Leopardi. Federico De Roberto

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Leopardi - Federico De Roberto

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bellezza. Allora egli si converte, s'immerge “sino alla gola„ nei “suoi„ classici; gli scrittori che cercano ispirazioni oltre l'Alpi eccitano il suo sdegno; lo Spettatore italiano, foglio romantico, gli pare “un mucchio di letame„; la Biblioteca italiana, giornale dei classici, ha le sue preferenze. Allora egli è considerato come uno dei campioni del classicismo; Pietro Giordani lo stima classico non soltanto di studii, ma anche di animo: “Più volte m'è venuto in mente che se ci fosse ancora lecito di ripetere i sogni platonici.... io vorrei dire ch'egli fosse una di quelle anime preparate da natura per incarnarsi in Grecia sotto i tempi di Pericle e di Anassagora; e da non so qual errore tardata sino a questi miseri giorni ultimi d'Italia; per mezzo i quali, parlando con voce italiana pensieri greci, come straniera passò.„ Ma il Giordani s'inganna anch'egli; l'anima che pareva greca era nondimeno del suo tempo; per quanto grande fosse la seduzione del mondo antico, il suo proprio mondo dal quale voleva fuggire la tratteneva con mille sottilissimi fili ed esercitava un'influenza costante su lei.

      Consideriamo ad uno ad uno i caratteri del romanticismo come metodo letterario e come stato psicologico: vedremo quanti se ne trovano nel Leopardi. Letterariamente, i romantici insorgono contro l'imitazione. Per lungo tempo i grandi antichi sono stati considerati insuperabili; studio e dovere degli scrittori è stato quello imitarli. E il Leopardi, con tutta la sua infatuazione per gli antichi, quantunque anch'egli li abbia non poco imitati, pure critica il Monti perchè questo poeta “va con una ributtante freddezza ed aridità in traccia di luoghi di classici greci e latini, di espressioni, di concetti, di movimenti classici, per esprimerli elegantemente; lasciando con ciò freddissimo l'uditore„; e giudica che la coltura classica, così adoperata “più quasi nuoce di quello che giovi.„

      Un altro punto intorno al quale romantici e classici battagliano è questo: l'arte deve figurare il brutto? o attenersi soltanto al bello? I classici sono per questo secondo partito, escludendo il primo rigorosamente; gli altri invece vogliono che il campo dell'arte si slarghi, che comprenda tutta quanta la natura. E intorno a questo argomento il Leopardi discorda dal Giordani. “Ella ricorda in generale ai giovani pittori che senza stringente necessità della storia (e anche allora con buon giudizio e garbo) non si dee mai figurare il brutto. Poichè, soggiugne, l'ufficio delle belle arti è di moltiplicare e perpetuare le immagini di quelle cose o di quelle azioni cui la natura o gli uomini producono più vaghi e desiderabili: e quale consiglio o qual diletto crescere il numero o la durata delle cose moleste di che già troppo abbonda la terra?„ Rispettosamente egli espone al maestro il suo concetto tutto diverso. “A me parrebbe che l'ufficio delle belle arti sia d'imitare il bello nel verisimile„. È vero che si appoggia all'autorità dei classici, di Omero, di Virgilio, di Dante, dei tragici; ma non è detto che i classici sieno tali in tutto e che i precetti dei romantici siano senza esempio di sorta. Nuova è la forza con la quale essi li affermano; e il Leopardi non si contenta dell'esempio, ricorre alla dimostrazione: “Certamente le arti hanno da dilettare, ma chi può negare che il piangere, il palpitare, l'inorridire alla lettura di un poeta non sia dilettoso? Perchè il diletto nasce appunto dalla maraviglia di veder così bene imitata la natura, che ci paia vivo e presente quello che è o nulla, o morto, o lontano. Ond'è che il bello, il quale veduto nella natura, vale a dire nella realtà, non ci diletta più che tanto, veduto in poesia o in pittura, vale a dire in immagine, ci reca piacere infinito. E così il brutto imitato dall'arte, da questa imitazione piglia facoltà di dilettare. Se un uomo è di deformità incredibile, ritrar questa non sarebbe sano consiglio, benchè vera, perchè le arti debbono persuadere e far credere che il finto sia reale, e l'incredibile non si può far credere. Ma se la deformità è nel verisimile, a me pare che il vederla ritratta al naturale debba dilettare non poco....„ Non si sente già venire Vittor Hugo il quale estenderà quest'idea e le darà forza di domma, protestando contro i pedanti che vogliono escludere il difforme, il brutto e il grottesco dalla riproduzione artistica, ed affermando superbamente: “Tout ce qui est dans la nature est dans l'art„?

