Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi
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Читать онлайн книгу Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - Francesco Domenico Guerrazzi страница 23
Appena posato il capo sul guanciale, domandano alcuni Ufficiali, a grande istanza, favellarmi: introdotti nella mia stanza da letto, conosco il Colonnello Costa Reghini, in compagnia di due Tenenti. Il Colonnello, commosso, mi diceva: «per le passate vicende, e per quelle che prevedeva imminenti, dubitare della sua vita: avere contemplata sul campo di battaglia la morte e non averla temuta, nè temerla adesso; solo stringergli il cuore un'angoscia insopportabile pei figli suoi, che paventava vittime, e soprattutto per la madre loro che giacente inferma non si dava pace, e travagliata da convulsioni lo scongiurava a sottrarre i cari capi alle furie del Popolo; invitarmi pertanto in nome della umanità a dargli un foglio di lascia passare alle porte, che certo lo avrebbero rispettato.» Inoltre aggiungeva: «Io vi propongo di mandare con essi loro uno di questi Ufficiali travestito, con lettere pel Generale Ferrari, ammonendolo, che non inoltri milizie verso Livorno, per ovviare qualunque scontro che sarebbe fatale.» Io rispondeva dichiarandomi pronto a sollevare le sue paterne ansietà, e quelle della povera madre; lodai la proposta delle lettere al Generale Ferrari; ma gli faceva osservare che la mia autorità non era tanta quanta egli immaginava; pendere attaccata ad un capello, e averlo veduto poche ore prima; per paura di un male rimoto e incerto ci guardassimo da incappare in male prossimo e sicuro. Intanto, chi dice a lui che sarà conosciuta la mia firma? Ed ancorchè la conoscano, se ravvisano i suoi figliuoli, se il generoso Ufficiale,[84] se frugandolo gli trovassero la lettera addosso, chi sa che cosa mai fantasticherebbero quei cervelli sospettosi? Se mai venissero a dubitare di tradimento.... guai a tutti noi! In mezzo a così fiera concitazione non bastarmi la mente, su quel subito, a considerare qual fosse il partito migliore; mi lasciassero un'ora tranquillo; più riposato, in breve, avrei pensato a dargli risposta. — Il Colonnello profferiva ritirarsi ad aspettare nelle prossime stanze; ma io, per fortuna, insisteva perchè partisse di casa, non mi parendo essere libero col pensiero se qualcheduno aspettava. Dieci minuti dopo la sua partenza, le porte risuonano di colpi: aperte dal servo, invade le stanze una torma di gente invelenita, e circondatomi il letto, me chiama a morte come traditore, con baionette spianate e sciabole brandite. Balzai a sedere sul letto, e domandai risoluto chi fossero — e che volessero. Nega, gridavano, che sono venuti qui poco anzi Ufficiali di linea; che cosa ci sono venuti a fare? — Voi lo sapete. — No, non lo sappiamo. — Come no? Voi lo dovete sapere, perchè dite che io sono traditore; e se temevate che fossi tale, perchè mi avete mandato a chiamare? Voi siete peggio del vento; ora vi fidate troppo, ed ora diffidate di tutto. Volete sapere che cosa sono venuti a fare cotesti Ufficiali da me? Ve lo dirò, ascoltatemi. — E qui a parte a parte narrava loro il colloquio tenuto col Colonnello Reghini.[85] — Si ritirarono confusi domandando perdono. — Da questo apprenda l'Accusa quanto sia facile il Popolo a sospettare, e come vigili inquieto anche coloro nei quali sembra riporre sconfinata fiducia.
Giunse la Deputazione a Firenze, e tenne due consulte col Ministero. Fino dal principio insorse ostacolo impreveduto, e mi sia lecito aggiungere strano, per la parte del Governo: pareva a lui indecoroso inviare le Autorità in paese sconvolto; a me all'opposto pareva, lasciamo da parte il decoro, dovere del Governo cogliere ogni occasione per impedire che il disordine aumentasse, e una floridissima città si perdesse; nè sapevo comprendere come l'ordine in paese abbandonato a sè medesimo potesse ristabilirsi. Da questo fatto erano da aspettarsi due conseguenze: o la confusione aumentava, e troppo biasimo ne veniva al Governo non avendola, come poteva, impedita con mandarvi Autorità acconcie all'uopo; o si riordinava mercè Collegio o persona extra-legale con provvedimenti di compenso, e si correva rischio che il fatto riuscisse difficile, e forse impossibile a disfarsi. Per quanto i Deputati si affaticassero a chiarire cotesto errore manifesto, non ne vennero a capo; il Ministero proponeva reggesse il Municipio, ma i due Priori municipali osservarono essere il Municipio disperso, non trovarsi in numero da deliberare secondo i regolamenti, nè sentirsi capaci da tanto. Allora il Ministero propose ne assumesse lo incarico la Camera di Commercio! ma i Deputati della Camera dimostrarono non avere attitudine, nè autorità per farlo. Dopo molti dibattiti, nei quali alternativamente fu offerto lo incarico di eleggere una Commissione governativa al Municipio, e alla Camera di Commercio, venne alla perfine stabilito che si cercasse raccogliere il Municipio onde eleggesse una Commissione per governare in assenza delle Autorità; e la sera del 6 settembre 1848 rimasero approvate le seguenti Convenzioni fra il Ministero e i 20 Deputati livornesi:
1º Oblio di tutto a tutti, militari, forestieri e cittadini.
2º Il Municipio elegga la Commissione la quale governi nell'assenza delle ordinarie Autorità, allo scopo di ricondurre la quiete, e riorganizzare la Civica provvisoria, che rimane sciolta per Decreto del Principe.
3º Sta bene, che, rientrato l'ordine, la Costituzione riprenda il suo vigore normale.[86]
Il Ministero inoltre invitava i Deputati a condursi nella notte alla Stazione della strada ferrata, dove avrebbero trovato i Dispacci convenuti, e treno speciale per tornare a Livorno; e così fu. Aperto il Dispaccio, non mi parve corrispondere con le cose stabilite, imperciocchè mi sembra che vi fosse scritto, governerebbe il Municipio autorizzato ad aggiungersi quel numero di cittadini che meglio credesse; ma i Deputati mi osservarono, che non faceva differenza. Il 7 settembre era dato ragguaglio del trattato a cinque e più mila persone, stipate sotto la ringhiera del Palazzo Municipale; la Commissione governativa era acclamata dal Popolo, a patto che la sanzionasse il Municipio, nelle persone del conte Larderel, del popolano Petracchi, e di me; ma in mezzo alle acclamazioni, sorgeva mal represso il grido di vendetta, che chiamava a morte Cipriani e Cappellini, ed io rispondeva: — vendetta essere urlo da lupi, giustizia da uomini. — E instando quella parte cui doleva la pace a gridare vendetta, replicava: — «Le famiglie degli uccisi intenteranno