L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi

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L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi

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i santi del paradiso non essermi rimasto un picciolo per riscattarmi. A che volete ritenere un povero vecchio? A che sono buono io? — Ahimè! sentite! — è rovinato un trave... forse sul corpo della mia figliuola... scioglietemi... lasciatemi. — Ed altre aggiungeva tanto compassionevoli parole che faceva passione a sentirlo. Ma gli scherani non gli badavano, intenti a dividersi le nostre masserizie più care. Ben poteva tenermi nascosta, ma come può figliuola abbandonare il padre in balìa a tanto affanno? Disprezzato il pericolo, mi palesai e corsi ad abbracciarlo esclamando: Sono salva! — Egli non poteva abbracciarmi, che ambe le mani dietro al dorso gli avevano legate; — mi baciava... piangeva... mormorava parole per passione soverchiante confuse. Così i nostri mali obliavamo, quando uno dei masnadieri in sembianza superiore agli altri mi viene appresso, e di forza piegandomi verso lo incendio mi guarda allo splendore delle fiamme della mia casa con piglio tra ladro ed osceno, poi vôlto ad un suo cagnotto, comanda: — Menala assieme con le altre. — Stende il cagnotto le mani; — io mi riparo alle spalle del padre; e questi, siccome ira ed amore lo consigliano, privo d'ogni altra difesa, a morsi mi difende; — ed ora prega, ora impreca affannoso. — Il caporale, infastidito da coteste imprecazioni, esclama: Pieraccio, fa che il tristo corvo si accheti; — e per sempre. — Il cagnotto si trasse indietro, calò giù dalle spalle l'archibuso, tolse di mira il padre mio, ed accostando la corda accesa al focone, sparò contro di lui. — Egli cadde rotolando dentro la fossa che circondava il giardino, ed io ancora caddi, come se il colpo medesimo avesse ucciso due creature. Quanto tempo durassi in tale stato, non saprei: allorchè rinvenni, mi trovai dentro una capanna angusta, e intorno a me certe fanciulle del vicinato per lunga domestichezza mie familiari. S'ingegnavano con diversi argomenti richiamarmi alla vita. Posai pertanto di alcun poco la paura; e sopra tutto mi fu a bene cagione la vista di monna Lucrezia Mazzanti da Figline. Questa magnanima donna, di cui vi narrerò il pietosissimo caso, che aveva di qualche anno condotto a marito Iacopo Palmieri da Fiorenza, abitava in villa poco lontana dalla casa che fu nostra nel popolo di Dudda: — lei citavano esempio di domestica virtù; per santità di costumi venerata, dai poverelli per la sua beneficenza benedetta, a cagione della donnesca sua leggiadria a quanti la conoscevano gradita, discreta, ben parlante, amorevole. Io, da gran tempo priva di madre naturale, lei madre per elezione riveriva ed amava. Conveniva in sua casa mio padre; e talvolta, quando stava in villa a San Casciano, un messere di alto affare, a cui mi facevano baciare la mano per ossequio, dicendomi di lui infinite novelle e come avesse corso pericolo di vita per causa della libertà e lo avessero posto al martoro, come de' casi degli uomini fosse speculatore arguto, espositore eccellente, virtuoso, dabbene... lo salutavano col nome di messere Segretario... sovente ancora messere Nicolò...»

      «Il padre mio!» esclama Ludovico.

      «E sì che mi pareva osservare sul vostro volto sembianze a me già conte da tempi remoti...» E mentre così la vergine favellava, il capo declinando, arrossiva. — Poco dopo riprese: «Che fa egli? vive?»

      «Dio lo ha chiamato alla sua pace.»