      Ancora: l'antica mitologia, della quale i poeti hanno fatto un secolare abuso, fuor della quale non si è trovata bellezza artistica, è sdegnata e derisa dai novatori: la fede cristiana torna invece ad essere onorata, le credenze religiose si ridestano e si affermano: l'arte narra i Martiri, celebra il Genio del Cristianesimo. Con tutto il suo paganesimo letterario, il Leopardi è pure nato nella fede di Cristo, ne sente pure la rinnovata seduzione; egli pensa pertanto di comporre ed abbozza gl'Inni Cristiani. I romantici non cantano solamente Dio, ma anche il diavolo; perchè essi credono che l'arte non debba escludere nulla, neppure l'orrido; e che dai contrasti nascono effetti nuovi, più potenti: essi dicono: “Nous vous donnerons de l'incroyable, de l'affreux, du terrible, de l'extravagant, et s'il le faut, le diable lui-même remplacera votre vieux Apollon....„ E il Leopardi abbozza anche un'invocazione ad Arimane, al genio del male.

      I classici si rivoltano contro questa novità, vorrebbero attenersi esclusivamente alle letterature antiche, e bandire i moderni, gli stranieri, i nordici, dai quali vengono i maggiori ardimenti. Pietro Giordani divulga il consiglio che dà agli scrittori nostri la signora de Staël: “Dovrebbero, a mio avviso, gl'Italiani, tradurre diligentemente assai delle recenti poesie inglesi e tedesche, onde mostrare qualche novità a' loro cittadini, i quali per lo più stanno contenti all'antica mitologia; nè pensano che quelle favole sono da un pezzo anticate; anzi il resto d'Europa le ha già abbandonate e dimenticate.„ Ma il Piacentino, che pare abbia fatto sue queste parole, traducendole, si schiera tosto dall'altra parte; e come il Monti si lagna che

      Audace scuola boreal, dannando

      Tutti a morte gli dèi che di leggiadre

      Fantasie già fiorîr le carte argive

      E le latine, di spaventi ha pieno

      Delle Muse il bel regno;

      così egli si duole che le nostre assonnate immaginazioni domandino, per risvegliarsi, “il fracasso, e quanto hanno di più frenetico e tempestoso le fantasie settentrionali„, e si ferma a dimostrare come siano diversi e discordi i genii delle due contrade. E il Leopardi si è doluto, come abbiamo visto, d'aver disprezzato Omero, Dante e tutti i classici e d'aver ammirato gli stranieri; nondimeno, se egli passa dal disprezzo all'ammirazione per i primi, e viceversa, non è già che segua da ultimo rigorosamente il nuovo indirizzo. Mentre il Giordani lo giudica classico d'animo e di letture, il Belloni, romantico, può dargli lode e cantare di lui, tanto moderato è l'uso che egli fa della mitologia. E, quanto agli stranieri, per comporre un trattato sulla Condizione presente delle lettere italiane, egli sente il bisogno di “infinite letture anche di libri stranieri.„ Egli legge, studia e cita l'iniziatore del romanticismo: il Rousseau, e si rallegra caldamente col Brighenti “della conoscenza ch'ella avrà fatta con Lord Byron, uomo certamente segnalato„; e giudica questo romantico, questo settentrionale, questo gran ribelle nell'arte e nella vita “uno dei pochi poeti degni del secolo, e delle anime sensitive e calde.„ E dà lode al Goethe perchè ha preso dalla realtà i casi di Werther; e se più circospetto è il suo giudizio sulle Memorie del grande poeta tedesco, noi vedremo che lo modifica. Queste Memorie, dice “hanno molte cose nuove e proprie, come tutte le cose di quell'autore, e gran parte delle scritture tedesche; ma sono scritte con una così salvatica oscurità e confusione, e mostrano certi sentimenti e certi principii così bizzarri, mistici e da visionario, che, se ho da dirne il mio parere, non mi piacciono molto.„ Ma più tardi al fratello Carlo, romantico deciso, più di lui ammiratore degli stranieri, scrive: “È vero che le tue lettere sono triste, ma son care e belle, ed io amo meglio di sentirti lamentare, che di lasciarti tacere. Il tuo stile si rassomiglia a quello del Goethe nelle Memorie della sua vita che ha pubblicato ultimamente. Io comprendo benissimo tutta la pena del tuo stato....„ Egli comprende anche lo stile del poeta di Faust dopo aver compreso lo stato d'animo che lo ha dettato.

      Perchè, infatti, lo stile dei romantici e dei classici non è diverso per la diversità dei precetti retorici delle due scuole; ma perchè diversa è la condizione e l'indole dell'animo loro. Lo stesso Goethe spiega bene che i moderni non sono romantici perchè moderni, ma perchè deboli,

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