
“Allora, ieri sera?” chiese Ryan strizzando l’occhio.
“È stato magico.”
“Sei andato fino in fondo con lei? Ne è valsa la pena?”
Ian prese una sedia che stava di fronte al suo amico e lo guardò, con un sorrisetto compiaciuto.
“Ti cambierebbe qualcosa?”
Ryan scoppiò a ridere.
“Non sei riuscito a fartela?!”
“Quella ragazza è molto di più. Ha qualcosa che mi sfugge. Che mi attira. È una fottuta questione di anime. Il sesso viene dopo. Una fusione o qualcosa del genere…”
Ryan continuò a ridere mentre Ian scriveva un messaggio a Emma, proponendole di incontrarla la sera all’Ocean Bar come il giorno prima. Era nervoso, ma sicuro