L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi
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Читать онлайн книгу L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi страница 33
«E' pare, un passo, — ma egli è un abisso: — io ho molto bene considerata la bisogna ed ho meco stesso disaminato se le mie gambe fossero potenti a sì gran salto; non venne anche il tempo. Adesso vi perirei, e meco perirebbero le speranze. Per un passo mosso invano davanti, conviene darne cento all'indietro...»
«Se voi soccombete, nessun nome potrà pareggiarvi nella fama; se vincete, la terra non contiene creatura da paragonarsi con voi.»
«A me non garbano queste virtù di sacrifizio, nè gli anni miei mi persuadono mettermi allo sbaraglio dentro fortune dubbiose e difficili; mia divisa è il trionfo. Altri si contenti uscire dal mondo bello di fama e di sciagura; — io voglio vincere. Nè mi consolerebbe nella caduta dovessi pure, precipitando, imporre il mio nome ad un mare.»
«A voi, come ad Icaro, non giungono nuove le vie del firmamento: — i venti vi hanno trasportato mille volte il nome di Andrea Doria»
«Quindi io di tanto più temo la fortuna avversa quanto fin qui mi si mostrava favorevole. La fortuna, siccome donna, ama i giovani, dice Gianiacopo Trivulzio, e dice bene: ed io son vecchio, Luigi. La tarda età forse può disegnare gli alti concetti, ma il tempo e il vigore le mancano per condurli a fine...»
«Cominciate, Andrea; — non è poi così povera questa nostra patria di anime generose da rimanere spassionate ai nobili esempi.»
«Non oso; repugno dal mettere in avventura l'ultima spanna di terra dove la speranza può gettare la sua àncora: non mi parrà serva affatto l'Italia, finchè io lasci Genova come una porta aperta alla libertà. Finchè gli italiani uomini potranno trovare in Italia una spanna di terra dove tendere l'arco, aggiustarvi il dardo e tôrre la mira al cuore della tirannide, ogni momento della sua vita potrebbe essere l'ultimo...»
«Messere Andrea, i poeti hanno nell'anima gran parte di Dio...»
«Lo dicono.»
«Prova ne sia che io adesso leggo i pensieri più riposti del vostro cuore, nè la carne che lo fascia m'impedisce più di quello che fosse acqua limpidissima di una fonte o di un lago.»
«E che cosa vi leggete voi?»
«Vi leggo, e apertamente vo' dirlo, che a voi piace parere più ch'essere grande; che il misero pensiero di ampliare la famiglia di potestà e scemarla di fama s'insinua tra i concepimenti magnanimi di cittadino e gl'impedisce di spandersi. La patria, piuttosto che amare, non odiate; la desiderate grande, ma perchè Giannettino e gli altri vostri nepoti della sua grandezza partecipino; non ardite avventurare il bene acquistato perchè ve lo siete fatto vostro...»
«Per Dio! se non fossimo qui dinanzi gli altari...»
«Mi uccidereste, — e non per questo avreste ragione...»
«Luigi, io non voglio sdegnarmi con voi. — Le vostre parole non mi recano oltraggio; — al vostro cervello perdona il vostro cuore; — mi conoscerete quando il tempo avrà umiliata o spenta la fronte che adesso si corona.»
«Pessimo è, a parere mio, quel consiglio che conta con la morte altrui, non con la vita propria. Questo desiderio di morte è come palla che gli uomini si rimandano dall'uno all'altro tra loro: — chi le darà l'ultimo colpo? No, lasciatemi, io vo' dire tutta ed intera la verità...»
«Va' via, importuno; i popoli mi hanno innalzato una statua, come a liberatore della patria...[88]»
«Quei popoli stessi la ridurranno in mortai per pestarvi il sale; forse un giorno il popolo la getterà a terra, e la tirannide, che ti conoscerà anche traverso la caligine dei secoli, la riporrà sulla base, come simulacro consacrato a remoto congiunto. Tu hai desiderato la statua piuttostochè desiderato meritarla. Attila ordinò si gettasse sul fuoco un poema, e per poco stette non vi facesse gettare il poeta Marullo perchè lo aveva eguagliato ai numi immortali. Tu bevi l'adulazione a grandi sorsi, come tazze di vino; e, come il vino, ti ha tolto il senno. Un cittadino che amasse la patria libera davvero, non avrebbe consentito che i suoi concittadini si deturpassero ad atti convenienti soltanto fra schiavi e re...»
