Beatrice Cenci: Storia del secolo XVI. Francesco Domenico Guerrazzi
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—A che pensi, mio diletto Virgilio?
—Penso, che sarebbe pure stata la grande carità non farci mai venire al mondo!
—Ah! Virgilio…
—E poichè a questo non trovo più rimedio, il meglio sarà uscirne presto.
—Uscirne! E perchè?
—E perchè restarci? Il mio cuore qui dentro è morto da tempo; e quando il cuore è morto, oh come pesa che gli sopravviva il corpo!
—Tu, si può dire, ti affacci appena, fratello, alla vita, e già favelli parole disperate; ciò non istà bene: vivi e rallegrati, perchè non sai quali rose educhi per te la fortuna.
—Rose! fortuna! Adesso la morte coglie i fiori per la ghirlanda della mia bara. La fortuna mi abbandonò quel giorno che perdemmo la madre…
—Ma noi non ci possiamo considerare orfani affatto: forse l'ottima signora Lucrezia non ci mostra viscere di madre?
—Sì, ma non è nostra madre.
—E poi non hai anche me, che ti amo tanto?
—Sì, sì, buona sorella, rispose il fanciullo gittandole le braccia al collo e piangendo dirotto;—ma nè anche tu sei la mamma mia.
—Ed oltre a me, ti mancano forse fratelli? Non hai tu padre?
—Chi padre?
Beatrice, atterrita dallo improvviso rimescolarsi del fanciullo a cotesta parola, si tacque. Solo, dopo lungo silenzio, con voce esitante soggiunse:
—Francesco Cènci non è per avventura tuo padre… e mio?
Il fanciullo abbassò il capo, chiuse gli occhi, fece delle braccia al petto croce, e con suono velato rispose:
—Sorella, guardami su la fronte alla radice dei capelli; vedi la cicatrice che vi porto?—La vedi?—Sai tu chi mi ha ferito?—Io non tel dissi fin qui; ma ora, che mi sento vicino a morire, io te lo posso confessare. Ripensando fra me come Francesco Cènci mi tenesse in dispregio, e sovente mi guardasse di traverso, nè a me parendo di meritarlo, un giorno, fattomi cuore, gli caddi davanti, e tentai prendergli la mano per recarmela alla bocca. Egli gridò: «va via, bastardo!» e mi diè così forte un pugno nel petto, che mi spinse giù a precipizio a percuotere col capo nello angolo dello armario, ch'ei tiene nel suo studio.—Francesco Cènci mi vide svenuto, e tutto intriso di sangue;—mi vide, e non mi rilevò.—Di qui la ferita; di qui la infermità, che mi consuma le viscere…
Beatrice rabbrividì, nè potè formare parola. Il fanciullo con passione crescente scuoprendo dalla manica un braccio scarno, e sporgendolo verso la sorella:
—Guarda, aggiunse, la traccia di questo morso. Sai tu chi me lo ha fatto? Nerone; e senti come. Un giorno io colsi in giardino una bella pesca, e dissi: andiamo ad offrirla al signor padre, che forse la gradirà. In questo pensiero mi avvio alla sua stanza, apro l'uscio, e vedo ch'ei legge. Timoroso di disturbarlo, mi accosto pian piano; quando Nerone mi si avventa addosso e mi morde il braccio:—io spasimava per dolore… mio padre rideva.
Il seno di Beatrice palpitava così, che parea volesse spezzarsi.
