Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti. Italo Svevo
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Quando se ne andò, la Lanucci ridendo guardò il marito e anche questi sorrise. Gustavo se ne sentì offeso e non seppe resistere al desiderio di difendersi subito:
— È però lucente d’oro, — disse. — I gusti delle donne non si sanno mai e sarebbe stata una bella fortuna se a Lucia fosse piaciuto.
Il secondo amico che Gustavo presentò in casa fu il padrone di un macello, benestante, più giovine dell’altro ma non meno sucido. Era vedovo da poco tempo e Gustavo riteneva che cercasse moglie. S’ingannava. Il beccaio bevette di troppo del vino che c’era sul tavolo dei Lanucci e nella somma beatitudine, volendo dimostrare la sua riconoscenza ai novelli amici, esclamò:
— Ah! qui si sta bene! Sempre in compagnia di amici starei io! Adesso che grazie al cielo sono vedovo, posso finalmente permettermelo!
La Lanucci dichiarò che non voleva più rivederlo e desiderava anche che le visite degli amici di Gustavo cessassero. Il giovanetto si difendeva.
— Non posso mica dire ai miei amici di venire in casa mia per fare loro sposare mia sorella. Devo scegliere quelli che più mi sembrano inclinare al matrimonio. Un vedovo come il beccaio, per esempio, mi sembrava adatto. S’era pur sposato già una volta!
Parve ora ad Alfonso che gli altri presentati fossero stati invitati da Gustavo piuttosto per far mostra di avere fra’ suoi amici delle persone rispettabili che per la speranza di vederli innamorarsi di sua sorella. Uno di questi fu il signor Rorli, un ricco fabbricante di paste di Napoli. Gustavo ne aveva da lungo tempo annunziata la visita e indotto la madre a preparare una cena copiosa.
Il signor Rorli non venne la prima sera in cui era atteso e non venne che otto giorni appresso dopo aver messo altre due volte in subbuglio la famigliuola con avvisi della sua venuta. Era giovanissimo, molto magro, il volto dalla pelle bruna sulla quale poco risaltavano i suoi baffi biondi. Era vestito bene, ma troppo riccamente; portava anelli alle dita e sul petto una catena d’oro la quale Gustavo disse valere trecento franchi e più. Parve che quella sera si divertisse molto. Spiegò la fabbricazione delle sue paste e rifiutò la rappresentanza della sua fabbrica al Lanucci che gliela chiedeva, dicendogli dapprima che non lavoravano a mezzo di agenti e poi che ne avevano già quattro, due buoni argomenti che naturalmente tolsero al vecchio ogni speranza. Mangiò molto, ciò che diede alla signora Lanucci una grande opinione della sua salute, perché diceva che le persone magre che molto mangiano sono le più forti. Quell’appetito le portò via la cena e a Rorli, che le chiese perché non mangiasse, rispose con grande distinzione:
— A sera non mangio mai. — Egli non se ne curò più oltre, come del resto non si curò di Lucia che gli stava seduta accanto. Parlò più che con altri con Alfonso che la Lanucci gli aveva presentato quale impiegato della casa A. Maller e C.° e letterato. Una grandezza ingrandisce la casa ove abita.
Rorli si mise a chiacchierare di letteratura e naturalmente di romanzi francesi. Era entusiasta di Alessandro Dumas e di Paul de Kock, ammirazioni che Alfonso aveva dimenticate. Fra’ due fece la peggior figura Alfonso, il quale aveva dichiarato di conoscere quella gente ma poi non aveva saputo dimostrare di conoscerne tutte le opere, compresi dei lavorucci che per la prima volta udiva nominare, mentre Rorli ne sapeva raccontare alla Lanucci, che ci si divertiva un mondo, tutto l’argomento.
Era in fondo un grande ciarlatano che riportò l’ammirazione di tutti nonché di Alfonso, il quale, pur riconosciutolo ignorante, era rimasto impressionato da tanta facilità di parola. Poi fino a tarda ora, dalla sua stanza, udì le confabulazioni dei Lanucci e chiaramente che la vecchia dichiarava che il fabbricante molto le piaceva.
Ma il Rorli non si fece più vedere. Aveva forse capito di che si trattasse e, invitato da Gustavo, si scusava e prometteva di venire e mancava. Gustavo però aveva ottenuto un trionfo e lungamente se ne vantò.
Alfonso, tanto per darsi l’aspetto di occuparsene anche lui, portò seco un giorno Miceni sotto il pretesto di fargli vedere la sua stanza. Abituato a maggiore comodità ed eleganza, Miceni non seppe trattenere il riso dinanzi a quelle mura nude, quell’enorme letto di ferro e il tavolinetto di cui una delle quattro gambe era troppo corta.
La signora Lanucci lo fece accomodare in tinello e gli presentò la figliuola ch’egli salutò seduto, con un leggero cenno del capo ma molto amichevolmente, avvezzo come era a trattare con le sartine.
Fece però molti complimenti, ciarlò molto e di cose che alle donne piacciono. Persino ammirò il vestito di Lucia e lo paragonò a quello che aveva visto portato dalla signora Canciri, una delle più ricche signore del paese. Era un donnaiuolo per il quale ogni donna era desiderabile e ispirare un desiderio sempre una gioia.
— Ho da trattenerlo a cena? — chiese la Lanucci con voce angosciata ad Alfonso vedendo che la seduta si prolungava di troppo.
— Lo inviti! Non accetterà.
La Lanucci con imbarazzo lo invitò avvertendo subito che la cena era modesta ma che dove c’era da mangiare per cinque ci sarebbe stato abbastanza per sei.
Miceni rifiutò ringraziando, e comprendendo che la famigliuola era in procinto di sedersi a tavola prese commiato. Se ne andò accompagnato da Alfonso ch’era impaziente di sapere quale impressione avesse prodotto su lui Lucia. C’era da lusingarsi perché le aveva dimostrato tutt’altro che indifferenza.
Sulle scale, buie e di legno fino al primo piano, Miceni si appoggiò confidenzialmente al braccio di Alfonso e gli chiese:
— L’hai avuta?
Alfonso indignato protestò.
— Non adirarti. Se realmente non hai neppure provato è l’unica causa per cui non sei riuscito, e in questo caso devo confessare che sei anche più sciocco di quanto io non ti credessi. Una ragazza in quelle condizioni, posta accanto ad un giovine che vive in condizioni migliori, prima o poi gli si getta al collo, a meno ch’egli non accenni a respingerla.
Non si poteva adirarsi e Alfonso vergognandosi si scusò:
— Non mi piace!
— Davvero? — chiese Miceni sorpreso. — Allora non mi resta che deplorare che il tuo gusto non sia meglio sviluppato.
Ritornato in casa, Alfonso fu penosamente impressionato dalle buone parole che i Lanucci spendevano su Miceni. Anche Lucia diede a capire che non le era dispiaciuto. Alfonso la guardò indagando se fosse veramente tanto desiderabile come a Miceni era sembrata. Certamente non era più assolutamente brutta. Semisdraiata su una seggiola, la sua vita mostrava il profilo gentile, e la gonnella inamidata, gonfia, ingentiliva la sua magrezza.
Una sera d’aprile, Alfonso uscì dalla casa di Annetta alle dieci e fuori trovò, freccia del Parto dell’inverno, un vento indemoniato sorto da poco più di un’ora. Fischiava per le vie deserte di città vecchia inviperendosi ove si restringevano. Ospite inaspettato, frantumava le lastre non assicurate, spazzava dai tetti tutto ciò che non vi era solidamente fermato o che non vi apparteneva.