Saving Grace. Pamela Fagan Hutchins

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Saving Grace - Pamela Fagan Hutchins

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la fine infelice della nostra serata, le ricadute professionali sembravano esagerate. Stava forse insinuando che l’avessi molestato sessualmente? In meno di un secondo, passai da zero a sessanta in una scala di rabbia.

      “Non vuoi più lavorare con me? Ti metto all’ANGOLO? Abbiamo una conversazione difficile a livello personale e tu ti rifiuti di lavorare con me?”

      “Puoi abbassare la voce per favore?” sibilò. Gettai le braccia in aria. Lo prese come un sì e continuò. “Voglio solo minimizzare i contatti,” disse. La sua voce rifletteva lo sguardo.

      “Assurdo.” Nick alzò la mano, e io aumentai di nuovo il volume. “Siamo un’ottima squadra. Quando lavoriamo insieme portiamo grandi benefici allo studio. Non capisco perché lo stai facendo. Tutto a causa di ieri notte?”

      Cento occhi mi stavano guardando mentre cadevo a pezzi emotivamente. No, era solo paranoia. Portai le mani al colletto per cercare di allentarlo.

      “Non intendo parlare del perché. Ho solo bisogno di spazio. Se hai un problema con me, devi rivolgerti a Gino.”

      Tempo di decisioni e autocontrollo. Se avessi fatto una scenata, l’avrei messo in imbarazzo e non sarei mai riuscita a rimettere le cose a posto. Avevo passato metà della notte prima a fare pace con il fatto che non ci sarebbe mai stato un “noi”, un “Nick e Katie”. Non mi piaceva l’avvocatura, ma nell’ultimo anno, avevo amato lavorare con Nick. Lavorare con lui era meglio di niente. Forse era anche abbastanza. Ma se me l’avesse impedito, l’unica cosa che mi sarebbe rimasta sarebbero stati pensieri che volevo continuare ad ignorare.

      Dovevo anche essere realistica. Ero importante per lo studio. Ma il futuro ex-suocero di Nick era il nostro maggior cliente. Questo screzio doveva rimanere fra di noi. Non mi sarei “rivolta a Gino”. Inoltre, cosa gli avrei detto? Gino, Nick non vuole lavorare con me perché pensa che voglia andare a letto con lui. Fai in modo che sia gentile con me o faccio la matta.

      Misurai le mie parole. “Immagino di non avere scelta. Rispetterò le tue richieste, ma lasciami essere chiara al cento per cento: questa è una tua decisione. Non la capisco e non è ciò che voglio. Inoltre, prometto di essere sincera con te. Iniziando da adesso.” Sembrava un bell’inizio, dato che gli avevo mentito la sera prima e lui lo sapeva. “Questo mi ferisce. Mi tratti come se mi odiassi. Abbiamo avuto un momento spiacevole questo fine settimana. Penso ne dovremmo riparlare in ufficio.”

      “Non la penserò diversamente,” disse Nick. Fece per alzarsi, ma lo fermai.

      “Aspetta. Devo dire cosa vorrei tu facessi di più e di meno.”

      Si rimise a sedere. Ignorai il dolore lancinante allo stomaco e cominciai. “Vorrei che tu tenessi una mente più aperta, giudicassi meno e prendessi meno decisioni impulsive.”

      “Okay.”

      “Okay, ti impegnerai a farlo?”

      “Sì, ho capito.”

      Ci guardammo negli occhi per molti altri secondi. Poi Nick si alzò. Le gambe della sua sedia emisero un orribile “criiiic” sfregando contro il pavimento in resina. Rabbrividii. Probabilmente al momento sbagliato, visto come aggrottò la fronte e strinse le labbra. Se ne andò.

      Rimasi inchiodata alla mia sedia.

      Un po’ di tempo dopo — secondi? minuti? — Emily interruppe la mia imitazione di un blocco di ghiaccio.

      “Terra chiama Katie. C’è la pausa. Vieni?” chiese. Il suo tono era nervoso, ma non quanto i messaggi di questa mattina.

      Rivolsi lo sguardo verso di lei. Con le sue gambe lunghissime, aveva messo degli stivaletti texani e un paio di jeans, che aveva poi abbinato ad una giacca in denim della Gap e una camicetta di cotone viola. “Ehm, no, grazie. Ci rivediamo dopo qui,” dissi.

