Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I. Amari Michele
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - Amari Michele страница 18
Delle incursioni dei Barbari settentrionali avrò poco da dire. Comparvero la prima fiata in Sicilia quando appena potean temersi ai confini estremi dell'impero. Sotto il regno di Probo, una mano di Franchi, vinti nelle Gallie e trasportati in riva al Mar Nero, trovandovi un'armatetta romana, se ne impadroniano con disegno di tornarsene in Ponente; e nell'arrisicato lor corso dal Bosforo allo stretto di Gibilterra, per necessità e vendetta, saccheggiavano molti luoghi delle costiere, e, tra gli altri, piombati sopra Siracusa, le dettero il guasto, vi fecero una carnificina, e salvi si ridussero finalmente alle Bocche del Reno116 (a. 278).
Dopo quel turbine passeggiero, consumata la rovina dell'impero occidentale, Alarico, come ognun sa, morì a Cosenza quand'era in punto di assaltare la Sicilia (a. 410); ma Genserico osteggiò Palermo, prese Lilibeo (a. 440), e, sconfitti i suoi Vandali da Ricimero presso Girgenti (a. 456), dopo avere più tosto depredato che occupato l'isola, cedettela per trattato ad Odoacre (a. 476), ritenendo solo il Lilibeo come vedetta da custodire il suo novello reame di Affrica. Odoacre poi regnò su la Sicilia per quattordici anni; del quale ci resta il documento d'una concessione di terre presso Siracusa,117 e prova com'ei prendesse nell'isola quella che si chiamò la parte dei Barbari. Del resto gli Eruli non passaronvi mai; forse non vi mandarono che qualche picciol presidio: a tale debolezza era condotta la Sicilia! Così ancora, vinto Odoacre dagli Ostrogoti, la si diè quetamente a Teodorico; a persuasione di Cassiodoro, ed a condizione che le città e i campi fossero salvi dalla licenza dei vincitori, dei quali sol venisse nell'isola quel tanto che bastava a munir le fortezze principali. Teodorico, resse l'isola assai più umanamente che i suoi predecessori barbari e non barbari; ma non potè far che si dimenticasse l'origine sua, nè l'eresia ariana ond'era infetto: sì che un semplice romito di Lipari, alla morte del re affermò averlo veduto strascinare all'isoletta di Vulcano, scinto, scalzo, con le mani legate al dorso, ghermito dalle ombre invendicate di papa Giovanni e del patrizio Simmaco, che il precipitarono nel cratere ardente.118
Tal nimistà nazionale e religiosa, comune a tutta l'Italia, fe' cadere il regno dei Goti, non guari dopo la morte di Teodorico, e spianò la strada alla dominazione bizantina, che parea meno straniera e che fu portata da Belisario, capitano degno al certo dei tempi più gloriosi di Roma. Dopo l'Affrica, e prima della terraferma d'Italia, Belisario conquistò la Sicilia entro poche settimane, con diecimila uomini al più, per la connivenza degli abitatori: ebbe Catania per un colpo di mano; Siracusa e altre città a patti; Palermo sola per ostinata battaglia; e tornato a Siracusa, capitale dell'isola, entrovvi in trionfo (a. 535), spargendo monete d'oro su la plebe, che potea credere in vero ristorato l'onor di sua nazione, sentendo parlar greco e latino tra i vincitori. La breve guerra di Totila (a. 549-551) fu l'ultima incursione dei Barbari settentrionali in Sicilia; i quali non l'avevan tenuto più che ottant'anni; non vi avean posto colonie militari, non vi lasciarono nè progenie, nè istituzioni, nè alcun vestigio. Indi il governo bizantino quetamente ricominciò nell'isola tutti gli abusi del romano, del quale riteneva il nome e le forme; e per un secolo intero che corse dal conquisto di Belisario al regno di Costanzo, la storia di Sicilia non ha altro fatto notabile, che la mutata natura dei legami tra l'isola e la terraferma d'Italia.
