Leopardi. Federico De Roberto
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Immaginate che il cielo a un tratto si oscuri, che il vento, la pioggia, la folgore muovano guerra alla terra ed alle sue creature. La tempesta le rende fredde, tacite, smorte. Torni la quiete, si sgombri il cielo, riapparisca chiaro il fiume giù nella valle: ogni cuore si rallegra, da ogni parte la vita riprende con nuovo ardore il suo corso. Il poeta che si è sentito opprimere come tutti gli altri durante la bufera, dovrebbe come tutti gli altri gustare la letizia del sereno; ma se questo poeta si chiama Giacomo Leopardi, il filosofo che c'è in lui non si abbandona al piacere del momento: come il chimico che saggia e scompone i corpi per conoscerne la natura, così il filosofo saggia e scompone i sentimenti. Egli ragiona così: “Prima che scoppiasse la tempesta il cielo era chiaro, l'aria era quieta, il sole splendeva; ma chi godeva di queste cose? Non solamente pochi ne godevano, ma quasi passavano inosservate dai più. Ora, sì, ne godiamo tutti; perchè? Che cosa è avvenuto? È avvenuto questo: che le perdemmo per un momento. Dallo stato d'indifferenza nel quale eravamo prima, passammo a uno stato di paura e d'angoscia. Il nostro piacere d'ora che cosa è dunque? È una cosa negativa, è la fine del dolore sopravvenuto.„ Ed egli scrive la Quiete dopo la tempesta, che è tutt'insieme una poesia squisita ed una pagina di filosofia; ma dove se ne è andata la sua sensazione piacevole? È finita; è stata dispersa dal ragionamento che l'ha trovata tutta relativa e fallace.
L'esempio è significante. Il Leopardi è un poeta sensibilissimo, ma c'è anche in lui un freddo speculatore; e appunto per questa complessità della sua mente egli è molto più infelice che non sarebbe se fosse soltanto poeta troppo vibrante. Naturalmente la capacità di pensare viene dopo quella di sentire. Noi tutti cominciamo a sentire appena dischiusi gli occhi alla luce; l'intelletto lavora più tardi. Il Leopardi vive pertanto, nei primissimi tempi, al modo poetico, sentendo, vibrando, illudendosi; se questa sua capacità non fosse grandissima, il pensiero, la ragione, cominciando ad operare più tardi, forse ne trionferebbe; e se la capacità di pensare non fosse in lui massima, forse trionferebbe il sentimento: il suo strazio per questo è ineffabile: perchè dentro di lui si urtano e lottano due anime diverse di tempra, ma egualmente gagliarde. Uditelo lagnarsi col Giordani dei danni che ha prodotti in lui la ragione: “Vi vedo molto malinconico e potete credere che non so come consolarvi, se non pregandovi a concedere qualche cosa alle illusioni che vengono, sostanzialmente dalla natura benefattrice universale, dove la ragione è la carnefice del genere umano, e una fiaccola che deve illuminare, ma non incendiare, come pur troppo fa....„ Come pur troppo ha fatto in lui e nei suoi pari, sarebbe più giusto dire. Ma il suo spirito non è così fatto da cercare nei casi particolari ciò che è generale, da estendere a tutta la natura umana ciò che è proprio di alcuni uomini?
E tutta la storia della sua vita morale è piena dei dolori prodotti dal dissidio tra il sentimento e lo spirito, tra la fantasia e la ragione.
A noi ti vieta
Il vero appena è giunto,
O caro immaginar....
Il pensiero lo fa soffrire, la verità nuda gli incute paura, la visione poetica dell'esistenza gli è parsa solo amabile; più tardi “ogni cosa che sa di affettuoso e di eloquente mi annoia, mi sa di scherzo e di fanciullaggine ridicola. Non cerco altro fuorchè il vero, che ho già tanto odiato e detestato.„ E se la verità alla quale egli perviene non gli è grata, tuttavia la soddisfazione di trovarla è dilettosa; ma perchè questo diletto sia possibile bisogna che “l'ultima scintilla„ si spenga nel suo cuore; finchè il cuore ardeva egli non la poteva comprendere; la ragione e la fantasia erano incompatibili. Questa incompatibilità è l'origine delle sue contraddizioni. Giudicato, per la sua natura troppo poeticamente immaginosa, che le illusioni e le speranze sono le cose più amabili, egli asserisce che la fantasia è la sola fonte di felicità in questa vita; ma l'asserzione è dovuta al filosofo, la legge è formulata dal filosofo; e questo filosofo non può assegnare una parte secondaria alla ragione sulla quale è poggiata la sua filosofia; quindi un urto continuo. Ed egli sa qual danno derivi “dal voler troppo far uso della ragione„ — della ragione che gli fa riconoscere “tutta la verità„ intorno ai funesti effetti della fantasia....
