Delitti Esoterici. Stefano Vignaroli

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Delitti Esoterici - Stefano Vignaroli

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fumante per l'anziano patriarca. Roboamo bevve con cura poi, da un vassoio che gli veniva porto da una delle due ancelle, prelevò un astuccio e ne estrasse una siringa. «Papaverina. Inoculata nel corpo cavernoso del pene, consente un'erezione duratura per un soddisfacente rapporto, anche per una persona anziana come me. Ti trasmetterò tutto il mio sapere e la mia scienza tramite la congiunzione carnale, dopo di che avrai accesso al Sancta Sanctorum.»

      Le ancelle aiutarono Aurora a spogliarsi e a coricarsi sui cuscini disposti all'uopo sul pavimento, poi si presero cura del vecchio, lo liberarono dei vestiti, gli praticarono l'iniezione, lo massaggiarono per bene, e quando capirono che era pronto a consumare il rapporto con la nuova arrivata, si ritrassero in un angolo della stanza. Il rapporto con l'anziano procurò ad Aurora un immenso piacere. Chiuse gli occhi e si abbandonò alle spinte di Roboamo. Al culmine dell'eccitazione, raggiunto l'orgasmo, capì che con il flusso di sperma stava penetrando in lei un calore che la pervadeva dalla punta dei piedi all'ultimo capello. Stava assimilando in un sol colpo tutto il sapere che l'anziano aveva accumulato in decenni di permanenza in quel luogo inaccessibile. A un certo punto, Aurora si rese conto che Roboamo era immobile sopra di lei. Aveva ancora il pene eretto, per effetto della papaverina, ma non respirava più, era spirato. Con un delicato movimento, spostò di lato il corpo di Roboamo e con non poca difficoltà si sganciò da lui. Mentre le ancelle si prendevano cura del defunto, Aurora si rivestì e venne assalita dalla paura: come raggiungere il Sancta Sanctorum senza la guida di Roboamo? Ma poi, concentrandosi, capì che, oltre al sapere, aveva assimilato tutto quello che era conservato nella sua memoria, e quindi conosceva già la strada da seguire per raggiungere la meta. Ma c'era di più, il rapporto appena consumato l'aveva trasformata, aveva la pelle più liscia, i seni più sodi, le gambe più snelle, i capelli meno sottili, insomma si sentiva ringiovanita. Cercò uno specchio, che le restituì l'immagine di una ventenne, l'immagine di lei stessa ma con quaranta anni in meno. Con le mani si toccò il volto, come per accertarsi che quello che vedeva fosse reale e non fosse una visione. Le rughe erano sparite, i suoi occhi verdi brillavano, non c'era ombra di opacità nel cristallino, i capelli erano tornati al loro color castano chiaro naturale. Ma non era tempo di soffermarsi su futili elementi. Doveva raggiungere la “Chiave di Salomone”.

      Cercando di seguire i ricordi impressi nella mente di Roboamo, ridiscese le scale fino a piano terra. In un salone dalle pareti decorate, cercò una statua dorata che raffigurante un gatto. In corrispondenza del collo di quest'ultimo notò un medaglione dalla forma di un pentacolo. Lo ruotò e vide aprirsi un passaggio nella parete di fondo, l'unica su cui non si aprivano finestre. Entrò in un lungo corridoio semibuio, illuminato ogni tanto dalla fioca luce di antiche lampade a olio. Al termine del corridoio una scala a chiocciola scendeva nei sotterranei, fino a un altro salone riccamente decorato. Andò dritta verso una massiccia porta dorata, arricchita da bassorilievi in oro zecchino, raffiguranti episodi della vita del Re Salomone. Non vi era serratura per aprire tale porta, né altri marchingegni. Per accedere al Sancta Sanctorum occorreva un comando vocale, diverso a seconda dei giorni della settimana e delle ore del giorno. Aurora, calcolando che in quel momento avrebbe dovuto invocare la luna, pronunciò a gran voce: «Levanah!»

      La massiccia porta dorata iniziò a scorrere all'interno del muro a doppia testata, lasciando libero accesso alla più segreta delle stanze del tempio. Al centro della stanza, sopra una colonna di circa un metro e venti di altezza, un cofanetto d'avorio custodiva il libro e l'anello con il sigillo di Salomone, il più potente talismano di tutti i tempi. Non senza emozione, aprì lo scrigno. Il libro era al suo posto, ma non l'anello. Chi era giunto lì prima di lei era riuscito a trafugarlo, assicurandosi una potenza non indifferente e difficile da combattere, qualora utilizzata per scopi malefici. Ma ora la maga non aveva tempo di pensare, aveva tutta la notte per poter assimilare quanto Salomone aveva scritto tantissimi secoli prima, cosa che non aveva ricevuto dalla memoria di Roboamo, in quanto egli, anche se aveva accesso al Sancta Sanctorum, non aveva mai avuto il coraggio di affrontare il sacro testo. Quando fu sicura di avere imparato a memoria tutte le formule e le invocazioni, ripose la Chiave nel cofanetto e uscì, percorrendo a ritroso il cammino fatto per arrivare fin lì. Quando uscì nel salone, notò che dalle finestre iniziavano a entrare le prime luci dell'alba. Ruotò il medaglione sulla statua del gatto, riportandolo alla posizione iniziale, e il passaggio da cui era appena uscita si richiuse.