La popolazione siciliana per otto secoli avea tenuto tal consuetudine con quella dell'Italia centrale, qual se l'isola si fosse venuta a porre alle foci del Tevere: tanta era la frequenza dei negozii attenenti al governo, ai commercii, e un tempo agli studii liberali, poi alla religione; sempre e più che ogni altra cosa alla cultura delle terre. Le irruzioni degli stranieri infino a Totila nulla mutarono a questo ordine di cose; avendo l'isola con rurale docilità seguíto le sorti della terraferma, nella quale tutti i vincitori vennero a stanziare. Ma nel sesto secolo, il conquisto bizantino e il longobardo, accaduti con sì breve intervallo, scomposero que' legami. Il primo trasferì a Costantinopoli i negozii dipendenti dal governo, ch'erano molti, e importantissima tra quelli l'amministrazione dei poderi della Corona. Il secondo (a. 568-575) divise l'Italia in due parti, una dei vincitori, l'altra dell'impero bizantino; la quale si componea delle isole e di brani in terraferma frastagliati a caso come da tremuoto: la punta cioè della Penisola; alcune strisce di costiera qua e là sovr'ambo i mari; nel centro, Roma con varii pezzi di territorio infino all'Adriatico. Or la parte soggiogata dai nuovi Barbari si trovò naturalmente in guerra col governo bizantino; e più grave effetto era su l'animo d'ogni uom romano il terrore di quegli atrocissimi principii della dominazione longobarda; il macello dei maggiori cittadini, lo spogliamento delle facultà, la profanazione delle chiese, le persecuzioni e sovente il martirio degli ortodossi per man di quegli eretici ariani e dei loro ausiliari idolatri; gli ordini civili distrutti; gli abitatori degradati da ingiuriose leggi; la più parte fatti servi o poco manco. Pertanto ogni comunicazione si chiuse tra la Sicilia e le misere regioni stanza e preda dei Barbari. Al contrario mutaronsi poco o nulla i rapporti materiali della Sicilia coi paesi rimasti al nome bizantino, e i morali si strinsero ed accrebbero. E ciò intervenne per cagion dei molti Italiani che si rifuggivano nelle isole; per la fratellanza che spirava la comune oppressione di tutte le province occidentali dell'impero; e sopratutto per procaccio dei papi, che ormai aveano acquistato grandissimo séguito in Sicilia.
CAPITOLO II
A creder le pie leggende locali, il cristianesimo ebbe precoci e splendidi principii in Sicilia. San Pietro, dicono, s'affrettò a mandarvi d'Antiochia (a. 44) i primi vescovi: Marciano a Siracusa, Pancrazio a Taormina. Vennero pochi anni appresso, Berillo a Catania, Libertino a Girgenti, Filippo a Palermo, Bacchilo a Messina. I quali tutti perseguitati e persecutori, abbattono tempii pagani, rintuzzano oracoli, uccidono dragoni; Marciano, ascoso nei laberinti sotterranei della capitale, vi compone un altare con l'effigie della Vergine ed è strangolato da' Giudei; Maria e Teja incontrano alsì il martirio a Taormina per serbar castità; e presso lor tombe s'innalza il primo monistero di donne dell'orbe cristiano. Cotesti racconti, ancorchè accettati alla rinfusa nei libri della corte di Roma, furono messi in forse pei principii del decimottavo secolo, da due grandi eruditi siciliani, Giambattista Caruso e Giovanni di Giovanni.119 Agli argomenti loro parmi da aggiugnere, che gli Atti degli Apostoli, narrando sì minutamente il viaggio di San Paolo a Roma (a. 61) e com'egli fosse soprastato per tre dì a Siracusa,120 non fan parola, secondo lor costume, di correligionarii o amici trovati in quella città; donde al certo non si confermano i fasti di San Marciano. Volgendoci a un altro ordine di critica, basta accennare che le tradizioni dette ripugnino ai fatti generali della storia ecclesiastica del primo secolo; che ci si vegga la gerarchia, non del primo ma del quinto o sesto secolo; anche passando sotto silenzio quel monastero di suore e culto d'immagini. La ignoranza poi di chi scrisse le leggende chiaro apparisce dalla poca o niuna parte che vi si dà a San Paolo, massimo propagator del vangelo nelle schiatte greca e latina.
Egli è probabile che non dall'Oriente ma da Roma venissero in Sicilia i semi del cristianesimo; nè pria delle persecuzioni di Nerone. Del rimanente si può accettare dalle leggende l'itinerario della nuova fede nell'isola, correggendovi sì la cronologia e gli episodii; perchè quel cammino non discorda dalle condizioni dei Siciliani nel primo secolo, e perchè d'altronde si sa come le agiografie contengan sempre, tra molta lega, un po' di buon metallo, e rispettino sopra ogni altra cosa la verità delle notizie geografiche. Il cristianesimo fu, in origine, l'incivilimento degli oppressi; ma non tutti gli oppressi n'erano capaci allo stesso modo. Dovea precorrere alla grossiera fede del volgo lo zelo di spiriti convinti o innamorati: e però in Sicilia quelle speculazioni metafisiche, quei peregrini principii di morale, quella tendenza d'associazione e di carità, non poteano esser compresi che nelle città; dovean trovare accoglienza tra i sottili ingegni greci, prima che nella gente latina più tenace alle realità; doveano durare grandissima fatica a penetrar quella mista e insalvatichita popolazione rurale. I pochi cristiani dell'isola, non vinta per anco la forza d'inerzia delle masse, ebbero a combattere le forze vive del principato, dell'aristocrazia e dei dotti; le quali, vedendosi ormai minacciate dalla nuova potenza che sorgea nel mondo, fecero ogni opera ad abbatterla.
116
Zosimus, lib. I, cap. 67, 71.
117
Marini,
118
San Gregorio, che non credea certamente a tal fola, pur l'accreditava, con mille altre somiglianti, per promuovere la superstizione; e nel presente caso anco per aizzar la gente contro i Longobardi, barbari e tuttavia Ariani come i Goti. Vedi Divi Gregorii Papæ
119
Caruso,
Di Giovanni,
120