—E se Marzio non era, egli mi lasciava sbranare. Mira anche qui—e il fanciullo si spartiva i capelli al sommo del capo—vedi questa piazzetta? Manca una ciocca di capelli. Sai tu chi me gli ha strappati? Il padre mio. Poco dopo il colpo percosso dentro l'armario, col capo tuttora fasciato, preso dalla passione che mi affogava, mi presentai risoluto dal padre, e gli dissi: «Padre mio, in che cosa vi offesi? perchè mi odiate voi? Beneditemi in nome di Dio, benedite il figliuolo vostro, che vi ama». Egli, avvoltasi prima una ciocca dei miei capelli alle dita, mi rispose così;—senti bene, proprio così: «Se tu avessi il capo di zolfo, e le mie parole fossero di fuoco, io ti benedirei per bruciarti: va, vipera, perchè io ti odio tu devi odiarmi; io non so che cosa farmi del tuo amore, bastardo!» E tirò tanto forte, che mi parve tutta la pelle del cranio si distaccasse con immenso dolore: la ciocca dei capelli gli rimase in mano; ed infuriando, lo spietato, nella ira, come se egli soffrisse, non io, il dolore, soggiunse: «Io maledico te e i tuoi figliuoli, se mai arrivi a procrearne; possiate tutti vivere di miseria, nudrirvi di delitto, e morire di patibolo».—Ora, Beatrice, fammi grazia di dirmi un po' come posso desiderare di vivere io? Mia madre mi ha lasciato; mio padre mi ha maledetto: non è egli dunque meglio, che io muoia? Non dico il vero, sorella?—E qui il fanciullo singhiozzava convulso.
Cotesti dolori non potevano consolarsi. Beatrice lo sentì, e si tacque; la sua fronte si coperse di sudore, e le gocce succedendosi cadevano spesse come le lacrime dagli occhi dolenti. Poichè fu trascorso spazio lungo di tempo in silenzio affannoso, Beatrice, comprimendo la passione che le traboccava dall'anima, si provò a confortarlo con voce mansueta:
—Quietati, Virgilio, tu avrai colto il mal tempo…
—No, egli era tranquillo…
—Forse turbato da qualche cura segreta…
—No, egli era lieto;—dopo che il cane mi ebbe morso egli si pose a scherzare con lui… col cane, che stette per isbranargli il figliuolo!—Adesso anch'io non lo amo più… sai? Quando lo vedo m'entra il tremito nelle vene, e la sua voce mi dà il dolore di capo. Spesso con gli occhi della mente io vedo non lontano un luogo oscuro, dond'esce rumore di bestemmie e d'imprecazioni scellerate; e una voce irrequieta mi tintinna nelle orecchie: «Cotesta è la contrada dell'odio, tu sei aspettato colà». Io non vi voglio andare; io non voglio odiare persona… molto meno mio padre… piuttosto voglio morire.
Beatrice, tramutata nella faccia, si sentiva venir meno; ma con la forte volontà domando la natura, si vinse: levò gli occhi al cielo, si sforzò favellare, e non potè;—invece di parola, dalla gola attenuata mise un singulto. Soprastette alquanto, e poi con voce, che studiò rendere soave, disse:
—Virgilio mio, non disperiamo; ma supplichiamo l'Eterno onde voglia ispirare sensi più mansueti per noi nella mente del nostro genitore.
—O Beatrice! E pensi tu, che io non lo abbia supplicato? Oh quante volte l'ho fatto! La notte precedente al giorno in cui Francesco Cènci respingendomi da se mi ruppe la testa, io mi levai cheto da letto in camicia, scalzo, e me ne andai giù in cappella; dove, inginocchiato davanti la reliquia di santo Felice protettore della nostra famiglia, supplicai con tutto il fervore perchè l'anima del padre ammollisse, e lo persuadesse a ricambiare con un poco di amore lo svisceratissimo bene che gli portavamo noi. Vedi eh! come mi esaudirono i santi!
E trattenendosi alquanto sopra di se, poco dopo riprese:
—Ma un'altra preghiera conosco avermi esaudito Dio, e fu quando mi rilevai da letto, e per la seconda volta andai a prostrarmi davanti al Crocifisso miracoloso, e: Abbi misericordia, dissi, o divino Redentore, di me, e tu o mi dona lo affetto del padre, o richiamami alla tua pace. A queste parole Gesù piegò il capo, come per rispondermi: Sarai esaudito…
—Ci