Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi
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La Plebe Castagnetana insorge con moti comunisti. È repressa energicamente con lo invio di Commissione speciale.[50] Attentati contro le foreste dello Stato repressi, nonostante il pericolo di sloggiare gli scarpatori armati di pianta in pianta.[51] Guasti di palazzi, attentati d'incendii prevenuti, o repressi. Aggressioni e latrocinii prevenuti parimente o repressi.[52] Plebe Pratese tumultua e minaccia ardere le fabbriche dei cappelli di paglia; con pronti rimedii è frenata.[53] Plebe di Campi irrompente contro le proprietà dei cittadini tenuta in rispetto.[54] Campagnuoli infestanti le vie maestre e i pubblici passeggi, estorcenti danari ai passeggeri, sorpresi e arrestati.[55] Contadini e Plebe Fiorentina invadono il negozio Peratoner sotto pretesto di cambiare i Buoni del Tesoro, e minaccianti pel medesimo motivo la banca Fenzi, repressi, nella deficienza di pronta forza, con la mia stessa persona.[56] Plebe e contadini di Firenze, nella notte del 27 gennaio 1849, percorrono la città, gridando: «Morte ai codini, fuoco alle case;» insultano Veliti e Guardia Civica; invadono i corpi di guardia delle Delegazioni, infrangono porte, e minacciano di morte il Delegato Carli. Cresce il tumulto in Borgo degli Albizzi e in Via Calzaioli. Eduardo Ricci muore di coltello. Un Campigiano è arrestato; gli altri fuggono. Cotesta fu notte in cui più di uno tremò nel suo letto, e le pattuglie esitavano di mettersi a sbaraglio in mezzo al tumulto. Io era per le strade improvvido di me, attendendo al dovere di tutelare la pubblica sicurezza. Sì certo, il mio dovere; ma è pur forza dirlo, egli è più facile assai dare il consiglio, che lo esempio di avventurare la vita per mantenere l'ordine della città: e la città fu quieta; i facinorosi posti in mano alla Giustizia.
I Giornali della Opposizione sbigottivano pei nuovi mostri; il Governo deprecavano a tentare i supremi sforzi per ritrarre il Paese dal fatale sentiero dove precipitava; avvertivano come il Ministro dello Interno nella risposta allo Indirizzo della Corona, prendendo le parti della Commissione, intendesse che lo inciso relativo ai disordini si conservasse, e ciò feci non solo perchè fosse richiamo costante alle cure mie, quanto perchè durasse ammonimento ai Deputati, che male l'ordine si consiglia, e peggio si spera conseguire, se i facili consiglieri non sovvengono con pronte voglie la opera governativa. — Infine, a fronte scoperta annunziavano comparire sintomi quotidiani di potente reazione, e gente perversa che, sotto sembianza di difendere la libertà, per via di tumulti e di scandali cospirava ad opprimerla.[57]
Troppo fastidiosa opera sarebbe ricordare tutti i casi di simile natura, successi durante il mio Ministero: bastino gli esposti per chiarire, come la plebe cittadina si rimescolasse con la rustica; e come, peggiorata la indole, cotesti moti incominciassero a manifestarsi attentatorii alla vita e alla sostanza dei cittadini.
Io vegliava quando la città si dava in balía del sonno; e con l'animo sospeso tendeva l'orecchio se alcun rumore sorgesse, per correre sul luogo del pericolo. Al difetto di ordinamenti e di forze, suppliva con operosità, che mi ridusse in breve a comparire l'ombra di me stesso.[58] In quei giorni pochi erano i labbri di ogni maniera di gente, che non pronunziassero lode al mio nome. — L'ora della ingratitudine non era peranche arrivata!
E fermamente credo, che dove ogni barriera non si fosse, per così dire, abbassata spontanea davanti allo impeto della fazione politica e dei tumultuanti, a fine ancora più pravo, non senza lotta forse, ma certissimamente con buon successo, sariasi potuto resistere, ed ordinare lo Stato. — Lasciando alla coscienza pubblica decidere se dirittamente e cristianamente operassero i Giudici, quando mi gittarono in faccia il vituperio di complice, o impotente frenatore di turbolenze, io penso potere concludere con queste proposizioni. 1º Forza rivoluzionaria sorse in Toscana fino dal 1847. 2º Ordini governativi furono fino da quel tempo manomessi da prepotente impeto di forza rivoluzionaria. 3º Nel settembre del 1848, rimasero affatto distrutti. 4º Stato alla mia chiamata al Ministero era stremo di qualunque difesa. 5º Non ignavo, non codardo, non infedele custode della pubblica sicurezza fui io.
