Lo assedio di Roma. Francesco Domenico Guerrazzi
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Questo intorno ai capitani; circa le milizie quando per tutta Italia andavano famose le Bande nere, ed anco la ordinanza della Milizia fiorentina le soldatesche del Piemonte si reputavano le più scadenti di tutte. – E perchè non paia avventato e maligno il mio dire, siami lecito riportare quanto trovo sparsamente scritto intorno ai capitani, e alle milizie piemontesi durante il secolo decimosesto nelle relazioni degli ambasciatori veneziani arguti nell›osservare quanto schietti nello esporre. Ora di queste relazioni io ne conosco cinque, stampate a Firenze; la prima è di Andrea Boldiù la quale è tratta dalla biblioteca Capponi insieme coll›altra del Lippomano, che al nostro scopo non approda; due ne somministra l›archivio reale di Torino e sono di Sigismondo Cavalli, e di Giovanfrancesco Morosini, l›ultima pubblicava il signor Cibrario. Quanto a› capitani; e ai soldati afferma il Boldiù: «ha parlato assai sua eccellenza; sebbene non ha terminato cosa alcuna di dare forma alle genti del suo paese nel modo che sono le cerne di vostra serenità, che si chiamano ordinanze; per le quali già ha fatto colonnelli e nominati molti capitani, pochissimi dei quali sono, come intendo, che abbiano comandato in guerra alcuna. E cercando io poi di sapere quanto si sperava, che potesse essere il numero di queste ordinanze mi viene affermato, che per servire nel paese ascenderiano a 24000 uomini, ma volendo condurli fuori non passeriano 8000, ma questi buoni veramente.» Il Cavalli più alla recisa: «di uomini da guerra, che abbiano servizio con sua eccellenza, nè dei suoi sudditi, nè di altri vi ho conosciuto persona di gran nome o valore, salvo che il Signore della Trinità, il quale vostra serenità avrà inteso nominare per le operazioni onorate che fece alle imprese di Cuneo e Fossano.... il signor Duca non si serve gran fatto di lui, prima perchè non vuole mostrare, che quello che fa sia per consiglio del medesimo; poi (nota, o riponi in mente lettore) perchè dove tutti gli altri suoi servitori gli parlano con molta timidità, lui per dire il vero 0 quando si trova in Corte parla più liberamente… per tal causa vive il più del tempo ritirato in casa sua. Vi è ancora il signor Masino, che a tempo di guerra era vice-duca, questi è galantuomo e cavaliere liberale, ma nel fatto di guerra non ha mostrato virtù sopra gli altri. Il conte d’Arignano ancora lui è prudente gentiluomo, ma non ha fatto operazioni, che, meritino essere rammentate più, che tanto. Restano alcuni privati capitani, che si possono riputare buoni soldati, ma non sono persone di grande portata.»
Più spezialmente circa la qualità dei soldati, e l’indole dei piemontesi l’oratore Giovanfrancesco Morosini informa il Senato: «il letto loro è pieno di foglie di alberi per la molta povertà, del paese non tanto causata poi in effetto dalle lunghe guerre, e continue, che ha avute, quanto da una naturale viltà e dappocaggine di quei popoli; la quale ancora è causa, che con tutto che pei tanti anni continui sieno stati nudriti ed allevati nelle guerre, non sono però al giudizio di molti, da essere tenuti per molto atti allo esercizio delle anni per non dire, che sieno inettissimi a quello.»
Questa relazione del Morosini va copiosa mirabilmente di notizie intorno alla milizia del Piemonte; chi ne abbia talento (e lo dovrebbe avere, ma ne dubito, perchè la gioventù in mal punto oggi si mostra aliena dagli studi, massime storici) può esaminarla intera; al mio assunto giova cavarne questo altro tratto: «ha il signor duca, oltre alli presidi, una milizia di 16000 fanti bene armata sotto quaranta insegne, le quali prima erano 66, ma sono state questo anno ridotte al numero di quaranta, a fine di scansare le spese dei capitani, e degli officiali di 26 compagnie; e li fanti sono stati distribuiti in modo, che in ogni bandiera saranno 400 fanti, e sua eccellenza viene ad avere avanzato 5200 scudi all’anno. Queste genti sono al governo di 42 gentiluomini, tutti suoi vassalli, salvo che uno, ch’è il signor Guido Piovene suddito della serenità vostra e gentiluomo vicentino...... Questi tutti hanno nome di colonnelli e sono stipendiati diversamente l’uno dall’altro, avendo chi più, chi meno secondo la inclinazione di sua eccellenza. Questa gente, come ho detto di sopra, non è molto atta allo esercizio delle armi, salvo, che certa poca quantità verso Fossano, e il Mondovì, li quali per essere tra loro stessi in perpetua gara riescono più esperti, e pronti a menare le mani, che gli altri; ma quanto più sono buoni allo esercizio delle armi tanto più sono fastidiosi, ed insolenti ad essere governati, e disciplinati. Fa usare sua eccellenza molta diligenza per tenere bene disciplinata questa milizia facendo mostre spessissimo, alle quali molte volte si trova di persona sperando pure con questo frequente esercizio doverle levare da quella naturale pigrizia, che hanno; ma difficilmente credo, che vi riuscirà essendo più forte la natura, che l’arte.»
Da principio Emanuele Filiberto pare, che facesse capitale sopra i popoli di Savoia, sicchè Sigismondo Cavalli racconta egli avere, per lo scopo di assicurare i stati, «principiato a fare le cernide, ovvero ordinanze dei suoi popoli, ed obbligare ogni comune a dare tanti corsaletti, picche, archibugi, e morioni; e già quelli della valle di Aosta debbon essere in buono stato, perchè quando sua eccellenza passò di là, tornando di Savoia, volle vederne la mostra, la quale riuscì assai bene» Senonchè Francesco Molino dopo dieci anni nel 1574 referendo al Senato così favella di cotesta medesima milizia: «i popoli che abitano la Savoia sono per lo più timidi, e vili: non si danno ad alcuno esercizio, e nè tampoco a quello delle armi, e fecero vedere questa poca inclinazione alloraquando il duca ordinò una milizia, per la quale avendo speso più di seimila scudi in arme, in poco tempo fu ritrovato, che dei morioni, e corsaletti se n’erano serviti a fare delle pignatte e degli spiedi.» e comecchè poco più innanzi afferma i popoli del Piemonte più atti ad adoperarsi, più capaci di disciplina, o più industriosi dei Savoini, non si sa bene con coteste premesse s’egli intenda più avvilirli ovvero commendarli.
Nè gli scrittori piemontesi negano questo; al contrario facilmente confessano, che sul cominciare del secolo decimosesto il difetto di coltura non era compensato con la gloria delle armi, le quali erano misere ed incerte; e la difesa dello stato non usciva già dalla copia, nè dalla prodezza delle milizie paesane, bensì dal danaro proprio, e dall’avarizia altrui.
Ma non è vero, che negli altri stati d’Italia si procedesse a quel modo; anzi il vero è al contrario, nè gli stessi Scrittori piemontesi lo ignorano, dacchè lo stesso Ricotti nella Storia delle Compagnie di ventura in Italia ci attesti Firenze e Orvieto fino dal 1350 avere istituito i balestrieri del contado per affrancarsi dalla infamia della milizia mercenaria; e Venezia più tardi con l’ordinamento delle cerne; ed altri altrove; ma più