Oltre Il Limite Della Legalità. Alessandro Ziliotto

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Oltre Il Limite Della Legalità - Alessandro  Ziliotto

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perderlo. Era come se fosse passato un camion di rose trasportate con il telo scoperte e al suo passaggio seminasse petali rosei lungo la via. Scorsi il suo sorriso di soddisfazione sul riflesso della porta a vetri scorrevole del centro commerciale, dove venne inghiottita dopo pochi secondi.

      Ora dovevo solamente attendere il suo ritorno all’auto. Dovevo essere preciso e veloce. L’attesi nella parte laterale del mezzo, lei non mi doveva vedere. Mi accovacciai quasi a terra lato passeggero e approfittando dell’altezza del mezzo controllai quand’era salita. Appena avviata la macchina, percorse solamente pochi centimetri dopo aver innescato la retromarcia; manovra che interruppe subito. Appena era entrata in macchina, per far uscire il caldo accumulato durante la sua assenza, aveva fatto scendere i finestrini dell’auto, dai quali si poteva udire una musica giovanile e allegra, dovuta probabilmente da qualche file dei figli lasciato nell’auto o semplicemente da una stazione radio decente.

      “Porca miseria, ma cos’ha quest’auto che non va, e sta spia?!”

      Le sue parole uscivano deboli accompagnate dalla melodia che le faceva da sottofondo nell’abitacolo.

      “Pronto Amore, mi sa che ho un problema con la macchina.”

      Pausa.

      “Si sono con la mia, mi si è accesa una spia di colore giallo, ma ha una forma strana, non te la so spiegare, è tipo…”

      Pausa.

      “Si dai sembrano due parentesi collegate con una riga zigrinata sotto, e ha un punto esclamativo all’interno, se non sbaglio, ti viene in mente qualche cosa?”

      Pausa.

      “Cosa? La pressione delle gomme?”

      E proprio mentre proferiva quelle parole, d’istinto aprì la porta e scese dal veicolo andando a controllare le gomme.

      “Amore, ma qui le gomme sono apposto…no no, aspetta, forse quella d’avanti è bassa, mi sa che hai ragione.”

      Pausa.

      “Dai ti aspetto, sono qui al centro commerciale a Casalecchio, sono al piano terra, vicino all’entrata, dai dove parcheggio io di solito, ma come…”

      Queste furono le ultime parole che riuscii a udire della signora, la quale era talmente presa dal problema dell’auto che non si era accorta che mi ero appropriato del suo portafoglio che fuoriusciva dalla borsa lasciata aperta sopra al seggiolino lato passeggero. Il piano aveva funzionato alla perfezione. Con il pneumatico anteriore bucato, dopo aver preso istruzioni da qualcuno al telefono, la signora era scesa a verificare il problema ed io in quel frangente, ero riuscito ad affacciarmi dal finestrino anteriore e dopo aver verificato la posizione della borsa, mi ero appropriato di ciò che mi interessava.

      E ora che dovevo fare? Avevo tra le mani ciò che m’interessava, ma non sapevo come comportarmi. Le scelte erano due: verificare subito il contenuto e sbarazzarmi delle prove, oppure trovare un luogo appartato ed esaminarlo con calma? Optai per la seconda, salii sul primo autobus che passava e mi feci portare in centro. Mi misi a camminare, sempre comunque con il cuore in gola, con la paura di essere fermato e scoperto. Dovevo sbrigarmi a fare ciò che dovevo fare. Dopo essere sceso, imboccai la prima stradina poco trafficata, e aspettando il momento propizio, mi misi a setacciare il contenuto del portafoglio. La giornata direi che l’avevo ampiamente guadagnata. I miei bei 370 euro li avevo racimolati. Intascato il malloppo, non feci altro che lasciar scivolare il portafoglio a terra dietro un muretto, e mi rimisi su via Indipendenza confondendomi con le centinaia di persone che vivevano la loro vita. Non riuscivo a spiegarmelo ma mi sentivo diverso. Forse oggi avevo cominciato a vivere o forse ero tornato bambino, al tempo in cui m’intrufolavo all’interno dei supermercati e dei tabaccai uscendone con delle caramelle. Oggi come allora avevo il cuore che pulsava come una locomotiva lanciata a tutta velocità e i dogmi impostimi dai miei genitori si scioglievano come ghiaccio al sole. Tutte quelle regole e limiti fissati dal lavoro e da una vita regolare e onesta non facevano per me. Erano sempre stati un freno che non riuscivo a togliere, un passo che non riuscivo a compiere, ma ora ero libero. Non avevo un lavoro e uno stipendio fisso, ma certo non sottostavo al volere di nessuno e questo per me era gratificante. La mia vera vita cominciava ora, quella di prima era solamente un sogno dal quale potevo conservare ricordi preziosi per vivere al meglio questa nuova esistenza. Ora come non mai esistevo io, solo ed esclusivamente io e non avrei dovuto rendere conto a nessuno se non a me stesso. Ero galvanizzato. Avevo l’impulso di sferrare un pugno in faccia a chiunque mi guardasse male, ma forse era meglio non esagerare.

      Il primo passo sarebbe stato quello di iscrivermi in palestra, ma questo l’avrei fatto l’indomani. Ora era tempo di festeggiare il colpo andato a segno. Ritornai a casa dal mio samaritano, al quale regalai dieci euro, mentendogli sulla loro provenienza. Non volle accettare i miei denari, bensì mi disse che la sera avrebbe invitato a casa degli amici a cena, sempre che a me avesse fatto piacere.

      Scesi al negozio di pakistani che stava sotto al palazzo e presi qualche bottiglia di vino, e una di vodka, sapevo che non sarebbero andate sciupate.

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      CAPITOLO QUATTRO – Una poesia spontanea –

      

      

      Eravamo tutti intorno al tavolo. La cena era stata preparata minuziosamente da Fatima, una vicina di

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