      Emily uscì dalla sala riunioni con un gruppo di consulenti legali. Mi precipitai al bar. Qual è un cocktail che sia accettabile bere alle dieci del mattino? Ordinai un Bloody Mary, un drink che non avevo mai provato. E chi lo sapeva quanto fosse buono il Bloody Mary? Il primo mi piacque, così ne ordinai un altro. Con l’aiuto del mio nuovo amico Bloody Mary, decisi che potevo rimettere le cose a posto con Nick. Solo, non riuscivo a trovarlo.

      Una volta finita la paura, presi Emily da parte. “Hai visto Nick?” le chiesi.

      Emily sospirò. “Se n’è andato. Ho sentito che diceva a Gino di avere un’emergenza familiare.”

      Un fiasco.

      La giornata voltò al termine. Non mi ricordo molto. Penso di aver fatto espressioni e commenti opportuni quando richiesto. O forse no. La lavatrice che avevo al posto del cervello stava centrifugando pensieri su Nick.

      Ad una certa ora del pomeriggio, Emily mi riaccompagnò a casa sulla mia vecchia Honda Accord metallizzata. Il giorno si trasformò in notte, e la notte di nuovo in giorno, e quando mi svegliai il giorno seguente al sentire la voce di mio fratello, mi ritrovai stravaccata sul divano del soggiorno.

      Quattro

      Appartamento di Katie, Dallas, Texas

      16 agosto 2012

      “Hai una buona scusa per non aver riposto a nessuna delle mie chiamate?” disse Collin in un austero tono da fratello maggiore. Mi sforzai di aprire gli occhi abbastanza da vederlo gesticolare per il soggiorno del mio – una volta – bellissimo appartamento. Collin era come un gemello, più grande di me di undici mesi. Avevamo finito le superiori insieme, però, dato che nostro padre, un vero texano, aveva insistito che Collin aspettasse un anno per avere un vantaggio fisico nella squadra di football. Perciò non solo eravamo identici, ma anche compagni di classe. Eppure, Collin ha sempre avuto uno spirito paterno nei miei confronti, specialmente nell’ultimo anno, dopo aver perso mamma e papà.

      Aprii leggermente gli occhi, abbastanza da vedere il casino che avevo lasciato. Non doveva avere un bell’aspetto. Normalmente sono inverosimilmente maniacale per quanto riguarda la pulizia. Collin ha sempre sostenuto che avessi un disturbo ossessivo-compulsivo, ma io non ero d’accordo. Passo l’aspirapolvere al contrario perché non mi piacciono le impronte sulla moquette. Organizzo i miei vestiti per stagione e li suddivido per scopo e colore, chi non lo fa? E anche se non tutti pettinano le frange dei cuscini come me, credo che dovrebbero faro. Frange aggrovigliate. Che orrore. Queste ultime settimane, però? Beh, non così tanto.

      C’erano — oh — involucri di cibo pronto sul tavolo della cucina e un paio di bottiglie di Grey Goose vuote sul piano di lavoro. Per gli standard di Dennis la Minaccia, non era così antigenico, ma se mi conosceste come mi conosce mio fratello, vi preoccupereste. Avevo dormito con gli abiti da lavoro di ieri e i vestiti dei giorni precedenti erano in una pila che non avevo ancora portato in lavanderia, a lato del sofà — lo stesso sofà sul quale il cuscino dalle frange aggrovigliate mi stava innervosendo, con i suoi nodi e le sue trecce. Sulla televisione passava Runaway di Bon Jovi da un canale di musica anni ‘80. Un quasi prosciugato Bloody Mary si prendeva gioco di me dal tavolino da caffè, dove sedeva vicino al mio portatile Vaio, una bottiglia di Excedrin e il mio iPhone.

      Mi misi a sedere nel modo più decoroso possibile e stiracchiai i vestiti. “Perché non ho sentito l’allarme quando sei entrato?” gli chiesi. Collin aveva una copia delle chiavi del mio appartamento, ma l’allarme avrebbe dovuto suonare quando aveva aperto la porta.

      Senza

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