«Alamanni!»
«Silenzio! Tu hai cessato la tua grandezza, e la tua voce non ha più potenza di ricercarmi il cuore. Addio: — l'estreme parole furono favellate tra noi; — la medesima plaga del cielo non cuoprirà più le teste dell'Alamanni e del Doria. L'ultima stella è caduta. — Io gemerò, finchè abbia vita, sulla perduta tua fama. Dopo Camillo romano, a nessuno fu dato essere più grande di te. Vorrei lasciarti e non posso. — Ah! Doria, salva la patria. — Addio: — io ti getto, in pegno di un'amicizia che spira, la scelta di farti il più grande o il più infame degl'Italiani. Abbatti la statua e sii contento che la tua memoria viva nella nostra anima; rendi alla patria le navi con le quali la salvasti e con le quali, volendo, potresti nuovamente ridurla schiava[89]; — o se pur vuoi continuare a governarla, dirigine il corso contro ai barbari: — barbari io chiamo tutti gli stranieri in Italia. — Le Alpi passate e il mare, tornerò ad appellarli cristiani... fino allora, barbari e cani.»
«E la fede giurata all'imperatore?»
«La devi prima di tutto al tuo paese. — E al Cristianissimo non l'avevi per avventura giurata? E non per questo ti trattenevi dall'abbandonarlo. — Se il re Francesco scambiavi con Carlo, ti guadagnasti il nome di traditore... se l'uno e l'altra per la patria tu lasci, o felice o infelice, gli uomini altari t'innalzeranno e preghiere...»
E fu fatto silenzio.
«Luigi!» dopo un breve spazio di tempo esclamò il Doria, ma non ottenne risposta, «Luigi! Luigi!» replicò frettoloso, come se forte gli premesse di comunicargli un arcano.
Luigi si era pianamente di colà rimosso, lasciandogli la tremenda alternativa di essere grande od infame.
Andrea Doria fu egli grande od infame? Io non posso giudicarlo. Dirò soltanto che la profezia dell'Alamanni si avverava. Il popolo rovesciò la sua statua, il tiranno sopra l'antica base la restituiva[90]. Nè si conobbe l'Alamanni, in questo solo, profeta[91].
«Viva Carlo V imperatore dei Romani, signor del mondo! Viva Augusto! Viva Cesare!»
Queste grida discordi ed assordanti tolsero il Doria della sua distrazione: — guardò di nuovo gli scanni pontificio e imperiale, e vide Carlo e Clemente starvi nell'orgoglio della potenza loro intronizzati.
L'ufficio della messa continuando, cantano preghiere, con le quali invece di supplicare Iddio e i suoi santi per tutte le creature, gli supplicano per un uomo solo, per Carlo di Gand. Agli angioli, ai troni, agli arcangioli, alle potenze, ai cherubini, alle vergini, ai martiri ed alla rimanente corte celeste non si dice più: Orate pro nobis; sibbene: Vos adiuvate illum. E' sarebbe stata cosa gioconda vedere come in quel punto, Dio esclusivamente occupato per Carlo, il mondo si governasse senza di lui. E se, come sembra, il nostro globo continuò a vivere in pace con gli altri, il sole non rimase di scaldare, la terra di produrre, il mare di volgere l'eterne sue onde... uno scrupolo comincia a penetrarmi nello spirito, che mi farò chiarire dal reverendo mio padre confessore... un sant'uomo in verità. Ma no; tolga Dio, che per insania altrui la nostra mente vacilli: Carlo V nell'ardua superbia della sua vanità non richiamò a sè maggiore cura dell'Eterno, nè minore di quella che se avesse appartenuto alla famiglia delle scolopendre.
Recitato l'Evangelo, cantato il Simbolo Niceno della fede cristiana, pervennero all'offertorio. L'imperatore le vesti imperiali depositando, rimasto con la tonacella dalmatica, si accostò all'altare e depositò la sua offerta ai piedi del pontefice: — trenta monete d'oro