      Era ora di tornare a casa, in Liguria, e questa volta il viaggio sarebbe stato breve. Avrebbe usato il teletrasporto, che era una delle nuove magie che aveva appena appreso. Ma prima doveva congedarsi da Larìs. Tornò al chiostro, dove si trovavano le stanze degli ospiti, incontrò Ero e Dusai già alzati che conversavano sul bordo della piscina. A entrambi sfuggì un apprezzamento sul nuovo aspetto di Aurora.

      «Accidenti! Fosse stata così l'altro giorno!» commentò Dusai.

      La maga evitò di ribattere e bussò alla porta di Larìs, che era ancora immersa nel mondo dei sogni. Assonnata, Larìs aprì la porta e guardò la giovane con aria interrogativa. Quando si rese conto che era la sua compagna di viaggio, si stropicciò gli occhi pensando che ancora stesse sognando.

      «Sì, sono io!» disse Aurora. «Me ne sto andando, ma rimarremo in comunicazione telepatica. Quando avrò bisogno di te, lo saprai, e avrai modo di raggiungermi nel più breve tempo possibile.»

      Poi avvicinò le sue labbra a quelle di Larìs, e la baciò.

      «A presto!»

      Aurora uscì dal tempio e raggiunse una radura isolata, dove si sedette in terra, avendo cura di non incrociare le gambe, si concentrò sul luogo in cui doveva recarsi e pronunciò la formula magica. Come catturato da un vortice, da una specie di tromba d'aria, il suo corpo svanì per riapparire a Triora, all'interno della sua dimora.

      «Eccomi a casa!»

      CAPITOLO IV

      Ci dirigemmo a piedi verso la scena del delitto, che era già stata delimitata dalle strisce di plastica bianche e rosse con la scritta "Polizia di Stato". Il luogo era annerito dall'incendio e bagnato dall'acqua usata per spegnerlo, ma quello che più colpiva era l'odore nauseabondo che si era costretti a respirare. L'odore della carne umana bruciata, che ancora aleggiava nell'aria, era davvero insopportabile. Quando vidi il corpo, riuscii a trattenere a stento un conato di vomito. A prima vista sembrava un manichino, piegato su stesso, addossato a un cancello metallico che chiudeva una specie di grotta, la forma umana annerita dalle fiamme. Non c'era più traccia dei capelli e in qualche zona si intravedevano le ossa in mezzo a qualche brandello di pelle incartapecorita. Si intuiva che era il corpo di una donna dalla sagoma dei seni. All'altezza di polsi e caviglie si notavano come dei filamenti di plastica fusa, indice di qualcosa che doveva essere servita per legare la vittima al cancello. Il medico legale stava eseguendo i primi rilievi sul corpo, mentre gli uomini della scientifica erano in paziente attesa che questi terminasse per iniziare il loro lavoro. Dicendo a Mauro di attendermi, mi avvicinai oltrepassando la barriera di strisce di plastica. Quando avvertì la mia presenza, il medico sollevò la testa e sfilò i guanti di lattice, scuotendo la testa. La persona che stava porgendo la mano verso di me era una donna sulla trentina, minuta, capelli corti mori, occhi scuri e un piccolo piercing dorato al naso.

      «La dottoressa Ruggeri, immagino! Piacere, dottoressa Ilaria Banzi, medico legale.»

      «Che cosa mi può dire di questa povera donna?»

      «Veramente raccapricciante, nella mia sia pur breve carriera non ho mai visto niente di simile. Non so dire ora se fosse viva o morta quando è stata data alle fiamme ma, dal momento che sembra evidente che sia stata legata mani e piedi a quel cancello con del nastro adesivo, penso proprio che sia stata bruciata viva. Questo particolare ce lo dirà l'autopsia. Per il momento posso dire che siamo in presenza di soggetto di sesso femminile, intorno ai trentacinque, quarant’anni al massimo, a giudicare dalla dentatura, ma non posso essere precisa neanche in questo, in quanto il fuoco ha alterato tutto. Appena la scientifica avrà fatto i suoi rilievi, disporrò il trasferimento

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