Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti. Italo Svevo
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Ella dunque soffriva dell’imbecillità e indifferenza del suo contorno.
Per altra mezz’ora ella non si mosse, ma quando egli già sperava che si fosse addormentata la sentì parlare. Era un pensare ad alta voce.
— Non dicevo niente! — rispose all’interrogazione ch’egli le fece. Ma poi senza ch’egli altro domandasse, soggiunse: — Pensavo quale sciocchezza sia quella di fare dei piani per l’avvenire trovandosi nelle mie condizioni.
Cercò d’incoraggiarla e mancando di migliori argomenti parlò della medicina prescrittale dal medico. Quella doveva darle la salute e, visto che non l’aveva mai presa regolarmente come si doveva, bisognava tentare. Fu il primo ad essere convinto dalle proprie parole. Infatti il più forte dei suoi doveri, quello che gli altri avevano trascurato, era di convincerla a seguire la cura. Se la salvezza era ancora possibile, non poteva venire che da quella.
Le portò un cucchiaio della pozione fin sotto le labbra quando ella non aveva ancora assentito. Stringendosi nelle spalle ella si lasciò convincere.
Un’ora dopo stava meglio.
— Sì, sì, — disse ella per calmare gli entusiasmi di Alfonso, — anche il mese scorso la medicina mi giovò la prima volta che la presi, mentre poi non mi fece che male.
Egli si sdraiò vestito sul letto del padre e si propose di non dormire. Il sonno lo vinse e non si svegliò che a giorno chiaro.
— Come stai? — chiese alla madre ch’era stata a guardarlo a dormire.
— Meglio, meglio! — rispose essa con un sorriso di gratitudine, — ho preso un’altra cucchiaiata della medicina e mi sento alquanto sollevata.
Poi gli chiese se non avesse desiderio di vedere il villaggio e salutare i suoi vecchi amici. Lo assicurò che per una o due ore poteva rimanere sola.
Egli raccomandò a Giuseppina, che trovò già occupata di nuovo nell’orto, di badare alla madre ed ella glielo promise. Le parlò con dolcezza. Già spaventata al vederlo, la contadina s’era affrettata a raccontargli che stava raccogliendo erbaggi per il pranzo. Ella non era una poltrona, ma preferiva lavorare la terra che servire un’ammalata, e il torto era di chi l’aveva destinata a infermiera.
La casa stranamente volgeva uno dei lati alla strada maestra ed era unita a questa da un viottolo costruito dal piede dei passanti.
La campagna era ancora bianca dalla brina che il sole autunnale non aveva saputo sciogliere. Visto da quel punto, il villaggio sembrava molto più insignificante di quanto fosse; pareva composto di due semplici file di case. Una curva della strada maestra nascondeva la parte meno regolare ma più popolata. Dalla parte della valle v’era ancora una via della lunghezza di metà della principale a cui era parallela e poi, addossato a quella, un mucchio disordinato di casette sucide ove abitava la parte più povera della popolazione. Nel suo piccolo, il villaggio aveva in embrione tutte le sezioni della città.
Alfonso si agitò e accelerò il passo vedendo alla finestra la testa nera di Rosina, il suo primo amore. Non l’amava più, questo era certo, ma quale dolce e giocondo sentimento al rivederla!
Era una giovinetta che serviva la vecchia parente presso la quale abitava, ma in casa aveva tanto poco da fare che viveva come una signorina, meglio di qualunque altra ragazza del villaggio. Alfonso aveva ballato con lei ad una sagra e l’aveva prescelta prima di tutto perché egli la vedeva bellissima e poi perché per cultura e vestire gli sembrava superiore alle altre. Poi s’era sviluppata fra di loro una buona amicizia che si manifestava in alcune parole che scambiavano giornalmente, ella sulla finestra e lui sulla via. Qualche sera chiacchierarono insieme fermandosi un poco più in là della casa, dunque fuori del villaggio, ma nella completa oscurità egli non s’era arrischiato neppure di baciarle la mano. Le aveva fatto delle lodi esagerate della sua bellezza, ma non le aveva neppure detto di amarla. Il suo ideale non era realizzato in Rosina ed allora non aveva ancora rinunziato a trovarlo. Non aveva dunque mai avuto l’intenzione di andare più oltre, mentre nel villaggio si disse, e la signora Carolina lo riscrisse ad Alfonso, che Rosina aveva provato una forte disillusione alla sua partenza.
Si avvicinò meravigliato ch’ella non lo avesse riconosciuto subito pur avendolo veduto:
— Signorina, non mi riconosce?
— Oh! il signor Alfonso! — disse Rosina con sorpresa calma, e fece un leggiero inchino esitante forse perché non ancora lo aveva riconosciuto oppure perché non s’era ancora risolta a riconoscerlo.
— Non mi dà neppure la mano?
— Eccola!
Ma non gliela diede ancora. Prima di sporgersi dalla finestra guardò a destra e a sinistra per accertarsi che nessuno la vedesse.
— Come sta la signora Carolina? — chiese essa ritirando la mano che per un solo istante aveva lasciata inerte in quella di Alfonso.
— Oh! male! male! — disse Alfonso commosso stranamente da quegli occhi neri e dai capelli lisciati alle tempie e a chiocciola sulle orecchie. Quello che le mancava nel vestire e nel parlare le dava quella freddezza che rendeva tanto desiderabile il sorriso amichevole di cui altre volte non era stata parca.
— Rimane qui ora?
— No! — rispose Alfonso, — soltanto finché mamma per la sua malattia non possa moversi; poi ci stabiliremo in città.
— Io sono promessa sposa, — disse ella con semplicità.
Visto che di questa comunicazione nessuno l’aveva richiesta, era evidente che la faceva per avvisarlo che poco le importava della sua partenza dal villaggio.
Egli quasi si dimenticava di chiederle chi fosse lo sposo felice.
— Gianni.
Gianni era il figliuolo di Creglingi il bottegaio. Un bel giovinotto che sorvegliava l’amministrazione dei campi del padre, il quale non aveva mai voluto lasciare la sua bottega ove aveva fatto i danari. Rosina faceva una bella fortuna, certamente maggiore che se avesse sposato Alfonso.
— Le mie congratulazioni! — disse Alfonso un po’ troppo tardi perché potessero venir credute sincere.
— Tanti saluti alla signora Carolina, — fece improvvisamente Rosina e si ritirò senz’altro.
Comprese subito la ragione di tale fuga. Dallo svolto della via si avanzava il notaio Mascotti accompagnato da Faldelli, il proprietario di una delle due osterie esistenti nel luogo. Era un vecchio vestito sordidamente e i cui vestiti pendevano dalle membra scarne. Doveva aver freddo perché teneva le mani ritirate nelle maniche della giacca.
Lo salutarono ed egli si avvicinò loro. Faldelli alzò un braccio stendendo la mano fuori della manica e strinse con una stretta forte ma breve quella di Alfonso; poi riparò la mano di nuovo nella manica. Non era cortese, e quando Mascotti chiese ad Alfonso come stesse la madre egli si trasse in disparte e guardò attorno distratto.
La domanda cortese di Mascotti fece pensare ad Alfonso ch’era quella l’occasione di rimproverare a costui la sua poca cura per la signora Carolina.
Molto serio cominciò a raccontare