      «Fortunato lui, che i suoi occhi non vedono le presenti miserie! — Siccome me lo dicevano della patria amantissimo, pietà divina certo lo tolse allo spettacolo di così profondo infortunio. — A lei dunque mi voltai interrogandola dove fosse mio padre: ed ella rispondevami starsi in luogo sicuro; non dubitassi; lo avrei riveduto un giorno, sotto cielo meno inclemente, circondato da creature più buone. Coteste parole non mi confortavano punto; ricordai lo scoppio dell'archibugio, il padre scomparso, e stemperandomi in pianto, più e più sempre invocava il mio povero padre. Le compagne, male sapendo come consolarmi, dolenti anch'esse per eguali sventure, piansero al mio pianto, ai miei gridi gridarono. Sola madonna Lucrezia, trattenute le lagrime, non facendo atto che apparisse vile, con soavi parole ci conforta, in mille modi diversi s'ingegna raumiliarci: — Il pianto, ci dice, ai colpi di fortuna non giova anzi gli aggrava; togliessimo animo pari ai casi con i quali il Signore intenderà provarci; rammentassimo le donne di coloro i quali con rischio della vita avevano pigliato in mano la difesa della patria non dovevano piangere; a nemico superbo opponessimo altero petto; un giorno anch'essi scontrerebbero amare queste esultanze nefande; a Dio volgessimo il cuore rassegnato e contrito; alla Madre Santissima ci raccomandassimo; serbassimo la vita finchè potevamo con onore; se no, scegliessimo la morte, e il cielo si aprirebbe a raccogliere la nostra anima cantando le glorie dei martiri. — Così accesa nel volto con occhi lucenti favellava la santissima donna, quando, schiusa la porta, apparve tra noi l'abborrito ordinatore della morte di mio padre. Le compagne mi si strinsero attorno, come colombe paurose del nibbio; io lo guardava fisso e sentiva ribollirmi nel cuore orribile sete di sangue, sicchè se mi fossi trovata in mano daga o archibugio e avessi saputo come si uccide un uomo, lo avrei trucidato di certo. — Costui, che seppi tenere grado di capitano, e chiamarsi Giovambattista da Recanati, si restrinse a colloquio con Madonna; procedevano da prima le sue parole dimesse, la persona piegava in atto di ossequio, — poi diventò a mano a mano, concitato nel dire, gli occhi gli avvamparono ardenti. Madonna rispondeva raro, come schermendosi da molesta domanda, e noi la vedevamo ora impallidire, ora arrossire a guisa di persona posta al tormento. All'improvviso quel tristo proruppe: — Fin qui pregai. Ora sappiate ch'io posso volere e voglio... — Lucrezia lo supplicava tacesse, il luogo considerasse e le persone; ma l'altro non udiva ed ambe le braccia distese per afferrarla. In quello estremo la donna gli strappa la daga dal fianco e, alquanto indietreggiando, gliel'appunta alla gola gridando: — Scostati, o sei morto. — Il capitano si trasse in disparte e, contraendo le guance, fece greppo e mostrò i denti come fiera che si apparecchia a divorare la preda. — Era il suo riso. Poco appresso rincorato, — Madonna, le disse, rendetemi la daga: voi ricambiate odio per amore; — questo fa torto alla vostra pietà. — Ed ella: — Sì, certo, io non voglio comparire davanti al mio Creatore coll'omicidio sull'anima. Non a voi, capitano, sibbene a me stessa, darò la morte, se vi accostate anche un passo. — Non ne farete niente, Lucrezia! — e si favellando si avvicina; allora ella volge la punta al proprio seno e si apre le carni, cosicchè ne spiccia larga vena di sangue. Noi alzammo un terribile grido. Il capitano urlò fieramente anch'egli e, fatto delle mani croce, supplicò si rimanesse, — sarebbe partito. E si partiva: mentre stava per oltrevarcare la porta, Madonna con voce carezzevole lo richiamò indietro, e a lui tutto lieto dell'animo che immaginava nella donna mutato, ella disse: — Pregarlo di farci respirare aere meno grave, ci cavasse per qualche ora dal carcere infame; lasciasseci vagare pei campi paterni. — Ed egli: — Purchè sia meco! — Lucrezia rispose di rimando: — Sia. — Uscito dalla stanza, corremmo alla donna, fasciammo la piaga leggiera, ed ella, come già rapita a sensi diversi, lasciava fare: — diventarono mute le sue labbra: — si nascose il volto nelle mani e così stette fino a sera, premendola un fiero proponimento. Il pianto fu a noi tutte in quel giorno cibo e bevanda. Declinando il giorno, comparve il capitano Recanati in compagnia di alquanti suoi scherani, e con esso loro noi tutti uscimmo. Lucrezia volse frettolosi i passi alle sponde dell'Arno. — Talora si ferma, il cielo considerando e la terra: e poichè il cielo appariva divinamente sereno e la terra lieta di verdi piante... — ah! gli uomini non possono contaminare la natura., — gemè dall'intimo petto. — La brezza vespertina mordeva acuta, e noi la vedemmo dilatare le narici ed aspirarla a lungo tratto, come se intendesse inebriarvisi. — Cotesta era carità di patria, pensiero di godere le voluttà di cui il natio luogo va pieno prima d'immergersi nella morte. — Ora le campane delle parrocchie annunziano la estrema ora del giorno. — Voi sapete come, in cotesta ora, in quel suono si comprenda un'arcana mestizia che vince il cuore dei più tristi e li dispone ai rimorsi della notte. Madonna si pose in ginocchio, — noi ne seguitammo l'esempio, ed ella a noi volgendosi ci disse: — L'ultima ora di un giorno e di una vita è compiuta; pregate per un'anima che sta per passare. — Il senso di quelle parole non ci era chiaro, — pure pregammo con ardentissimi voti. Cosa stupenda e a me medesima, dove non l'avessi con i propri miei occhi contemplata, incredibile. I masnadieri e il capitano, i quali ci vigilavano da vicino, commossi dallo spettacolo di amore e di fede, loro malgrado si prostrarono anch'essi, sforzandosi richiamare sui labbri l'orazione nei primi anni della vita imparata dalla pia genitrice. Noi donne stavamo sopra il ciglione dell'argine; — menava sotto vertiginose le acque l'Arno grosso per le pioggie cadute nei giorni precedenti. Madonna Lucrezia si leva: — aveva nel volto gran parte di cielo; il crepuscolo dorato lo vestiva di luce serafica: ci guardò mesta, non abbattuta; secura

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