Sanctorum Siculorum, tom. I, pag. 11; e nella raccolta dei Bollandisti, Acta Sanctorum, 3 aprile, pag. 237, seg.
In generale si riscontrino Pirro Sicilia Sacra, Gaetani, Di Giovanni, Caruso, nelle opere citate, dal I al VI secolo, e il compendio del P. Aprile sì diligente a far fascio d'ogni erba (Della Cronologia universale della Sicilia, pag. 442, seg.). Le fonti della storia ecclesiastica di Sicilia nei primi tre secoli, per lo più sono i menologi greci e i Mss. del Monastero di Cripta Ferrata e di quello del Salvatore di Messina. Dei Mss. greci si sa quanto valgano. Gli altri puzzano spesso di XII e XIII secolo.
122
Veggansi i particolari in Di Giovanni, Codex Siciliæ Diplomaticus, Dissertazioni II, III, IV.
123
Divi Gregorii papæ, Epistolæ, lib. I, nº 80; presso il Di Giovanni, op. cit., si trova al nº LXXIX, p. 125.
124
Tre diplomi in papiro dati il 444, risguardanti il maneggio del patrimonio di un Lauricio in Sicilia e il danaro che il suo procuratore avea pagato ai conduttori della Chiesa di Ravenna anche in Sicilia, presso Marini, I Papiri Diplomatici, nº LXXIII. Divi Gregorii papæ, Epistolæ, presso Di Giovanni, op. cit., nº 211. Agnelli, Liber Pontificalis, presso Muratori R. I., tom. II, Parte I, p. 143, ove si dice di un Benedetto diacono, rettore del patrimonio della Chiesa Ravennate in Sicilia. L'autore visse nella prima metà del IX secolo. Il fatto portato da Agnello si riferisce alla metà del VII secolo, e prova la ricchezza di questo patrimonio e la corruzione dei rettori.
125
Theophanis Chronographia, p. 631. Supponendo che si tratti di talenti attici e ragionando il peso in oro puro, i tre talenti e mezzo varrebbero circa 300,000 lire italiane; ragionando i prezzi delle cose, circa un milione d'oggi.
126
Vedi le autorità citate dal Di Giovanni, Codex Siciliæ Diplomaticus, Dissertazioni V e VI.
127
Pirro, Sicilia Sacra, p. 25, nota del D'Amico.
128
Divi Gregorii papæ, Epistolæ, lib. I, nº 39, indiz. IX.
129
Ibid., lib. III, nº 15, VII, 27, VIII, 65.
130
Divi Gregorii papæ, Epistolæ, lib. I, nº 3, indiz. IX.
131
Lib. I, ep. 1, indiz. IX.
132
Lib. I, ep. 3.
133
Epistola di San Gregorio del 16 marzo 591, presso Di Giovanni, Codex Siciliæ Diplomaticus, LXVI, pag. 106, la quale manca nella edizione delle opere di San Gregorio che ho per le mani.
134
Lib. I, ep. 42.
135
Questo provvedimento è contenuto nella epistola 11, del lib. III, indiz. XII. Si è preteso che riguardasse la elezione delle badesse, non la professione delle suore, e così anche pensa il Di Giovanni, op. cit., p. 154. Ma il testo di San Gregorio mi par sì preciso da non dar luogo alle pie sofisticherie dei comentatori.
136
Per togliere ai lettori e a me stesso la molestia di troppe citazioni, non mi riferisco qui alla raccolta delle epistole di San Gregorio nella quale sono sparse quelle che toccano la Sicilia, ma piuttosto alla scelta di queste ultime che si trova presso il Di Giovanni, Codex Siciliæ Diplomaticus, numeri LX a CCLXVI. Vedi anche la Diss. III del medesimo Di Giovanni; Pirro, Sicilia Sacra, nelle notizie dei varii vescovadi dal 590 al 604; e Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tom. I, p. 188 a 224.
137
Pirro, op. cit., p. 35 a 38; Gaetani, op. cit., tom. II, p. 1 a 4; Anastasius Bibliothecarius, presso il Muratori R. I., tom. III, 142, 145, 147, 174.
138
Sce'b si chiama il tronco, come sarebbe Adnân; la prima diramazione si dice Kabîla; la seconda, I'mâra; la terza, Bain; la quarta, Fekhid; la quinta, A'scîra; la sesta, Fasîla: imperfette denominazioni e spesso confuse. Più comunemente la tribù vien detta Kabîla. Ho seguíto in tal distinzione l'antica e pregevole opera di Ibn-Abd-Rabbih (Kitâb-el-Ikd, Ms., tom. II, fol. 43 recto), che cita l'autorità di Ibn-Kelbi.
