Abissinia: Giornale di un viaggio. Giuseppe Vigoni
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Siamo sfortunati nei camelli, che sono piuttosto cattivi, ed uno non soffre alcun movimento di chi lo cavalca: le selle poi sono perfide, ma ormai siamo in ballo e bisogna ballare.
Tipo biscerino
Il terreno è sempre sabbioso e sparso qua e là di qualche cespuglio spinoso e di acacie nane, ma in complesso l'aspetto è piuttosto arido, perchè tutto bruciato dalla grande aridità: lentamente andiamo innalzandoci superando delle elevazioni di pochi metri, oso dire dei gradini, per passare una sequela di altipiani, tagliati di quando in quando da torrenti infossati che solo si gonfiano durante le piogge. Nei punti più bassi del loro letto sono generalmente praticati dei pozzi che per infiltrazione danno l'acqua necessaria a rifornire le carovane; e per vero dire non è sempre l'acqua più pura nè la più pulita: spesso è vero fango diluito con gusto anche di materie organiche in putrefazione, ma quel terribile male che è la sete alimentata dai raggi di questo sole cocente, fa superare certe cose che fanno ribrezzo al pensarvi quando si possono invece avere delle buone limonate.
Verso le 10-½ passiamo presso un paio di capanne, abitazioni di qualche soldato che con aspetto e assetto tutt'altro che militare sta a guardia del telegrafo che tiene questa linea per spingersi fino a Kartum.
Le due cose meglio organizzate dove governa l'Egitto sono certamente la posta e il telegrafo, e dove passa quest'ultimo, che serve anche di guida alle carovane, con provvido sapere, Gordon pacha pose, ad ogni quattro ore circa di strada, una capanna di rifugio pei viaggiatori e spesso un soldato di guardia pel filo.
Ancora un'ora di cammino, e ci fermiamo nel letto di un torrente dove qualche macchia nerastra nelle sabbie e un po' di vegetazione fresca ci indicano la presenza dell'acqua, per ristorare noi e lasciar pascolare i camelli.
Ripartiamo alle due, e sempre continuando in terreno piuttosto monotono, colla sola distrazione di stupendi uccelletti dai colori vivissimi, dai riflessi metallici e dalle code assai lunghe, e dell'incontro di qualche carovana diretta a Massaua per portarvi tabacco di Keren, ci fermiamo alle sette e mezzo sopra un'altura, in posizione perfettamente isolata, dove la notte fu solo disturbata dalle voci di qualche jena e da una abbondante rugiada.
Prima che i camelli siano pronti, ci incamminiamo la mattina del 14 cacciando le lepri che in buon numero fuggono davanti ai nostri passi. Avanti a noi sta un'enorme pianura e allo sfondo una catena di montagne che dobbiamo raggiungere per trovar acqua, e che pare si vadano sempre allontanando al nostro avanzare: la stanchezza era alleviata dalla distrazione di trovare frequenti gazzelle, ma il sole ci faceva desiderare il punto fissato pel riposo: verso mezzogiorno incontriamo molti buoi e capre, indizio che siamo poco lontani dalla sospirata fonte: pieghiamo infatti leggermente ad ovest, entriamo in una larga vallata che va a poco a poco restringendosi, la vegetazione si fa più fitta, e verso l'una ci accampiamo presso il letto di un torrente in cui con gran consolazione vediamo scorrere acqua limpida.
Qui vicina troviamo pure fermata un'altra carovana che segue la nostra direzione e che già avevamo incontrata jeri. Dopo un riposo abbastanza lungo per noi, ma necessario pei camelli, ci rimettiamo in strada verso le quattro, in coda dell'altra carovana forte di una trentina di camelli. Seguitiamo sempre camminando nel letto del torrente dove alle volte scorre acqua, e di quando in quando scompare sprofondandosi nella molle sabbia che ne rende tanto faticoso il camminarvi. Le due sponde del torrente sono coperte da folta vegetazione che dev'essere piena di caccia, ma è impossibile il penetrarvi: folta ma non molta grandiosa però, specialmente sulle alture circostanti dove la si vede stanca per lunga sete. Subito dopo l'epoca delle piogge dev'essere di una frescura sorprendente. Siamo circondati da montagne non molto alte, di natura vulcanica, roccia cupa, molti detriti, acacie nane, qualche grossa euforbia, qualche baobab spoglio affatto di foglie, col tronco enorme e rami tozzi, qualche arbusto dalle foglie grigiastre e carico di grosse pallottole verdi contenenti i semi, e presso l'acqua canneti, papiri ed altra vegetazione che ama l'umidità. Di quando in quando la vallata si restringe fino a lasciare solo uno stretto passaggio fra rocce quasi verticali e poco discoste, per poi ritrovarci in bacini ancora assai vasti. La notte arriva e il procedere lento e cadenzato della carovana assume un aspetto veramente imponente, cui la cantilena dei camellieri che intonano le loro preghiere dà un carattere assolutamente maestoso e misterioso.
