Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti. Italo Svevo
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti - Italo Svevo страница 69
I disturbi più dolorosi provenivano alla signora Carolina dai turbamenti del suo sistema nervoso. All’ammalata sembrava che il materasso si piegasse da una parte in modo da farla sdrucciolare fuori del letto e per quanto fosse diritto bisognava elevarlo da quella parte mettendoci sotto dei guanciali. Naturalmente tutti gli sforzi finivano col provare all’ammalata che il male risiedeva nel suo organismo e non negli oggetti che la offendevano. Alla destra del suo letto v’era una finestra ch’ella volle venisse coperta con un lenzuolo perché la luce da quella parte l’offendeva. La bianchezza del lenzuolo continuò a molestarla e anche quando Alfonso sostituì al lenzuolo un panno nero ella non ebbe pace.
— Capisco, capisco! — gemette e non chiese altri mutamenti, ma da quella parte anche quando vi aveva rivolta la schiena continuava a venirle un malessere indefinibile.
Una sola volta ancora Alfonso si trovò tranquillo tanto da poter uscire. Aveva fretta perché non voleva rimanere troppo tempo lontano dall’ammalata e desiderava di andare almeno fino al villaggio. Fu quindi seccato d’imbattersi all’uscire di casa nel giovine Creglingi, lo sposo di Rosina. Accompagnato da due contadini, andava verso i suoi campi situati di là dalla casa di Alfonso; occupavano una metà della plaga più ubertosa della valle.
Alfonso non seppe celare del tutto che l’incontro non era stato da lui molto desiderato ma, ed egli se ne accorse, neppure Creglingi ebbe subito il modo più amichevole, e anzi, se Alfonso non si fosse mosso per il primo ad incontrarlo vergognandosi di passare accanto al suo antico amico senza neppur salutarlo, Creglingi non avrebbe dimostrato di essersi accorto di lui.
— Tanto mi è dispiaciuto di trovarlo sposo di Rosina? — si chiese Alfonso sorpreso del proprio odio e non dell’altrui.
— Come stai? — gli chiese Creglingi, un giovine forte, dai tratti volgari, la pelle macchiata dal sole e nel viso quasi rotondo gli occhi piccoli dell’astuzia. Dimostrava qualche imbarazzo e Alfonso gli attribuì della gelosia per Rosina.
— Le mie congratulazioni, — disse subito Alfonso, e gli strinse con forza la mano per non lasciar dubitare della sincerità dei suoi auguri.
Ma Creglingi ricevute tali congratulazioni parve non si trovasse meglio col vecchio amico e lo lasciò asserendo che doveva essere di ritorno a una data ora dopo aver fatto tagliare del fieno in un campo per giungere al quale doveva camminare ancora parecchio.
Era un’amicizia di prima gioventù ed era durata fino alla partenza di Alfonso ad onta che con l’avanzarsi dell’età la differenza fra i due giovani fosse divenuta sempre maggiore. L’intelligenza di Creglingi era stata poco sviluppata o meglio soffocata dal lavoro manuale. Mai Alfonso si sarebbe risolto a tagliare quella relazione conservando un culto superstizioso alle memorie della sua prima giovinezza. Ebbe qualche avvilimento al vedersi lui respinto. Creglingi era il possessore di due o tre idee in tutto e dovevano servirgli per tutta la vita e Alfonso lo aveva sopportato per una certa simpatia per la forza e risolutezza che scorgeva in lui.
Gli parve che i tre uomini ridessero discretamente di lui. Il sangue gli salì alla testa e, voltatosi, era in procinto di dire loro qualche insolenza, ma essi camminavano quieti uno accanto all’altro, Creglingi in mezzo con la testa bassa. Dubitò di avere inteso male. Poi comprese che il riso dei contadini era stato provocato dalla scappellata ch’egli s’era creduto in dovere di dare loro ad uso cittadino.
— Imbecilli! — pensò per tranquillarsi, — all’occasione spiegherò loro lo scopo di tale gesto.
