Oltre Il Limite Della Legalità. Alessandro Ziliotto

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Oltre Il Limite Della Legalità - Alessandro  Ziliotto

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indifferenti. Nove persone animavano il banchetto e si rifocillavano sontuosamente. Guardavo quelle nuove persone con estremo interesse. Mi trattavano come fossi sempre stato loro amico, come se ci conoscessimo da anni e questo mi faceva stare bene. Per la prima volta nella mia vita mi sentivo a casa, le persone che sedevano accanto a me facevano di tutto per farmi sentire partecipe della loro compagnia e dei loro discorsi. A esser sincero, l’unico interesse che stavo maturando però era per un’amica di Fatima. Il nome con il quale i suoi genitori l’avevano benedetta era Sophia, nome a me sconosciuto ma dal suono incantevole. Come lo erano i suoi occhi neri, egual colore dei capelli, e la carnagione caffelatte. Quello che mi colpì di lei fu non tanto l’aspetto fisico, ma il suo sguardo. Era per me come la mela per Newton e il pericolo sarebbe stato quello di toccare terra. Per tutta la cena, ci scambiammo sorrisi e sguardi complici, sebbene non riuscissi a capire che rapporto avesse con Abdlak, il quale l’aveva stuzzicata diverse molte. In queste occasioni lei lo aveva snobbato, volgendo l’attenzione su di me, e puntualmente lui si agitava, diventando scontroso e irascibile con gli altri ospiti. Non era il mio genere di ragazza, ma la sua carnagione dorata mi faceva risvegliare passioni lontane, il suo sguardo scuro e inteso sembrava assorbire ogni mia emozione senza che questo la tormentasse, anzi, la sentivo leggere dentro la mia anima con estrema facilità. I suoi lunghi capelli neri, dal profumato candore, portavano dentro di me una serenità sconosciuta ma ricercata nel tempo, forse segno di poche notti passate a riposare. Avevo voglia di lei e del significato che rappresentava. Avrei voluto prenderla per mano e portarla fuori, lontano da tutto e da tutti e rimanere seduti a parlare per ore, per poi abbracciarsi così, l’uno stretto all’altra, senza aver più nulla a cui chiedere al mondo, perché mi bastava ciò che avevo tra le braccia e tutto il resto sarebbe stato inutile e superficiale.

      Quella sera non andò proprio così, però sapevo che l’avrei rivista, e questo mi aveva fatto trascorrere un sonno non troppo sereno.

      Assuefatto dai fumi dell’alcool, e un po’ delirante, tiravo le somme della giornata appena passata. Non era stata una giornata normale, era il primo giorno che vivevo con i profitti della vita illegale. Imparavo a capire che i soldi non avevano né nome né padrone. Erano esclusivamente di chi lì possedeva. Ero riuscito a spendere quei soldi con estrema facilità e disinvoltura e cosa ancora più importante senza senso di colpa, e a dirla tutta, erano i soldi meno sudati in vita mia, o forse nei quali avevo utilizzato più testa per guadagnarmeli. Se ripensavo, che per la stessa cifra, quando avevo sedici anni, avevo lavorato un mese intero in fabbrica ad avvitare piccole viti sull’intelaiatura di centinaia di lampadari, mi rodeva il fegato, considerato che in sole due ore, avevo racimolati gli stessi soldi. Certo mi era andata bene, però non potevo non tenere in considerazione questi piccoli particolari. Coccolato nelle coperte, dalla prima volta che mi ero congedato, ero tornato a fare una vita normale, avevo delle persone che non disprezzavano dormire sotto lo stesso mio tetto, e non mi guardavano come un criminale, ma come una normale persona che nella vita poteva commettere degli errori. Non si lamentavano della mia presenza e del mio alito un po’ alcolico, anzi erano loro a sentirsi a disagio con me, solo per il fatto che io ero Italiano e un tempo anche sbirro. Sentivo che la stima che avevano quelle persone nei miei confronti era più alta della mia, e questo mi faceva stare bene. Il resto non m’importava, ero vivo e dovevo vivere. Quello che il destino mi riservava, lo avrei scoperto passo dopo passo da solo, come avevo sempre fatto.

      

      

      La sveglia come ormai mi capitava da diverso tempo, non sapevo neppure da quali lettere fosse composta e che suono avesse. Mi capitava di svegliarmi e di ritornare a dormire per un altro paio d’ore, e nessuno aveva nulla da obbiettare su quello. Dopo la sera appena trascorsa, successivamente che gli ospiti se n’erano andati, mi ero trattenuto con Sophia a svuotare i residui di bottiglia rimasti. Ci facemmo compagnia per un po’ di tempo. Le parole presero colori e direzioni che nessuno dei due il giorno seguente si sarebbe ricordato. L’unica cosa che ricordavo, erano le due pietre di ossidiana che luccicavano quando mi guardava, ne ero assuefatto a tal punto che per sentirla accanto a me quando se n’era andata, avevo cominciato a scrivere una poesia, come se tutto ciò, fosse la cosa più semplice del mondo, e quel gesto avesse la forza e la magia di trattenerla accanto a me un altro istante.

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

      

       Il tuo sguardo è come quello d’una pantera

       Cosa m’hai fatto questa sera?

       Sei affascinante e pericolosa

       Sconosciuta e misteriosa

      

      

       Sei comparsa come d’incanto

       Ed io ho sentito il tuo pianto

       Non mi son accorto quando sei arrivata

       E tanto meno quanto te ne sei andata

      

      

       Lo stomaco gridava di dolore

       Non avevo mai sentito questo ardore

       Il sangue ballava nelle vene

       Ti prego sciogli le tue

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