Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti. Italo Svevo

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Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti - Italo  Svevo

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da Giuseppina alla quale era stata affidata la vita della madre.

      Certamente Mascotti doveva avere già compreso ch’era a lui che si voleva tenere la predica. Risoluto pronunziò le parole bonarie:

      — Eh! un poco poltroni siamo tutti a questo mondo. Giuseppina se la sarà presa comoda vedendo che lei c’era là, perché non occorre mica essere in quattro accanto ad un ammalato!

      Non era più il modo con cui s’era difeso il giorno prima e Alfonso ne fu sorpreso. Lo vedeva risoluto e si capiva preparato, perché così presto aveva compreso e respinto l’attacco. Non negava più che intorno alla signora Carolina ci fosse stata poca cura, ma trattava tutta la faccenda come cosa di piccola importanza. Era il curatore, ma si poteva provargli che perciò avrebbe dovuto occuparsi della salute della signora Carolina? Alfonso temette che se gli avesse detto qualche brutta parola, di quelle che aveva pensate durante la notte, nell’ira contro Giuseppina, Mascotti non gli rispondesse brutalmente. Tacque perciò.

      Il notaio gli comunicò che Faldelli aveva messo da parte dei capitali e che aveva l’intenzione di comperare dei terreni. Pareva che questa comunicazione dovesse venir seguita da altre che potessero avere maggior importanza per Alfonso. Faldelli lo interruppe per salutarli. Disse a Mascotti stringendogli la mano:

      — Non c’è mica fretta, sa, signor notaio!

      Si avviò con passo frettoloso verso la sua osteria situata di faccia alla bottega del Creglingi nella piazzetta triangolare.

      — Ella fa una passeggiatina per rivedere i luoghi natii, — disse Mascotti di buon umore. — L’accompagno a patto che non si metta a correre.

      Alludeva scherzando a quel brutto momento quando Alfonso aveva perduto la testa all’annunzio dello stato in cui trovavasi sua madre.

      Sulla via principale, casa per casa era rimasta inalterata coi colori immutati perché maggiormente non potevano sbiadirsi, le identiche insegne, alcune finestre sempre chiuse, altre sempre aperte. Ad Alfonso il villaggio sembrava vecchio come un oggetto di museo, che non viene toccato che per farvi i lavori necessari per conservarlo come è. Tutta l’attività degli abitanti si riversava fuori del villaggio, sui campi.

      Una sola casa era stata mutata, aumentata di un piano e sul fianco si distingueva la fabbrica nuova dalla vecchia per il colore annerito della calce che copriva quest’ultima. Era ora abitata dal Selini, fornaio, ma la casa in villaggio si chiamava ancora sempre casa Carli, dalla famiglia che prima l’aveva posseduta.

      Facilmente ad Alfonso riuscì di togliere col pensiero dalla casa tutto quanto vi era stato sovrapposto e rivederla più piccola, nera, triste, casa disgraziata in cui in pochi giorni erano morti meno uno tutti i membri della famiglia Carli: due ragazzi coi quali Alfonso aveva giuocato, una fanciulla di tre lustri e il padre, un buon amico del vecchio Nitti, lindo, sempre vestito di una giubba bianca tanto candida che non vi si distingueva la farina onde era aspersa. Alfonso si rammentava di tutti i particolari di quella sventura, la quale nella sua gioventù aveva segnato una traccia indelebile. In faccia a tutti quegli organismi sani e forti distrutti o creati inutilmente, egli aveva avuto i primi dubbî.

      Una sera il vecchio Nitti era rincasato più tardi del solito e aveva raccontato che Guido Carli, il più giovine dei figliuoli, era stato colpito dal tifo, tanto violentemente che il dottore supponeva che non avrebbe resistito. Il giorno prima Alfonso aveva parlato col giovinetto che ora era moribondo. I Nitti abitavano dirimpetto ai Carli e più volte durante la notte Alfonso andò alla finestra a vedere la bruna casa di cui una sola stanza era illuminata, quella ove si lottava con la morte.

