La Spia. Juan Moisés De La Serna
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Mi avevano costretto a imparare a giocare a scacchi, un gioco insolito all’inizio, ma mi ha aiutato ad avere una mente agile, che si adattava molto bene con la matematica.
Ma in poco tempo non avevo avversari da battere, e gli altri si stancavano di giocare, perché perdevano sempre, così ho dovuto imparare a farlo da solo.
Un gioco con una scacchiera per due solo per me, il che mi creava un piccolo problema quando cambiavo posizione, e dovevo giocare con il colore opposto, e dal momento che conoscevo le strategie che stavo per applicare, dovevo pensare a come battermi da solo. In sostanza, una partita poteva diventare infinita, potevano passare giorni e giorni per vincerla.
Ad ogni modo, con questa cosa della memoria, diventava sempre più difficile per me seguire il gioco, perché appena mi alzavo per vedere qualcosa, e tornavo alla partita, non sapevo con quale colore di pedine stavo giocando.
Quindi, prima di alzarmi, dovetti iniziare a mettere degli appunti tipo “ora sposta quelli bianchi”, ma arrivò un momento, che mi dimenticavo perfino di scrivere gli appunti, così rimanevo lì, guardavo e guardavo la scacchiera, cercando di indovinare con quali pedine avrei dovuto giocare, ed era perfino difficile pensare alle mosse.
Era imbarazzante, io che presumevo di essere in grado di vedere l’intera partita appena iniziavo a giocare, ed essere in grado di dire in quante mosse avrei vinto, ora, invece, diventava stranamente difficile concentrarmi per sapere cosa fare.
Pertanto, gli scacchi diventarono una delle tante cose che ci sono in casa, cianfrusaglie che suppongo a un certo punto siano servite, ma ora servono solo come ornamento.
Molte le ho riposte nei cassetti, quindi non sono d’intralcio, ma poi, non ricordo nemmeno che ci siano.
A volte mi diverto aprendo i cassetti, a sorprendermi con la quantità di oggetti che ci sono, di alcuni avevo sensazione di vederli per la prima volta, ma non può essere, se sono lì è perché io ce li ho messi, ma non riuscivo a ricordare, né quando, né dove li avevo comprati, se fosse stato mio o di qualcuno che me lo aveva prestato e, a volte, non sapevo nemmeno a cosa servisse, quella “robaccia”.
Nemmeno le piante, di cui mia moglie si preoccupava così tanto, nemmeno queste, sono sopravvissute alla mia dimenticanza. E questo nonostante mi avesse detto, “prima del pisolino, dalle un po’ d’acqua e dureranno per sempre”, ma non riuscii a ricordare perfino quella semplice istruzione e tutte finirono per seccarsi.
La signora che veniva a fare le pulizie di tanto in tanto, mi portava una nuova pianta per “portare gioia in casa”, come diceva, e mi diceva quando innaffiarla, ma nonostante tutto non sopravvivevano.
Beh, era meglio per me, così non avevo più obblighi, di quelli che mi pesavano per non sapere se li avessi adempiuti o meno.
Credo di aver obbedito troppo nella mia vita, e ho anche fatto molto più dei miei doveri patriottici, se così si può dire.
Per fortuna non ho mai dovuto usare una pistola, ma non sono ingenuo, le informazioni che ho maneggiato hanno portato alcuni alla morte, in particolare spie della parte avversa, ma soprattutto ho salvato delle vite.
Fortunatamente per tutti, la matematica è definita e non importa quanta immaginazione ci mettiamo, c’è sempre qualche elemento che può essere usato per decodificare, è solo questione di tempo e fatica.
Così abbiamo potuto stare al passo con i progressi dei nostri nemici, molte volte senza intervenire, in modo da non rivelare che eravamo in grado di leggere i loro messaggi, poi tutto si è complicato.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il nostro paese assunse un ruolo rilevante in tutto il mondo, non era più un paese che si limitava a controllare i propri confini, ora manteneva la pace del mondo, e il nostro lavoro divenne così complicato che mi inviarono in Europa, perché in quel momento era di grande interesse politico per il nostro paese.
La minaccia nazista aveva messo sotto scacco l’intelligence di tutti i paesi europei, ma soprattutto la nostra, e questo indipendentemente dalla distanza, qualcosa che non avevo capito fino a quando non sono arrivato lì.
A quel tempo, nessuno aveva notato il pericolo reale di quel movimento popolare, o di tutto ciò che era accaduto dopo, e non doveva ripetersi.
Ecco perché sono stato mandato lì, per studiare il più possibile i progressi nella codificazione degli europei, che negli ultimi anni erano stranamente molto avanzati, una cosa che avevo potuto osservare nel tempo, come i grandi progressi tecnologici avvengano in tempi di guerra e non solo in termini di sviluppo delle armi.
Non so perché, se per la necessità di sopravvivere o altro, ma il progresso, quando c’è un pericolo imminente, è evidente e niente di meglio che l’Europa per dimostrarlo, sempre minacciata da una parte o dall’altra, eppure guardate come sono progrediti superando i loro concorrenti e diventando leader mondiali in molti campi, e nonostante, in pratica, abbiano dovuto ricostruirsi dalle fondamenta dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Beh, ad ogni modo mi mandarono in Europa come diplomatico, addetto culturale con una missione, per imparare dai nostri alleati, come erano considerati gli europei in quel momento, in cambio avrebbero ricevuto dal nostro governo supporto tattico, in modo da poter ricostruire le loro città e villaggi.
All’inizio tutto andò per il meglio a parte l’incidente in Spagna, dal quale a non dare niente per scontato e a coprirmi le spalle molto bene. Qualcuno aveva cercato di allontanarmi da lì, e non me ne ero nemmeno accorto. Alcune false istruzioni che non avevo mai visto mi avevano fatto mettere dietro le sbarre in attesa di un processo militare.
Per fortuna in quei tempi difficili non tutti pensavano che fossi un traditore, e con un aiuto dall’interno sono riusciti a tirarmi fuori e a farmi uscire dal paese, con la promessa di non tornare mai più pena la condanna a morte.
“Un esilio è meglio della morte”, pensavo, ma ero stato lasciato al confine francese senza sapere cosa fare.
Non era molto più sicuro del paese da cui ero venuto, perché dovetti cercare una sorta di ambasciata o una base militare, da cui poter comunicare con il mio comando, per dare segni di vita e richiedere istruzioni.
Come potei, e dopo aver passato un sacco di difficoltà, sono finalmente arrivato in Inghilterra e lì mi sentii a casa.
Giunto al confine potei mostrare i miei documenti e mi trattarono molto bene, all’inizio mi mandarono in una vicina base militare, per confermare la mia storia, ma quando furono sicuri che fossi chi dicevo di essere, tutto fu più facile.
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