La plebe, parte II. Bersezio Vittorio

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La plebe, parte II - Bersezio Vittorio

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donna: disse: non vi muovete. Appena ebbi inteso che voi eravate venuta a cercare di me e con tanta fervorosa sollecitudine, amaramente mi dolse che non vi avessero introdotta, ed avvisando che forse premuroso sarebbe stato il motivo della vostra venuta, pensai miglior consiglio non aspettare che tornaste, ma venire io stessa a vedervi… Ed eccomi.

      Queste cose erano dette con sì dignitosa semplicità e con tanto avvenente soavità di voce che chiunque le udisse doveva dar loro un pregio e provarne un effetto che è impossibile esprimere.

      Virginia aveva diffatti un cuore generoso e nobilissimo, di tal natura da essere non solo facilmente accessibile ad ogni istinto di pietà, ad ogni sentimento di carità, ma ancora da sapere ogni atto misericordioso accompagnare con quelle forme e quei modi che maggior prezzo e nuovo merito accrescono all'atto medesimo.

      Di siffatta natura era stata l'ispirazione che subitamente erale nata quella mattina udendo come la Paolina, con aspetto di tanto dolore e di tanta passione, fosse venuta cercando di lei; l'ispirazione voglio dire di recarsi ella stessa nella soffitta della povera donna, di cui ben conosceva l'indirizzo, affine di vedere cogli occhi proprii e più sollecitamente quali fossero i bisogni della disgraziata famiglia. Ben sapeva ella che un soccorso portato in persona, una buona parola detta a viva voce dal ricco e dal potente producono assai più bene al povero; e in quel punto ella sentivasi maggiore del solito nella bell'anima l'impulso di fare, a chi soffrisse, il maggior bene ch'ella potesse.

      Il perchè di questa sua maggior tendenza alla benefica pietà, ella non avrebbe saputo pur dirlo dove altri ne l'avesse interrogata; ma in vero proveniva da ciò che il suo cuore fosse allora oppresso da non lieve angustia, a scemar la quale, come alle anime veramente gentili avviene, sentiva non esservi mezzo migliore che recar soccorso alle angustie altrui.

      Cagione della sua angustia era il duello ch'ella non dubitava punto sarebbe intravvenuto fra suo cugino il giovane marchese di Baldissero e l'avvocato Benda, del qual duello ella, benchè involontaria affatto, era pur tuttavia la causa, o, per meglio dire, il pretesto.

      Il pensiero che per lei due uomini stanno ponendo a cimento la vita è pur sempre doloroso ad ogni mite animo di donna; ma è tale tanto più allora quando di questi due uomini uno è legato a lei per vincoli di sangue, e verso l'altro inchina il suo cuore per profonda simpatia. Con Virginia il marchesino di Baldissero erasi allevato come fratello; il padre e la madre di lui – il padre soprattutto – avevano tenuto e tenevano luogo di genitori ad essa orfana e sola. Se una disgrazia fosse accaduta a quel giovane – il primogenito di quella famiglia supremamente aristocratica – qual dolore non sarebbe egli stato quello della marchesa, e a mille doppi più, benchè di più contenuto certamente, quello del vecchio marchese! E d'altra parte, se non al marchesino, ma al suo avversario fosse stata nemica la sorte? A tal pensiero, Virginia sentiva una stretta nell'animo tanto forte che non sapeva darsene una spiegazione. Era assai più dell'interesse cui suscita in un'anima cristiana il pericolo d'un indifferente; era lo sgomento che ci coglie, quando vediamo minacciata un'esistenza la quale per mille tenacissimi legami s'attiene alla nostra. Codesta fu come una rivelazione a Virginia medesima. Quel giovane non erale nulla di nulla, eppure perchè, palpitava cotanto il suo cuore al sol pensiero d'una disgrazia che potesse sovraccoglierlo? Secondo le strette regole delle usanze mondane potevasi dire ch'ella appena se lo conoscesse; egli non apparteneva alla casta di lei; nella sfera sociale in cui essa era nata e viveva, appena se quel giovane potesse comparire alla sfuggita, per tolleranza, per suo diritto mai; e tuttavia ella sentiva che della sorte di lui era troppo più sollecito il suo cuore che non di quella d'ogni altro. Ricordava ad un punto come lo avesse conosciuto, ed ogni occasione in cui l'avesse visto.