139
La Kufîa, Kefía o Keffieh, che si pronunzia in questi varii modi, è un fazzoletto quadro legato intorno al capo con doppii giri di una funicella di pelo, e scende al collo e alle spalle. Ordinariamente listato a verde e giallo, o tutto bianco. Il professore Dozy, Dictionnaire des noms des vêtements ec., p. 394, sostiene che la origine di questa voce sia italiana. Credo al contrario che gli Arabi l'abbian portato in Italia.
140
Sâdât è plurale di plurale, come lo chiamano i grammatici arabi, della voce notissima Sâid, signore. Con questo titolo significativo chiamansi i senatori della Mecca di quel tempo nelle antiche tradizioni che raccolse Ibn-Zafer nel libro intitolato Nogiabâ-'l-Ebnâ ossia dei “fanciulli egregii.” Se ne parla a proposito di un aneddoto di Maometto fanciullo di dodici anni, entrato per caso nella sala del consiglio, mentre vi si trattava un alto affare. Vedi il MS. di Parigi, Suppl. arabe 486, fol. 48 verso, e Supp. arabe 487… La presente citazione si riferisca al solo titolo che non credo sia dato da altro autore. La istituzione e autorità del consiglio è nota.
141
Ibn-el-Athîr, MS. C., tom. I, fol. 3 recto e verso.
Sul giorno della fuga, gli eruditi non son di accordo; ponendolo chi in giugno e chi in settembre 622. Vedi Caussin, Essai sur l'histoire des Arabes, tom. I, p. 16, seg.
In ogni modo il primo anno dell'egira cominciò il giovedì 15 luglio 622, secondo gli astronomi arabi, e, secondo l'uso comune, il 16; contando gli astronomi il principio della giornata da mezzodì, e i magistrati e il popolo dal tramonto del sole. Vedi Sédillot, Manuel de Chronologie universelle, Paris 1830, tom. I, p. 340, seg.
142
Parendomi inutile e noiosissimo di far citazioni in un quadro generale, mi contenterò di ricordare ai lettori le opere principali da consultarsi su la storia degli Arabi avanti l'islamismo e nei primi tempi di quello. Sono: il Corano; le Tradizioni di Maometto, delle quali la raccolta più compiuta che si trovi data alle stampe è il Mishkat-ul-Masabih, versione inglese del capitano Matthews; Pococke, Specimen historiæ Arabum; Universal history, ancient part, tom. XVIII., modern part, tom. I; Caussin, Essai sur l'histoire des Arabes.
L'ambasceria degli Arabi a Iezdegerd si legge in Tabari, Annales regum, edizione del Kosegarten, tom. II, p. 274 a 281, e se ne trova un compendio nel tom. III di M. Caussin, p. 474, seg., e una versione francese di M. de Slane, Journal Asiatique 1839, tom. VII, pag. 376, seg. Sarebbe superfluo lo avvertire ch'io non ho composto il discorso di Mogheira, ma soltanto abbreviatolo, lasciandovi per lo più le parole dell'originale.
143
Hariri, Mecamêt, ediz. di M. de Sacy, p. 34, edizione di MM. Reinaud e Derenbourg, p. 39. Questa tradizione è data nel Commentario. Veggasi anche lo aneddoto raccontato da M. Caussin, Essai, tom. III, p. 507.
144
Dirhem è corruzione della voce greca e latina drachma. Significa appo gli Arabi un peso e una moneta di argento. Il valore della moneta così chiamata è stato, come sempre occorre, vario ne' varii tempi e luoghi: spesso moneta di conto, ma non effettiva. I dirhem che abbiamo dei califfi, ancorchè in tempi posteriori ad Omar, tornano in peso d'argento a sessanta centesimi di lira italiana più o meno. Parmi che questo sia stato anco il valore che s'intendea sotto la denominazione di dirhem al tempo di Omar. Si può supporre che una giornata di lavoro presso i popoli stanziali di Arabia tornasse in quel tempo circa a due dirhem; poichè lo schiavo persiano il quale per vendetta uccise quel gran principe, sendo ito a chiedergli giustizia contro il proprio padrone che l'obbligava a pagare due dirhem