      Pochi giorni dopo il giovinetto morì, e quando Alfonso andava meditando quali segni d’affetto egli potesse dare all’amico che sopravviveva, per consolarlo della perdita del fratello e consolare se stesso, apprese che anche questi e la sorella e il padre erano stati colpiti dal medesimo terribile male. Ogni giorno dalla casa usciva una bara; la prima racchiudeva il cadavere della fanciulla, la seconda quella del padre e la casa rimaneva muta indifferente come se fosse abbandonata da una merce qualunque.

      Soltanto quando non vi fu più alcun capezzale a cui vegliare, dietro alla bara dell’ultimo figliuolo si aperse finalmente una finestra e vi comparve, trattenuta da due uomini che Alfonso mai non aveva visti, la madre che gridava di voler saltare dalla finestra per raggiungere i suoi. Era una donna ancora giovine. Pregava di lasciarla e sembrava meravigliata che la si trattenesse. Anche ad Alfonso la violenza di quei due uomini che le impedivano di morire sembrò odiosa.

      La casa fu messa in vendita, ma nessuno voleva comperarla perché vi era accaduta tanta sventura, e si finì col venderla a un prezzo miserabile al Selini venuto allora a stabilirsi nel villaggio. Neppure la signora Carolina volle saperne di comperarla, mentre i Nitti avrebbero fatto un affare di gran lunga migliore a comperare quella casa invece di quel casone tanto distante dall’abitato.

      Certamente anche il notaio, passandovi dinanzi, pensò al contratto a cui aveva dato luogo quello stabile, perché ingenuamente facendo pensare Alfonso alla somiglianza che c’era fra’ due affari, gli disse:

      — Faldelli mi disse che volontieri avrebbe comperato la vostra casa.

      Alfonso trasalì:

      — Non è in vendita! — disse seccamente.

      — E che cosa ne vuole far lei?

      La grossolanità del notaio fece capire ad Alfonso in quale maggior misura avesse avuto influenza su lui il lungo soggiorno fra’ contadini che non gli studî universitari.

      — Ma, e mamma?

      Il notaio si trovò portato a tutt’altro ordine d’idee e si capì ch’era sorpreso che la signora Carolina venisse ancora considerata come viva. Si rassegnò con buona grazia a tale finzione:

      — Sua madre mi diceva che aveva l’intenzione di andare ad abitare con lei!

      — Ci penserò! — disse Alfonso con tristezza. La notte passata presso alla madre gli aveva tolto ogni speranza e le parole di Mascotti avevano fatto rivolgere il suo pensiero alle conclusioni che si dovevano trarre da quello stato di cose. Infatti, rimanendo solo, che cosa avrebbe fatto della casa?

      — Vive ancora la vecchia Doritti?

      Quella donnetta caratteristica, laboriosa, in altri tempi sempre indefessa al lavoro al campo o in casa ove faceva di tutto pur di non aver a chiamare aiuto dal di fuori, tanto che in villaggio si diceva ch’ella covava persino le uova assieme alle galline per averne più presto i pulcini, veniva ricordata ad Alfonso da una casetta dai colori sbiaditi, verdognoli delle finestre, grigio sucido delle mura qua e là sgretolate. Dicevano che la casuccia non cadeva perché indecisa da quale parte, ma essa aveva fondamenta salde alquanto petulantemente fuori della linea delle altre case.

      In quella casa il vecchio Doritti, marito della vecchia, aveva tenuto per molti anni a pianterreno una bottega di commestibili e a quanto si diceva ci aveva fatto molti denari. Creglingi era sopravvenuto, e con la sua bottega nel centro del villaggio e fornita più abbondantemente di merci gli aveva portato via i clienti. Doritti dapprima non aveva voluto credere che fosse permesso di rovinarlo a quel modo; fuori di sé dall’ira litigava con mezzo il paese, con Creglingi e gli avventori che sorprendeva in atto di tradirlo, cioè facendo degli acquisti alla bottega del suo concorrente, accanto alla quale di spesso si appostava per sorprenderli. Poi s’era quietato. Aveva atteso senza impazienza che i due o tre clienti che gli erano rimasti consumassero le ultime provvisioni della sua bottega e aveva chiuso la porta e ritirata l’insegna. I due vecchi poi avevano vissuto ancora qualche anno

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