In Silenzio. Luigi Pirandello

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In Silenzio - Luigi  Pirandello

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pavimento acciottolato come la strada; e di qua la mangiatoja, dove qualche asinello o qualche mula scalpitavano, tormentati dalle mosche; di là, il letto alto, monumentale; e poi una lunga cassapanca nera, d’abete o di faggio, che pareva una bara; e due o tre seggiole impagliate; la madia; e poi, attrezzi rurali. Su le pareti grezze, fuligginose, per unico ornamento, certe stampacce da un soldo, che volevano raffigurare i santi del paese. Per la strada intanfata di fumo e di stalla ruzzavano ragazzi cotti dal sole, alcuni ignudi nati, altri con la sola camicina, a brendoli, sudicia; e le galline razzolovano, e grugnivano, soffiando col grifo tra la spazzatura , i porcellini cretacei.

      Quel giorno si parlava della nuova comitiva d’emigranti che la mattina dopo doveva partire per l’America.

      – Parte Saro Scoma, – diceva una. – Lascia la moglie e tre figliuoli.

      – Vito Scordìa, – soggiungeva un’altra, – ne lascia cinque e la moglie gravida.

      – È vero che Càrmine Ronca, – domandava una terza, – se lo porta con sé il figliuolo di dodici anni, che già andava alla zolfara? Oh Santa Maria, il ragazzo, almeno, avrebbe potuto lasciarglielo alla moglie. Come farà quella povera cristiana, ora, a darsi ajuto?

      – Che pianto, che pianto, – gridava lamentosamente una quarta più là, – tutta la notte, in casa di Nunzia Ligreci! Il figlio Nico, tornato appena da soldato, vuol partire anche lui!

      Udendo queste notizie, la vecchia Maragrazia si turava la bocca con lo scialle per non scoppiare in singhiozzi. La foga del dolore le rompeva però, dagli occhi sanguigni, in lagrime senza fine.

      Da quattordici anni erano partiti anche a lei per l’America due figliuoli; le avevano promesso di ritornare dopo quattro o cinque anni; ma avevano fatto fortuna laggiù, specialmente uno, il maggiore, e si erano dimenticati della vecchia mamma. Ogni qual volta una nuova comitiva di emigranti partiva da Farnia, ella si recava da Ninfarosa, perché le scrivesse una lettera, che qualcuno dei partenti doveva per carità consegnare nelle mani dell’uno o dell’altro di quei figliuoli. Poi seguiva per un lungo tratto dello stradone polveroso la comitiva, che si recava, sovraccarica di sacchi e di fagotti, alla stazione ferroviaria della prossima città, fra le madri, le spose e le sorelle che piangevano, disperate; e, camminando, guardava affitto affitto gli occhi di questo o di quel giovane emigrante che simulava una romorosa allegria per soffocare la commozione e stordire i parenti che lo accompagnavano.

      – Vecchia matta, – qualcuno le gridava. – O perché mi guardate così? Vorreste cavarmi gli occhi?

      – No, bello, te li invidio! – gli rispondeva la vecchia – Perché tu li vedrai i miei figliuoli. Di’ loro come m’hai lasciata; che non mi ritroveranno più, se tardano ancora.

      Intanto là le comari del vicinato seguitavano a fare il conto di quelli che partivano il giorno appresso. A un tratto un vecchio dalla barba e dai capelli lanosi, che se n’era stato finora zitto ad ascoltare, steso a pancia all’aria e fumando la pipa in fondo alla straducola, rizzò il capo che teneva appoggiato a una bardella d’asino, e, posandosi le grosse mani rocciose sul petto:

      – S’io fossi re, – disse, e sputò, – s’io fossi re, nemmeno una lettera farei più arrivare a Farnia da laggiù.

      – Evviva Jaco Spina! – esclamò allora una delle vicine. – E come farebbero qua le povere mamme, le spose, senza notizie e senz’ajuto?

