In Silenzio. Luigi Pirandello

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In Silenzio - Luigi  Pirandello

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style="font-size:15px;">      – Ah, infamaccia! – proruppe. – E perché m’ha ingannata così? Ah, per questo, dunque, i miei figli non mi rispondono! Dunque, nulla! Mai nulla ha scritto loro di tutto quello che io le ho dettato… Per questo! Dunque non ne sanno niente i figli miei, del mio stato? Che io sto morendo per loro? E io li incolpavo, signor dottore, mentr’era lei, quest’infamaccia qua, che si è sempre burlata di me… Oh Dio! Oh Dio! E come si può fare un simile tradimento a una povera madre, a una povera vecchia come me? O oh, che cosa! Oh…

      Il giovane dottore, commosso e indignato, si provò dapprima a quietarla un poco; si fece dire chi fosse quella Ninfarosa, dove stesse di casa, per farle il giorno dopo una strapazzata, come si meritava. Ma la vecchia badava ancora a scusare i figliuoli lontani del lungo silenzio, straziata dal rimorso d’averli incolpati per tanti anni dell’abbandono, sicurissima ora ch’essi sarebbero ritornati, volati a lei se una sola di quelle tante lettere, ch’ella aveva creduto di mandar loro, fosse stata scritta veramente e fosse loro pervenuta.

      Per troncare quella scena, il dottore dovette prometterle che la mattina seguente avrebbe scritto lui una lunga lettera per quei figliuoli:

      – Su, su, non vi disperate così! Verrete domattina d Me. A dormire, adesso! Andate a dormire.

      Ma che dormire! Circa due ore dopo, il dottore, ripassando per quella straducola, la ritrovò ancora lì, che piangeva, inconsolabile, accosciata sotto il lampioncino. La rimproverò, la fece levare, le ingiunse d’andar subito a casa, subito, perché era notte.

      – Dove state?

      – Ah, signor dottore… Ho un casalino, qua sotto, all’uscita del paese. Avevo detto a quell’infamaccia di scrivere ai figli miei che lo avrei loro ceduto in vita, se volevano ritornare. S’è messa a ridere, svergognata! Perché sono quattro muretti di creta e canne. Ma io…

      – Va bene, va bene, – troncò di nuovo il dottore . – Andate a dormire! Domani scriveremo anche del casalino. Su venite, v’accompagno.

      – Dio La benedica, signor dottore! Ma che dice? Accompagnarmi, vossignoria! Vada, vada avanti; io sono vecchierella e vado piano.

      Il dottore le diede la buona notte, e s’avviò. Maragrazia gli tenne dietro, a distanza; poi, arrivata al portoncino in cui lo vide entrare, si fermò, si tirò sul capo lo scialle s’avvolse bene, e sedette su lo scalino lì davanti la porta per passarvi la notte, in attesa.

      All’alba, dormiva, quando il dottore, ch’era mattiniero uscì per le prime visite. Essendo il portoncino a un solo battente, nell’aprirlo, si vide cadere ai piedi la vecchia dormente, che vi stava appoggiata.

      – Ohé! Voi! Vi siete fatta male?

      – Vo… vossignoria mi perdoni, – balbettò Maragrazia, ajutandosi, con ambo le mani, avviluppate nello scialle, a rizzarsi.

      – Avete passato qua la notte?

      – Sissignore… È niente, ci sono avvezza, – si scusò la vecchia. – Che vuole, signorino mio? Non mi so dar pace… non mi so dar pace del tradimento di quella scellerata! Mi verrebbe d’ammazzarla, signor dottore! Poteva dirmi che le seccava scrivere, sarei andata da un altro; sarei venuta da vossignoria, che è tanto buono…

      – Sì, aspettate un po’ qua, – disse il dottore. – Ora passerò io da questa buona femmina. Poi scriveremo la lettera, aspettate.

      E andò di fretta dove la vecchia la sera avanti gli aveva indicato. Gli avvenne per caso di domandare proprio a Ninfarosa, che si trovava già in istrada, l’indirizzo di colei a cui voleva parlare.

      – Eccomi qua, sono io, signor dottore, – gli rispose, ridendo e arrossendo, Ninfarosa; e lo invitò a entrare.

