Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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alzato. Si aggrappava con le mani al braccio del commissario.

      — Vieni con me, allora…

      Nella camera, De Vincenzi si mise a cercare.

      Matteo sembrava ipnotizzato. Fissava la spalliera del grande letto nero e non distoglieva lo sguardo da quel punto. Era evidente che sapeva dove si trovassero gli oggetti cercati dal commissario e non voleva tradirsi.

      Quando De Vincenzi, dopo aver frugato nei cassetti del canterano e dentro l’armadio, si avvicinò all’inginocchiatoio, di fianco al capezzale, l’uomo ebbe un sussulto.

      La predella dell’inginocchiatoio si apriva. In quel ripostiglio, del resto ben poco segreto, erano il cappello di paglia col nastro bianco e azzurro, gli occhiali e la barba finta dell’uccisore di Giorgio Crestansen, che non poteva non essere anche l’uccisore di Giobbe Tuama. Era ben sicuro di non venir mai sospettato, Giacomo Down, se non aveva creduto necessario distruggerli o nasconderli in modo più abile!

      Il commissario prese quegli oggetti, che erano la prova accusatrice, e li avvolse in un giornale che aveva in tasca.

      — Hai veduto il Pastore servirsi… di questa roba?

      Lo gnomo si bilanciò sulle gambe sbilenche, fece gli occhi rotondi e non rispose.

      Del resto, a che scopo interrogarlo ancora?

      — Matteo, ho bisogno di te!… – e gli batté amichevolmente una mano sulla spalla. – Va’ al telefono, chiama la Questura… così com’hai fatto poco fa, quando… avete trovato il Pastore ferito, e fatti mettere in comunicazione col vice commissario Sani… Digli di prender con sé una diecina di agenti e di venir subito qui, al Presbiterio… E che conduca anche il Pastore…

      — E quando avrò telefonato, debbo tornar qui?

      — Rimani al caffè… Verrò io a prenderti più tardi…

      Era l’unico modo per indurlo a fare quel che gli aveva chiesto. Il pensiero di tornare al Presbiterio, d’esser messo forse a confronto col Pastore, lo avrebbe indotto anche a fuggire.

      De Vincenzi scese le scale, tirandosi dietro il vecchio e cercando di fare il meno rumore possibile.

      Quando furono nel corridoio dell’ingresso, andò avanti e chiuse rapidamente la porta della sala, per far passare Matteo senza che le due donne lo vedessero.

      Lo accompagnò alla porta e lo spinse fuori:

      — Va’… E bada ch’io ti osservo da qui… Se non entri nel caffè e non telefoni, ti raggiungo…

      Lo gnomo corse sotto la pioggia e scomparve subito alla vista, dietro la cortina fumosa, inghiottito dall’oscurità.

      De Vincenzi lasciò la porta accostata e, coll’involto tra le mani, entrò nella sala.

      Capì subito che le due donne si erano riprese, avevano dovuto parlare tra loro. Virginia aveva comunicato alla vecchia un po’ del suo coraggio e della sua forza.

      Quando videro entrare il commissario, l’infermiera si alzò e gli andò incontro.

      — Ho ucciso io Giobbe Tuama e Giorgio Crestansen… Se lo meritavano!… – pronunziò lentamente.

      De Vincenzi la guardò e sorrise con indulgenza. Le passò dinanzi e si avvicinò al grande tavolo, davanti al Cristo. Vi depose l’involto e lo aprì.

      Poi si volse.

      — Siete stata infermiera dei pazzi, Virginia Worth?

      La donna non rispose. Aveva veduto gli oggetti deposti sul tavolo e s’era sbiancata. Si afferrò una mano con l’altra e se le torse, convulsamente. Alzò gli occhi al Cristo per invocarne aiuto.

      De Vincenzi andò diritto verso Dorotea Winckers Shanahan.

      — Vostro marito, signora, il vostro primo marito si chiamava Olivier O’Brien?

      — Sì.

      — Giacomo Down e miss Lolly erano suoi figli?

      — Sì.

      — Tra poco Giacomo Down sarà qui… Ho fatto avvertire il funzionario, che lo ha in custodia ed egli lo condurrà al Presbiterio… Volete parlare prima che egli giunga? Credo che in tal modo potreste evitare una scena penosa…

      Virginia Worth s’interpose fra i due.

      — Se vi ho detto che sono stata io ad uccidere?! Arrestatemi… Non c’è altro da dire…

      De Vincenzi l’allontanò con dolcezza.

      — Voi vi siete vestita da uomo e avete ucciso Giorgio Crestansen all’Hôtel d’Inghilterra e Giobbe Tuama in Piazza Mercanti??…

      — Perché non avrei potuto farlo?… Io li odiavo!… Essi avevano rovinato la vita di mio fratello… Olivier O’Brien era mio fratello!… Se io mi sono messa un altro nome… se Lolly e Giacomo han dovuto fare altrettanto, è stato perché, per opera di quei tre, il nome di O’Brien è un nome infamato…

      Parlava con voce fredda, s’era irrigidita.

      Possibile che una donna avesse avuto tanta energia e tanta crudeltà? L’assassinio di Giobbe Tuama poteva esser stato compiuto da una donna… La vecchia aveva le mani alla cintura del grembiule e De Vincenzi le fissava… Erano bianche, diafane quasi, ma ossute, tutte nodi… Mani da strangolatrice… Si poteva concepire, però, che quelle mani di donna avessero immerso il lungo ago acuminato nel cuore di Giorgio Crestansen cloroformizzato?

      — Se non fosse stata Virginia Worth ad uccidere Giobbe Tuama, lo avrei ucciso io… L’ho atteso davanti alla porta di casa sua, per farlo…

      Adesso, aveva parlato Dorotea Shanahan… Anche lei non si era mossa, rigida, diritta, col cappellino di lustrini e la grossa borsa nera fra le mani…

      In quella vastissima sala, rischiarata dalla luce smorta e rossigna delle due lampadine alte al soffitto, con tutte quelle ombre negli angoli, sui muri, la confessione lanciata con voce ferma, a capo eretto, come una sfida, dalle due donne risuonava particolarmente drammatica, dava i brividi.

      De Vincenzi tacque qualche istante. Gli occorse un violento sforzo su di sé, per poter continuare. Oramai, bisognava arrivare alla fine… Virginia Worth lo fissava, attendendo. La cognata le si era messa al fianco, quasi volesse dividere con lei la responsabilità schiacciante dei suoi atti criminosi.

      Dicevano la verità – tutta la verità – o tentavano in quel modo di coprire Giacomo Down?

      Questo era il problema, che attanagliava lo spirito e la ragione del commissario.

      Una donna aveva commesso quei tre assassinii e due di essi li aveva commessi con abilità diabolica, con ferocia inaudita!… Ma se anche il terzo era stato perpetrato dalla medesima persona, come spiegare ch’essa aveva voluto in quel modo quasi deliberatamente tradirsi, compromettendo il piano predisposto? Poiché, insomma, la morte di Beniamino O’Garrich sembrava piuttosto l’atto di un folle o il gesto disperato

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