VIII.
Di una insinuazione dell'Atto di Accusa, che mi dà luogo a chiarire le sofferte ingiurie per la parte della Polizia.
All'Atto di Accusa bastò l'animo toccare la storia delle disoneste persecuzioni da me sofferte nei tempi trascorsi. Poco tempo addietro non s'incontrava anima viva, che volesse accettare la trista eredità del Potere Economico; la ricusavano tutti, anzi aborrivanla; però che a così fare persuadessero alcuni pudore, altri la usanza. Adesso, sembra che si pentano della improvvida renunzia, e mettono innanzi non so quali restituzioni in integrum, come pei pupilli si costuma fare! Io mi era astenuto favellarne; parevami decoroso per la fama della nostra civiltà non ridestare memorie, che a tutti noi dovrebbe essere grato lasciare nell'oblio: ed io, a cui avrebbe dovuto tornare più ardua la dimenticanza, dimenticava mosso da patria carità. Pensava, che evocare coteste memorie deplorabili si uguagliasse allo agitare che fece Marcantonio, davanti agli occhi del Popolo, la camicia insanguinata di Cesare! Quantunque io considerassi qual tesoro di pietà mi schiuderebbe appo l'universale la esposizione dei patiti dolori, io non ardiva discorrerne, — mi vergognava..... in verità mi vergognava....! Temeva mi si dicesse: tu vuoi commuovere le nostre menti con gli affetti per mancanza di ragioni. Adesso, mercè l'Atto di Accusa, mi è fatta abilità di favellarne, e di ciò grazie gli sieno, imperciocchè io deva credere, ch'egli in bel modo mi abbia voluto porgere occasione di rivelare anche in questa parte le vicende della mia vita. Ecco pertanto le parole dell'Atto di Accusa. «Questo imputato ha interessato altre volte, e sempre per cause politiche, ora l'Autorità Governativa, ora la Giustizia, ora la Grazia.[59]» Cinque sono le piaghe di cui porto le stimate, ed è questa la sesta.
Nel 1821, fanciullo di quattordici anni, attendevo agli studii forensi nella Università Pisana. Cotesto anno andò famoso per rivoluzioni italiane, specialmente di Napoli. Da cotesto Regno erano mandate Gazzette, le quali, oltre al racconto dei casi, che alla giornata vi succedevano, referivano i discorsi tenuti nel Parlamento da personaggi per chiarezza di fama prestantissimi. La lettura delle Gazzette si permetteva nei Caffè, ed è facile immaginare se la curiosità od altro più nobile affetto le menti giovanili invogliassero a sapere di cotesti successi e di coteste orazioni. Non bastando però una sola copia a soddisfare la impazienza degli scolari, fu stabilito che a turno uno di noi salisse sopra luogo eminente e leggesse. A me toccò la mia volta come agli altri, e voglio confessare più spesso che agli altri, forse perchè avessi o migliore voce, o migliore garbo nel leggere. — Questo fatto mi fruttò la perdita di un anno accademico per Risoluzione Economica del Buon Governo. — Se cotesta era colpa, perchè consentire che le Gazzette si esponessero alla lettura nei Caffè? Non pareva insidia tesa a inesperti fanciulli? E se non era colpa, perchè punirci? E chiunque pensi che coteste pene cadevano sopra famiglie numerose, la più parte scarse di averi, e come a molti giovani venissero ad essere rotti per sempre gli studii, ad altri con inestimabile danno ritardati, non dubiterà affermare, che potevano reputarsi veri omicidii intellettuali. Ho narrato altrove[60] come, venuto a Firenze, reclamassi della ingiustizia presso il Presidente del Buon Governo, il quale mi disse: A lui non appartenere la facoltà di graziare; egli non potere fare altro che punire. Alla quale proposta risposi: Io vi compiango, Signore, se occupando un posto dove anche senza volere fate del male, e al mal fatto non potete riparare nè anche volendo, la vostra coscienza vi consente rimanervi. — Come si chiama questa Grazia o Giustizia? Lo dica l'Atto di Accusa, chè per me io me ne lavo le mani.
Ci era una volta..... e forse vi è ancora, in Livorno un'Accademia dall'antico Ercole Labrone appellata Labronica. Me vollero ascritto alla medesima, e, quantunque non mi sentissi troppo tagliato a diventare Accademico, per non comparire scortese mi lasciai fare. Tenevano allora in cotesto collegio il primato uomini antichi e presuntuosi, usi a convocare una o due volte l'anno i cittadini, perchè ascoltassero i vieti sospiri in rima di qualche