      Aveva veduto passare più volte per la stradetta quel giovane medico dall’aspetto quasi infantile, e com’era sempre sana, e non avrebbe saputo finger di star male per chiamarlo, ora si mostrò contenta, pur nella sorpresa, che egli fosse venuto da sé per parlare con lei. Appena seppe di che si trattava, e lo vide turbato e severo, si piegò, procace, verso di lui, col volto dolente, per il dispiacere ch’egli si prendeva senza ragione, via! E, appena poté, senza commettere la sconvenienza d’interromperlo:

      – Ma scusi tanto, signor dottore, – disse, socchiudendo i begli occhi neri, – lei s’affligge sul serio per quella vecchia matta? Qua in paese la conoscono tutti, signor dottore, e non le bada più nessuno. Lei domandi a chi vuole, e tutti le diranno che è matta, da quattordici anni, sa? Da che le sono partiti quei due figliuoli per l’America. Non vuole ammettere che essi si siano scordati di lei, com’è la verità, e s’ostina a scrivere, a scrivere… Ora, tanto per contentarla, capisce? Io fingo… così, di farle la lettera; quelli che partono, poi, fingono di prendersela per recapitarla. E lei, poveraccia, s’illude. Ma se tutti dovessimo far come lei, a quest’ora, signor dottore mio, non ci sarebbe più mondo. Guardi, anch’io che le parlo sono stata abbandonata da mio marito… Sissignore! E sa che coraggio ha avuto questo bel galantuomo? Di mandarmi un ritratto di lui e della sua bella di laggiù! Glielo posso far vedere. Stanno tutti e due con le teste, l’una appoggiata all’altra e le mani afferrate così, permette? Mi dia la mano… così! E ridono, ridono in faccia a chi li guarda: in faccia a me vuol dire. Ah, signor dottore, tutta la pietà è per chi parte e per chi resta niente! Ho pianto anch’io, si sa, nei primi tempi; ma poi mi sono fatta una ragione, e ora… ora tiro a campare e a spassarmela anche, se mi capita, visto che il mondo è fatto così!

      Turbato dall’affabilità provocante, dalla simpatia che quella bella donna gli dimostrava, il giovane dottore abbasso gli occhi e disse:

      – Ma perché voi, forse, avrete da vivere. Quella poverina, invece…

      – Ma che! Quella? – rispose vivacemente Ninfarosa – Avrebbe da vivere anche lei, ih! Bella seduta e servita in bocca. Se volesse. Non vuole.

      – Come? – domandò il dottore, alzando gli occhi, meravigliato.

      Ninfarosa, nel vedergli quel bel faccino stupito, scoppiò a ridere, scoprendo i denti forti e bianchi, che davano a suo sorriso la bellezza splendida della salute.

      – Ma sì! – disse. – Non vuole, signor dottore! Ha un altro figlio qua, l’ultimo, che la vorrebbe con sé e non le farebbe mancare mai nulla.

      – Un altro figlio? Lei?

      – Sissignore. Si chiama Rocco Trupìa. Non vuole saperne.

      – E perché?

      – Perché è proprio matta, non glielo dico? Piange giorno e notte per quei due che l’hanno abbandonata, e non vuole accettare neanche un tozzo di pane da quest’altro che la prega a mani giunte. Dagli estranei, sì.

      Non volendo un’altra volta mostrarsi stupito, per nascondere il turbamento crescente il dottore s’accigliò e disse:

      – Forse l’avrà trattata male, codesto figlio.

      – Non credo, – disse Ninfarosa. – Brutto, sì; sempre ingrugnato; ma non cattivo. E lavoratore, poi! Lavoro, moglie e figliuoli: non conosce altro. Se vossignoria si vuol levare questa curiosità, non ha da camminare molto. Guardi, seguitando per questa via, appena a un quarto di miglio, uscito dal paese, troverà a destra quella che chiamano la Casa della Colonna. Sta lì. Ha in affitto una bella chiusa, che gli rende bene. Ci vada, e vedrà che è come le dico io.

      Il dottore si levò. Ben disposto da quella conversazione, allettato dalla dolce mattinata di settembre,

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