In tanto contrasto, che cosa accade di un'altra facoltà dell'anima, d'una facoltà necessaria a vivere in mezzo agli uomini: della volontà? Sentire, immaginare, ragionare, sono cose belle e buone; ma bisogna anche volere ed agire. Nelle crisi continue prodotte dall'intimo dissidio dell'imperiosa ragione e della fantasia smodata, Giacomo Leopardi perde la capacità di operare. Per un tempo troppo breve, prima che egli immagini e quando ancora non indaga, è attivo e prepotente: fanciullo, nelle finte battaglie romane, a lui debbono toccare le più belle parti; dietro al suo carro di trionfatore si debbono trascinare i fratellini in atteggiamento di schiavi. La volontà dà ancora prova di tenacia quando egli studia per lunghi anni, eroicamente, da mattina a sera, finchè la lucerna dà gli ultimi guizzi; quando apprende senza maestro il greco e l'ebraico; quando non resta in ozio neppure per aspettare che l'inchiostro della fresca scrittura si asciughi, ed impiega questi minuti a leggere grammatiche spagnuole ed inglesi; ma già la volontà sua non è più quella che rende capaci di agire. Studiare è un altro modo di pensare, è la condizione necessaria per avere di che ragionare: l'energia, la forza di muoversi, di lottare, scema a poco a poco e si disperde. Egli è andato troppo dietro alle finzioni; ha troppo disperso la sua capacità vitale vivendo in un mondo immaginario. Se vuole operare, se vuole esercitare la sua sensibilità avida e ingorda nel mondo reale, la forza stessa dell'attività interiore gli è d'impaccio. Egli non sa come fare, da qual parte cominciare. “Il embrasse tout, il voudrait toujours être rempli; cependant tous les objets lui échappent, précisément parce qu'ils sont plus petits que sa capacité. Il exige même de ses moindres actions, de ses paroles, de ses gestes, de ses mouvements, plus de grâce et de perfection qu'il n'est possible à l'homme d'atteindre. Ainsi, ne pouvant jamais être content de soi-même, ni cesser de s'examiner, et se défiant toujours de ses propres forces, il ne sait pas faire ce que font tous les autres.„ Egli descrive con mano maestra questa impotenza per averla studiata direttamente in sè stesso. Quando si lamenta del pensiero, quando dice che il pensiero lo cruccia e lo martora, che è il suo carnefice e il suo distruttore “per questo solo che m'ha avuto sempre e m'ha interamente in sua balìa„, egli significa l'impotenza dolorosa alla quale è condannato, contro sua voglia, “senza alcun desiderio„, anzi col desiderio opposto, di muoversi, di operare, di vivere attivamente. Questa impotenza gli è tanto propria che più e più volte egli la significa nelle sue composizioni artistiche. Egli loda l'amore perchè, mercè sua,
Sapïente in opre
Non in pensiero invan, siccome suole,
Divien l'umana prole.
Egli invidia gli uccelli perchè “cangiano luogo ad ogni tratto; passano da paese a paese quanto tu vuoi lontano, e dall'infima alla somma parte dell'aria, in poco spazio di tempo, e con facilità mirabile; veggono e provano nella vita loro cose infinite e diversissime; esercitano continuamente il loro corpo; abbondano soprammodo della vita estrinseca.„ E il suo Filippo Ottonieri narra che Socrate “inchinando naturalmente alle azioni molto più che alle speculazioni, non si volgeva al discorrere, se non per le difficoltà che gl'impedivano l'operare.„
Questo impedimento fu il suo; tanto più doloroso quanto che egli ne ebbe nitida coscienza. Di tutti i mali derivanti dalla sua costituzione psichica noi abbiamo visto che egli ebbe coscienza; i quali, riassumendo, furono: l'esagerazione del sentimento poetico, cioè della sensibilità e della fantasia; il contrasto fra questo squisito sentimento poetico con un altissimo spirito filosofico, e per conseguenza la depressione e la dispersione della volontà.
L'EDUCAZIONE
CLASSICISMO E ROMANTICISMO.