Si fa perfetto buio, troviamo passaggi piuttosto difficili, dove i camelli a stento trovano ove posare i loro piedi fatti per calcare le sabbie del deserto: nell'ombra della notte si capisce che bella dev'essere la natura che ne circonda, e come viaggiatori ne duole perderne la vista, ma i nostri camellieri, timorosi forse di fermarsi soli, sono sordi alle nostre domande e ai nostri ordini, e colla scusa della mancanza d'acqua ci fanno camminare fin dopo le otto, fin quando cioè si fermò l'altra carovana. Accampati in un allargamento del letto del torrente vi lasciarono liberi i camelli di andarsene a pascolare, si accesero parecchi grandi fuochi, si fece una meschina cena, e ci sdrajammo in cerca del meritato riposo.
Continuiamo la mattina dopo, alternandosi passaggi stretti ed allargamenti del fondo della vallata per la quale si va risalendo: mentre attraversiamo appunto una di queste gole di pochi metri di larghezza, le cui pareti si elevano a scaglioni basaltici, e la nostra carovana preceduta dall'altra cammina silenziosa e quasi triste, un assalto di acute grida ci scuote dal letargo in cui eravamo quasi caduti, e chiama la nostra attenzione a pochi passi davanti a noi, dove centinaia di scimmie se ne stavano bevendo attorno ad un pozzo e furono disturbate dal nostro apparire. Fu un fuggi fuggi generale, le più grandi stringendo al seno o caricando sulle spalle le piccine, tutte saltando e arrampicandosi sulle rocce laterali, poi disponendosi sull'estremo ciglio quasi a darsi spettacolo del nostro passaggio: fra noi e loro non saprei davvero chi fu il più divertito.
Dopo qualche ora usciamo in un vasto altipiano, e ci andiamo a fermare verso il mezzogiorno all'ombra di un grosso albero, poco lontano dal quale i nostri fucili ci procurarono qualche faraona pel pranzo. Circa tre ore di sosta, poi nuovamente in cammino: incontriamo una carovana che porta dei prigionieri a Massaua: sono quattro che alternativamente camminano a piedi o salgono due camelli: quelli che stanno a camello sono incatenati alle mani ed ai piedi, quelli che camminano ci destano un vero senso d'orrore: un grosso ramo d'albero lungo circa due metri e terminato a forcella racchiude con questa il collo del condannato e ve lo stringe dietro con intreccio di corde: all'altra estremità è legato alla sella del camello. Nei viaggi in Africa che ho letti, ho visto questo genere di supplizio usato come mezzo di trasporto o meglio di punizione per gli schiavi, e m'aveva inorridito: non mi sarei mai aspettato di vederlo ufficialmente usato da una potenza che la pretende a civiltà, quale l'Egitto. Sapere poi come questi disgraziati sono trattati, per quanto colpevoli, è meglio non ripeterlo, per rispetto a qualsiasi principio di umanità.
Le montagne si vanno facendo più alte, i baobab e le euforbie più numerosi, grossissimi i primi, alte le seconde. Verso le cinque, poco lontano da una stazione di soldati, vediamo nel fondo della valle un recinto con tracce di coltivazione e qualche capanna: è l'abitazione di due francesi che vi stanno tentando una speculazione, di cavare cioè del filo dalle foglie di cespugli comunissimi in questa località che porta il nome di Kalamet. Noi oltrepassiamo, ed alternata ancora la roccia colla sabbia, ci fermiamo a notte fatta nel letto del torrente asciutto. Ci vien detto essere le vicinanze molto abitate da leoni, e quindi utile prendere le necessarie precauzioni: invece di lasciar liberi a pascolare i camelli, si dispongono in un circolo attorno al quale si accendono sei grossi fuochi, che qualcuno dei camellieri veglia a tener nutriti tutta la notte.
Questo