Oltre Il Limite Della Legalità. Alessandro Ziliotto
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Uscivo dallo spogliatoio con la mente offuscata, e indispettito dal mio stesso comportamento. Aprendo la porta andai a sbattere contro la prima persona che avevo incrociato.
“Scusami.”
“Ehi, ma che cazzo fai? Non ci vedi. Che sei su un altro mondo?! Dai levati, hai intenzione di startene lì impalato come un mulo?”
“Oh, vedi di rilassarti. E dire che mi sono pure scusato, sai che ti dico, ma chi cazzo ti credi di essere? Se sei nano e non ti vedo non è mica colpa mia! Metti i tacchi la prossima volta, levati va che non riesco a uscire.”
Mi feci avanti dandogli una spallata. Il gesto improvviso gli fece perdere l’equilibrio e arretrare di qualche passo, ma questo mi aveva permesso di passare e raggiungere l’uscita della palestra.
Sentii la voce del personal trainer avvicinarsi nella nostra direzione.
“Senna, tutto bene, cos’è successo, qualche problema?”
“Tutto bene, tranquillo.”
Mi sentii il suo sguardo sulla schiena e ciò mi faceva molto piacere. Non avrei potuto far incontro migliore. Non sapevo se il gesto era stato dettato dalla coincidenza o dalla mia sbadataggine, sta di fatto che sebbene in un primo momento, non l’avessi riconosciuto, successivamente, approfittai della situazione per farmi vedere uno che non si faceva mettere i piedi in testa dal primo che passava, e la cosa non poteva essere che positiva.
Ero sceso dall’autobus e avevo cominciato a passeggiare per tornare a casa, sebbene non fosse proprio casa mia, bensì l’unico posto dove potevo andare. A esser sincero non riuscivo a capire perché l’avevo definito casa. E la risposta non potevo trovarla solamente nel fatto che avevo un tetto sotto al quale dormire, certo anche per questo, anche se dentro di me ero consapevole che era dovuto alle persone che animavano quell’ambiente, e nel loro modo di interagire con me. Erano incredibili, e giorno dopo giorno lì riuscivo ad apprezzare sempre di più, sebbene l’idea che avessi per la loro popolazione in linea generale, rimaneva comunque pessima.
L’imbrunire era sceso, sfumando i contorni dei palazzi con i suoi scuri colori.
Un solo pensiero avevo nella mente, ma più mi ronzava dentro e maggior era la volontà con cui cercavo di cacciarlo via, come si trattasse di una zanzara.
I suoi occhi stavano diventando lentamente il buco nero dei miei pensieri, le sue dimensioni erano piccolissime, ma gradualmente crescevano sino a riempirli completamente; la cosa m’affascinava ma mi faceva una paura immane. Anche perché ora come ora non avevo tempo da perdere con una donna. Avevo fissato un obbiettivo nella mia vita e l’avrei dovuto raggiungere in un modo o nell’altro, ma era altrettanto vero che un uomo non era un vero uomo se non aveva una donna al suo fianco che lo rispettava e lo sorreggeva nei momenti di sconforto qualora fossero entrati senza bussare. Non avrei dovuto fasciarmi la testa prima ancor di rompermela, ma vivere la cosa per come sarebbe andata, fatto sta che lei era veramente incantevole, e non potevo non desiderarla con tutto il mio corpo e la mia mente.
“Ehy Archimede, come va? Andata bene la giornata oggi?”
“Si si, tutto bene.”
Quel personaggio così fuori luogo e incredibilmente inaffidabile, era incarnato in una persona alta circa un metro e settanta, dalla corporatura esile e disidratata, e dal sorriso tutt’atro che perfetto. Quando sorrideva dei piccoli fori scuri,marchiavano il suo sorriso. I capelli neri crescevano a ciuffi qui e là, facendosi notare grazie alla loro lunghezza relativamente corta. Dimostrava molto più dei suoi 24 anni, ma non sembrava interessarsi della cosa, anzi, disprezzare la cura della sua persona, ora che lo conoscevo da poche ore, pareva un risultato cercato, e a dire il vero, pienamente trovato. I vestiti che indossava erano sempre stropicciati e solo saltuariamente profumati, anche se non potevo dire che emanasse un odore sgradevole, ma solo un po’ nauseante. In poche parole era l’opposto del fratello, il quale, anche a causa, o per fortuna del lavoro come interprete, doveva mantenere un certo tipo di dignità e pulizia. Ahmed invece vestita con delle semplici magliette da pochi euro, e dei pantaloni definibili quasi jeans, calzando ovviamente dei sandali, cosa che in casa ometteva puntualmente. Le unghie dei piedi, per com’erano tagliate, sembravano strappate via a morsi.
“Ho capito non hai fatto nulla come al tuo solito, e chi lo sente tuo fratello ora che torna a casa?!”
“Quello che spetta a me, spetta pure a te…non è che tu abbia fatto molto più di me, anzi, te ne sei andato in palestra, giusto?”
“Certo che sono andato in palestra, ma a te quello che faccio io non ti deve interessare, e poi ora come ora l’ultima cosa che mi serve è trovare un lavoro, ma questi non sono affari che ti riguardano, e poi sei tu quello che vive sulle spalle del fratello da anni e prima che tu possa aggiungere qualcosa, la mia sistemazione qui è momentanea, ancora pochi giorni e ringrazierò il sangue del tuo sangue dell’ospitalità che mi ha concesso.”
“Sai, pure io detto così, invece eccomi qua, sono mesi che vado avanti come te e credo che tu sarai uguale a me, poi che te ne frega se trovo lavoro o no, tu non mio parente.”
“C’hai ragione, ma sai che potresti fare, mi potresti aiutare.”
“Fare che cosa?”
“A imparare il marocchino, che ne dici, me la dai una mano?”
“Se paghi, ok.”
“Sei proprio un genio, vedi che faccio bene a chiamarti Archimede, ma con cosa diavolo ti pago se non ho i soldi nemmeno per l’alcool, me lo dici? E poi non ti ho mica chiesto un polmone cavolo, qualche parola al giorno.”
“Ok, è scusa per rimanere più tempo qua, ma ok, basta che non mi rompi, e se dico, oggi no, è oggi no, ok?”
“Si padrone.”
Proprio mentre terminavamo la conversazione ecco sentire il tintinnare delle chiavi fuori dalla porta e comparire dietro all’uscio Khan.
“Buona sera a tutti e due, com’è andata oggi?”
“Prima che tu possa dica qualcosa, io fatto nulla.”
“Ahmed di questo non avevo il minimo dubbio, tu invece Enrico com’è andata la giornata, fatto qualcosa di interessante?”
“Sono andato qualche ora in palestra a scaricare un po’ di tensione accumulata in questo periodo con la speranza di ri-integrarmi nella società, anche se credo che dovrò cambiare città per riuscire a costruirmi una nuova vita, dove nessuno abbia pregiudizi su di me.”
“I pregiudizi ce li hai tu nella tua testa, non ti devi far influenzare dal pensiero degli altri, ognuno di noi è quello che decide di essere, cosa dovrei dire io che, non appena arrivato in Italia e ancora oggi, tutte le persone per strada mi guardavano di sottecchi, e quando sanno che sono marocchino esternano i risentimenti che hanno sulla mia popolazione; tu sotto questo punto di vista sei avvantaggiato, ti basterà frequentare posti che non frequentavi e la conoscenza di persone nuove verrà automaticamente, e poi questa città è così grande che non avrai certo alcun problema a ricostruirti una vita. Una cosa ti consiglio, trovati un lavoro e con esso anche le amicizie verranno. Ma oltre allo sbirro