      – Sì! Ne mandano assai! – brontolò il vecchio, e sputò di nuovo. – Le madri, a far le serve; e le spose vanno a male. Ma perché i guaj che trovano laggiù non li dicono, nelle loro lettere? Solo il bene dicono, e ogni lettera è per questi ragazzacci ignoranti come la chioccia: – pïo pïo pïo – se li chiama e porta via tutti quanti! Dove son più le braccia per lavorare le nostre terre? A Farnia, ormai, siamo rimasti noi soli: vecchi, femmine e bambini. E ho la terra e me la vedo patire. Con un solo pajo di braccia che posso fare? E ne partono ancora, ne partono! Pioggia in faccia e vento alle spalle, dico io. Si rompano il collo, maledetti!

      A questo punto, Ninfarosa schiuse la porta, e parve spuntasse il sole in quella stradetta.

      Bruna e colorita, dagli occhi neri, sfavillanti, dalle labbra accese, da tutto il corpo solido e svelto, spirava una allegra fierezza. Aveva sul petto colmo un gran fazzoletto di cotone rosso, a lune gialle, e grossi cerchi d’oro agli orecchi. I capelli corvini, lucidi, ondulati, volti indietro senza scriminatura le si annodavano voluminosamente sulla nuca attorno a uno spadino d’argento. Nel mento rotondo, una fossetta acuta nel mezzo le dava una grazia maliziosa e provocante.

      Vedova d’un primo marito, dopo appena due anni di matrimonio, era stata abbandonata dal secondo, partito per l’America cinque anni addietro. Di notte – nessuno doveva saperlo – dalla porticina posta sul dietro della casa dov’era l’orto, qualcuno (un pezzo grosso del paese) veniva a visitarla. Perciò le vicine, oneste e timorate, la vedevano di mal’occhio, quantunque in segreto poi la invidiassero. Gliene volevano anche, perché in paese si diceva che, per vendicarsi dell’abbandono del secondo marito, aveva scritto parecchie lettere anonime agli emigrati in America, calunniando e infamando alcune povere donne.

      – Chi predica così? – disse, scendendo su la via. – Ah, Jaco Spina! Meglio, zio Jaco, se restiamo a Farnia noi soli! Zapperemo noi donne la terra.

      – Voi donne, – brontolò di nuovo il vecchio con voce catarrosa, – per una cosa sola siete buone.

      E sputò.

      – Per che cosa, zio Jaco? Dite forte.

      – Piangere e un’altra cosa.

      – E dunque per due, allegramente! Io non piango però, vedete?

      – Eh, lo so, figlia. Non piangesti neppure quando ti morì il primo marito!

      – Ma se morivo prima io, zio Jaco, – ribatté pronta Ninfarosa, – non avrebbe forse ripreso moglie, lui? Dunque! Vedete chi piange qua per tutti? Maragrazia.

      – Questo dipende, – sentenziò Jaco Spina, sdrajandosi di nuovo a pancia all’aria, – perché la vecchia ha acqua da buttar via, e la butta anche dagli occhi.

      Le vicine risero Maragrazia si scosse ed esclamò:

      – Due figli ho perduto, belli come il sole, e volete che non pianga?

      – Belli davvero, oh! E da piangerli, – disse Ninfarosa. – Nuotano nell’abbondanza, laggiù, e vi lasciano morire qua, mendica.

      – Loro sono i figli e io sono la mamma, – replicò la vecchia. – Come possono capirla la mia pena?

      – Ih! Io non so perché tante lagrime e tanta pena, – riprese Ninfarosa, – quando voi stessa, a quel che dicono, li faceste scappar via per disperati.

      – Io? – esclamò Maragrazia, dandosi un pugno sul petto e sorgendo in piedi, trasecolata. – Io? Chi l’ha detto?

      – Chi si sia, l’ha detto.

      – Infamità! Io? Ai figli miei? Io, che…

      – Lasciatela perdere! – — la interruppe una delle vicine. – Non vedete che scherza?

      Ninfarosa prolungò la risata, ondeggiando dispettosamente su le anche; poi, per rifar la vecchia della celia crudele, le domandò con voce affettuosa:

      – Su, su, nonnetta mia, che volete?

      Maragrazia si cacciò in seno

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