      La prima volta che la esistenza di quel giovane si fosse a lei manifestata, era per mezzo d'una graziosa romanza piena di soavità e di affetto, ch'ella si piacque a suonare più d'ogni altro pezzo di musica sul suo gravicembalo ed a cantare colla sua voce d'argento. Era intitolata Crepuscolo, e con vera e piacevole commozione in quella stagione autunnale in cui si trovava, Virginia si accresceva coll'esecuzione di quella ispirata romanza la soave mestizia delle ore vespertine. Quella musica le diceva di tante cose, le accarezzava sì dolcemente l'anima vibrante! Dopo averla fatta risuonare pel mite ambiente delle prime ombrie, ella appoggiava il suo gomito sui tasti d'avorio, reclinava sulla mano la sua bella fronte, e pensava, o, per dir meglio fantasiava di così vaghe ed ineffabili immagini, e il venticello della sera che per la finestra aperta veniva ad agitarle i ricci graziosamente scomposti della sua capigliatura color d'oro, parevale che ancora sommessamente le ripetesse la graziosa melodia. Volle che il mercante di musica le provvedesse tutte le composizioni che vi fossero del medesimo autore, e in tutte trovò qualche cosa che le parlava all'anima. Alla persona di codesto autore che tanto sapeva scuotere le intime fibre dell'esser suo, ella non aveva pensato neppur mai. Che fosse vicino o lontano, di queste o di quelle sembianze, dell'una o dell'altra età; non erale venuto in mente nemmanco che ciò la potesse interessare. Non nascondeva a nessuno la sua preferenza per quelle musicali composizioni, e dopo i grandi maestri, di cui ella era tanto buona esecutrice da intendere e sapere interpretare i concetti, a sè medesima la non regalava altre suonate più che quelle dello sconosciuto Francesco Benda.

      Questo nome non erale nuovo pur tuttavia, perchè nel Sacro cuore, ov'ella era stata allevata, una ragazza di famiglia borghese di tal nome aveva passato alcun tempo: ma fra le due fanciulle, separate dal rango sociale, non eravi stata molta accontagione, e in quei pochi mesi durante cui Maria era rimasta nel collegio, appena se si erano conosciute di vista se avevano scambiata qualche rara parola. Virginia si ricordava tanto poco di questa sua compagna, di cui da oltre a due anni non aveva inteso più nulla, che mai non le venne pure in capo il pensiero che quel suo prediletto autore di composizioni musicali avesse alcuna attinenza colla giovinetta, la quale per alcun tempo ella aveva visto correre e saltare pei viali del giardino del convento.

      Un giorno, quando rientrata in città dalla campagna, di tardo autunno, Virginia trovavasi al corso delle carrozze che allora soleva farsi dall'una alle tre pomeridiane sul viale dei platani, detto viale del re. La bella giornata, lo splendido sole che attiepidiva la temperatura avevano chiamato alla passeggiata tutto quanto contava allora Torino di più elegante: carrozze di lusso con dame in assettature di sfarzo, damerini colle spalline o col soprabito alla moda, a cavallo, formavano un fiume smagliante di colori che scorreva lentamente nello stradone di mezzo, mentre nei viali laterali, sotto i rami già assecchiti dei platani, brulicava la folla della gente a piedi che ammirava curiosa quegli sfoggi contesi alla mediocrità ed anco all'assenza delle sue fortune.

      Virginia era nella carrozza scoperta e in compagnia di una sua amica di convento, la quale, maggiore di lei di alcuni anni, già erasi maritata. Una frotta di giovani eleganti a cavallo passò rasente il legno: alcuno di essi salutò e tutti salutarono.

      – Hai tu visto, disse l'amica a Virginia, l'autore della bella romanza il Crepuscolo?

      – No: rispose la giovane; non lo conosco punto. E soggiunse con qualche interesse: È egli passato?

      – Sì, fra quei cavalieri.

      Virginia staccò le spalle dai cuscini con un moto non privo di vivacità.

      – Qual è di essi?

      – Quell'alto, dai baffetti biondi, che cavalca quel bel morello così pien di fuoco.

      Virginia si volse indietro non senza premurosa curiosità. La carrozza andava lentamente e i cavalieri camminavan di passo; a pochi metri distante ella vide il giovane additatole, rattenute le briglie del cavallo, volto verso la carrozza in cui ella era, lanciando su di lei uno sguardo che era più e meglio che di ammirazione. Gli occhi de' giovani s'incontrarono: quelli di lui furono corsi da un baleno, le pupille di lei si chinarono ratte, ed essa volse tostamente il capo, mentre un lieve rossore le saliva alle guancie.

      Non era stato che un attimo: ma pur tuttavia la fanciulla aveva potuto scorgere la bellezza dei lineamenti di quel viso franco e giovanile, la bellezza dell'espressione di

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