Era trascorso il mese di permesso e all’ultimo giorno egli si rammentò di chiederne la prolungazione scrivendo direttamente a Cellani una lettera affettuosa in cui ringraziava per la pazienza che fino ad allora si era avuta con lui e chiedeva addirittura un altro mese di libertà. Aveva l’intimo convincimento che quindici giorni sarebbero bastati, ma, visto che non si potevano sperare migliorie nello stato della signora Carolina, non volle mettere in iscritto un termine troppo breve quasi il desiderio di vederne abbreviata la vita. Nella lettera parlò della sua speranza di una guarigione perfetta e aggiunse, per scrupolo, che forse gli sarebbe bisognato di chiedere anche un’altra prolungazione.
Nell’ultima settimana le sofferenze fisiche della signora Carolina erano diminuite, ed era proprio l’indizio dell’avvicinarsi della grande pacificatrice. Il suo organismo era divenuto incapace persino di dolore.
Una mattina, dopo una notte di veglia inquieta e durante la quale l’ammalata più volte si perdette non nel delirio ma nell’indebolimento spaventevole dei sensi, Alfonso le trovò la voce mutata, il timbro più profondo e meno sonoro. Questa voce era interrotta dalla respirazione frequente e insufficiente, ma l’ammalata sembrava non ne soffrisse. In un istante di lucidezza disse con voce angosciata che moriva. Le sembrava che i muri si piegassero e minacciassero di cadere; di fuori, per essa, infuriava la tempesta e una volta, fuori di sé, chiese che si mandasse al villaggio a vedere se era ancora in piedi. Poi volle definire quello che sentiva e per ore invano andò cercando la parola adatta. Era strano e terribile, diceva, perché si sentiva martoriare e non erano dolori.
Perdette totalmente la conoscenza verso sera così che Alfonso credendola morta si mise a piangere senza riguardo. Quella lunga giornata di sofferenze nuove, il sentimento della propria immensa impotenza gli parve rivelassero cose sorprendenti ch’egli non aveva saputo esistessero. Il male a cui il povero organismo della madre soggiaceva finì col sembrargli un essere personale. Egli lo aveva visto colpire a intervalli, deridere tutti gli sforzi che contr’esso si erano fatti, poi baloccarsi con chi sapeva non potergli sfuggire e accordare tregue illusorie, infine, ora, uccidere.
Giuseppina aveva toccato il corpo della padrona e trovatolo freddo aveva avuto l’idea ingegnosa di rianimarlo riscaldando il letto artificialmente. Infatti ancora una volta la signora Carolina aperse gli occhi e guardò d’intorno supplichevole. Implorava grazia da qualcuno.
Giuseppina andava vantandosi del miracolo da lei fatto, ma durò poco. L’ammalata forse sentì l’avvicinarsi della morte perché, alzato il capo quasi avesse voluto salutare con cortesia, mormorò:
— Questo non ho mai provato! — Furono le sue ultime parole. L’affanno si mutò in rantolo. Alfonso credette che finalmente le fosse dato pace e che i polmoni riprendessero il loro lavoro regolare; le voleva trattenere una mano per appoggiarla e la trovò irrigidita.
Il dottor Frontini capitò per combinazione proprio allora. Constatò il decesso dopo un esame accurato come se si fosse ancora trattato di apportare rimedio.
— È finita! — lo avvertì Alfonso per risparmiargli la fatica.
Dovette dare il medesimo avvertimento a Mascotti ch’era accorso chiamato da Giuseppina e che non voleva credere alla morte. Mascotti voleva confortare e cominciava un discorso per provare ch’era meglio che la signora Carolina fosse morta. Ma Alfonso di conforti non aveva bisogno. Non faceva eccessi, non gridava, aveva la voce soda e tranquilla. Era meravigliato della rapidità con la quale era cessato un tanto male, quell’orribile affanno. La morta era adagiata nel letto che più non la faceva soffrire, da cui più non sdrucciolava. La bocca era spalancata ma non per gridare. Sembrava aperta per un lungo sbadiglio.
Vedendo Alfonso tanto calmo, Mascotti si trovò subito bene in quella casa ove era entrato col timore di dover assistere a delle scenate. Volle rimanere e invitò anche Frontini a far compagnia ad Alfonso. Giuseppina, senza esserne stata incaricata, portò il tavolo dalla