L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi
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Читать онлайн книгу L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi страница 48
Ludovico si muove all'improvviso e ponendosi di faccia al vecchio lo interroga:
«Messere Lucantonio, mi ravvisate voi?
«Oh! se vi ravviso», rispose tosto il vecchio andandogli incontro e abbracciandolo, «messere Ludovico, vi siete fatto fiero e gagliardo, la Dio mercede. Vedete un po' come siete cresciuto, si può dire, a giorni. Il vostro signor padre (scusate se vi rinnovo il dolore) ci ha lasciato; — povero uomo! meritava vivere più lunga vita; ma Dio sa quello che fa: — io però non me nè darò mai pace; non isperavo nè desideravo sopravvivergli. Duri tempi, figliuolo mio, ma non affatto sfortunati a chi, come voi, eredò tanta copia di domestiche virtù.»
«Messer Lucantonio, profferendovi grazie delle cortesi vostre parole per ora, favelleremo a bell'agio intorno a siffatto argomento. — Volevo dirvi un'altra cosa: — l'incomodo della via, i travagli sofferti devono rendere al vostro corpo necessario il riposo. Qui presso nel popolo di Santa Felicita è la casa del vostro amico defunto; — mia madre e i miei fratelli abitano Pisa da molto tempo, e il modo del ritorno è loro tolto. — Venite ed accettate ospitalità...»
«Io non consentirò...»
«Pensate che il figliuolo del vostro amico non merita rifiuto e che l'alterezza, quando è troppa, diventa superba.»
«Sicuro, eh! il soverchio rompe il coperchio», veniva approvando Lupo.
«Sia come volete. Messeri, amici da un istante, noi lo saremo per la vita: — porgetemi la mano; così come le mani, si uniscano le anime nostre. Lupo, io per me nulla sono... ma se voleste essere pagato col mio cuore, io ve lo manderei dentro una coppa a casa... Addio.»
E salutando con le mani, da destra a sinistra piegando la persona, si accommiatava.
Lupo, staccando il lampione e rischiarando la via, mormorava:
«Pagare! il cuore! Che diavolerie sono elleno queste? Avrei per avventura ceffo di quelli che mangiano gli uomini alle Indie? Messere Lucantonio, vedete non farvi male... andate piano... qua v'è uno scalino da scendere... a rivederci... buona notte. E voi, Annalena, rammentatevi di me nelle vostre orazioni.»
«Addio... buona notte...», si udì alternare da una parte e dall'altra. — Poi fu fatto silenzio.
Lupo rientrando depose il lampione, si avviluppò nel gabbano, e ponendosi a giacere sulla panca, mormorava — Lupo vergógnati! Quell'uomo conta un terzo anni più di te, ha veduto la sua casa incendiata, le sostanze disperse, le terre guaste; e nondimeno pieno di fede spera, o pieno di ardimento fermò nel cuore il suo fine... Tu invece, dubiti... ti sconforti e, quello ch'è peggio, sconforti altrui. — Egli non soldato, tu allevato e cresciuto nei campi. — E ciò da che nasce? Nasce dall'essere in lui il cuore buono, il senno ottimo... — Tu veramente, Lupo, cuore non hai cattivo, si potrebbe sostenere anche buono..., ma per il senno... Ah! Lupo, tra te e te puoi confessare che sei tondo come l'O di Giotto... e non vedi più in là mezza spanna del naso.[111]
CAPITOLO SETTIMO LA PRATICA
Gran cosa, che, di sedici gonfaloni, quindici
furono di tanta altezza e generosità di animo
che risolvettero veder perdere piuttosto
la roba e la vita combattendo che l'onore
e la libertà cedendo.
Varchi, Stor., lib. X.
Chi vuol veder quantunque può natura
In fare una fantastica befana,
Un'ombra, un sogno, una febbre quartana,
Un model secco di qualche figura,
Anzi pure il model della paura.
Una lanterna viva in forma umana,
Una mummia appiccata a tramontana,
Legga per cortesia questa scrittura.
Berni, sonetti.
La storia è poderosa quanto il grido dell'angiolo che deve suscitare dalle tombe le ossa inaridite; — ella evoca le ombre delle andate generazioni e le costringe al giudizio.
Ma lo spirito, insofferente del confine a lui imposto dalla forza misteriosa che chiamiamo Dio, quando s'ingegna conoscere da quello che il mondo soffriva quanto egli ancora sia destinato a soffrire, merita l'inferno comune con Satana. — I fati posero il genio del rimorso a custodia dei sepolcri, — e contendono dalle reliquie dei morti derivarsi argomento di esperienza pei vivi. Continue paure sgomentano gl'indagatori delle arti arcane vietate ai mortali, ed è la storia tra queste. Come l'albero della scienza dell'Eden, sta nella vita umana lo studio; quello produsse la morte del corpo, questo la certezza del male, ch'è la morte dell'anima.
Infelicissima vita dell'uomo giunto a penetrare gli arcani difesi! perocchè i cieli mente bastevole a separarlo dai suoi fratelli di miseria gli concedessero, tanta poi che valesse per sollevarlo alle sostanze spirituali gli negassero. Ora la superbia lo trattiene dall'inclinare lo sguardo sopra una stirpe che egli calpesta e disprezza perchè non sa migliorarla; la disperazione gli dice fissarsi invano occhio mortale nell'alto. Fin dove poteva sorgere, egli è sorto: adesso si roda le viscere. — Ah quasi per errore egli venne tra le cose create: quanta sarebbe pietà riporlo tra le disfatte!
Un tempo fu, adesso per molta età diventato antico, in cui gli uomini ordinarono al poeta adombrate dal velo delle allegorie le sentenze della dottrina morale rappresentasse; ed Eschilo allora immaginava cantando il figlio di Giapeto, salito all'Olimpo per conforto di Pallade, rapirne il fuoco celeste e vivificare con quello lo spirito umano. Geloso il tiranno dei cieli, lo condannando ad immortale supplizio, mandava l'avoltojo a pascere il fegato perenne al sapiente infelice. Incatenato alle rupi del Caucaso, chiama Prometeo[112] l'etere, la terra e il mare in testimonio dell'atroce ingiustizia. Lui incitava al meglio il grido della natura; una pietà profonda, un sublime pensiero lo spinsero a fare meno triste le sorti della bestia che parla. Ora come secondavano gli dei tanto amorevole benignità? La creatura amante e, comechè incolpevoli, le creature amate ebbero comunanza di pena. A tormentare la prima fu mandato l'eterno carnefice; — a tormentare le seconde vennero la infermità, la tristezza, ed Esiodo poeta aggiunge illepidamente le donne...
Più sicuri noi contempliamo la dura verità. Santo Agostino e Rabano[113] ci narrano come Prometeo fosse uomo inclito per dottrina, il quale meditando sulle ragioni delle cose svelava agli uomini le proprie miserie, e palpate le piaghe loro, non seppe poi con qual farmaco mitigarle. Gli uomini tratti dalla ignoranza nell'angoscia maledirono l'importuno maestro, che si consumò nell'angoscia di aver procurato irrimediabile un male con intenzione del bene.
Avventuroso lo stolto! — Bacone de Verulamio due afferma essere le condizioni della vita figurate dalla sapienza antica nelle persone di Epimeteo e di Prometeo. «E chi, egli ragiona, improvvido del futuro seguitò la scuola di Epimeteo prendendo diletto delle cose presenti, senza darsi cura dell'avvenire, placava il genio maligno e, lusingandosi di vane speranze, traeva la vita come nella dolcezza di sogno fortunato. — Gli alunni di Prometeo, per lo contrario, indagatori acuti