Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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del «Tipperary»: il concierge non deve essere monarchico. Me ne accorgo dal modo con cui mi guarda.

      — Mi farete cambiar camera, voi! La camera che mi avete data è troppo calda. Desidero il numero 7.

      — Allora, le farò dare il numero 9, signore.

      Non è monarchico, ma è tutt’altro che stupido: vada per il numero 9; penserà Mohamed a fare il trasporto dei miei effetti. Adesso, è più che mai necessario ch’io parli a Nikola. Esco, a questo scopo, e salgo in vettura: – Ramleh, – grido al cocchiere. Costui si volta, mi guarda, si tocca la testa e la fronte, inchinandosi di traverso. La carrozza non si muove: – Ramleh, per Allah!

      — Insh’ Allah!2 – mi risponde. Ma sembra che Allah non lo voglia, perchè la rozza bianca non dà segno alcuno di movimento. Mi sollevo in piedi sulla vettura e vedo un arabo lercio e strabico, con un incensiere in mano, che sta facendo strani segni davanti alla testa del cavallo.

      — Ohè! buonomo! E che cosa fa quella scimmia?

      — Za’ar... molto za’ar per arabya di povero Alì.

      Alì è lui, l’arabya è la carrozza, za’ar è l’esorcismo. Ho capito tutto questo, dopo cinque minuti di consultazione del piccolo vocabolario tascabile. E allora, aspettiamo che lo za’ar sia terminato! Ne vedrò di ben altre, in Egitto, non siamo che al principio. E del resto, ne ho vedute di peggiori, in giro per il mondo; se non altro, questa volta, ho nel portafoglio alquanti biglietti d’un grato colore e di solida filigrana e posso averne degli altri, quando voglio. Non per nulla sono «agente segreto» di una grande Potenza, di una di quelle grandi Potenze, che hanno diritto di vita e di morte qui e altrove.

      Il cavallo bianco finalmente comincia a trotterellare, sotto un sole di fuoco, tra le auto e i tranvai, i carri e gli omnibus. La strada di Ramleh è interminabile. Nikola abita in una via traversa. Eccola. Realmente, non ha un bell’aspetto; ma la casa ne ha uno peggiore. Varcherò io, dunque, la soglia di questo portone stretto e buio, sudicio e infetto come la gallabya di un fellah? Certo che lo farò. Nikola Cripopoulo merita ogni sacrificio.

      Salgo due capi di scale; sul pianerottolo vedo una porta e sulla porta una lucida targa d’ottone.

      TAROTS EGYPTIENS – HOROS – SEGRET INDIEN

      INFAILLIBLE

      NIKOLA CRIPOPOULO

      CARTOMANCIE – CLAIRVOYANCE – CLAIRAUDIENCE – CHIROMANCIEN

      Sotto, un cartoncino con una mano dipinta in nero, che indica a destra il campanello. L’indicazione è piena di previdenza, ma io non suonerò: Nikola mi ha avvertito di bussare tre colpi con la nocca. Toc, toc, toc. Spaziati, sonori, significativi. Silenzio di tomba. Toc, toc, toc. Medesimo risultato. Suono il campanello.

      — Saìda (Buon giorno).

      Ma perchè mai mi ha detto di bussare tre colpi?

      — Saìda. Que c’est que m’sieur Cripopoulo est la?

      — Mais!... oui... mais....

      — Mais? Ein?!

      La donnaccola tace e mi guarda. È una sudanese lucida come la tuba del mio Primo Ministro. Gli occhi gialli, iniettati di sangue, le brillano di fosforo e ha una voce graziosamente lacerante da pappagallo innamorato. Sopra le sue spalle, dietro il rosso della mellaia, scorgo lo sfondo di una tappezzeria a fiorami turchini.

      — Mais donc!

      Apre la bocca a un sorriso di squalo, scoprendo la dentatura bianca affilata e tagliente. Che cosa vuol dire tutto questo? Sono io forse un cliente comune o addirittura sospetto? E il nostro patto, Nikola?

      — Voi mi farete il piacere di dire al vostro padrone che c’è....

      — Eccomi, monsieur Domiziani. Sono qui! Nur!... ‘abeden!...3

      Nur si ritrae, infatti, e scompare, lasciandomi vedere il sorridente Nikola, che si inchina:

      — Entrate, mister Domiziani, entrate, dunque.

      Si è ricordato che sono inglese – o quasi – l’ottimo Nikola: era tempo! Ma come s’è vestito, Nikola? In celeste, con un succinto pigiama di seta, e ha le scarpette di vernice nera e una lunga collana di giade, che fa scorrere, grano per grano, sotto le dita della mano sinistra. Saltellando, agitando la destra con un movimento ritmico, le giade penzolano sino a toccar terra, mi precede:

      — Scusatemi! Sono molto occupato, sapete? Ho un cliente. Passate per di qua. Vi farò entrare nel salotto di madama Cripopoulo.

      Il salotto di madama Cripopoulo! Me lo ricorderò, il salotto di madama. Mi ci ha chiuso, dicendomi: – Permettete che termini la consultazione? – ed è scomparso. Oramai lo attendo da circa un’ora. È troppo! È realmente troppo. Ho provato ad aprire la porta per uscire: è chiusa. Qui dentro si soffoca dal caldo e per di più c’è un odore oleoso di legno di sandalo bruciato. Ho osservato la stanza. È barocca e ridicola, pretenziosa e funebre. Stile rococò da far piangere meglio di una cipolla appena tagliata. Un divano rosso sangue di bue e quattro poltrone con certi fiori aguzzi intagliati sugli schienali, nelle quali non mi siederò per stanco che sia. Un tavolo rotondo intarsiato di madreperla. E sette candelieri di ottone lucido, messi in fila sopra una consolle tuttora immoderatamente panciuta, quasi non le bastasse di avere già messo al mondo quel vezzoso comodino, obeso come lei, che le sta accanto.

      Ma quei sette candelieri attirano la mia attenzione da qualche minuto. Essi recano sette candele, bianche quanto l’innocenza medesima, vale a dire colore del volto di un itterico. Nuove, le sette candele, attendono con trepida compunzione che una fiamma venga a lambire i sette stoppini protesi verso un bene naturalmente promesso. Sono le uniche che vivano in questo bazar polveroso. Esse e io. La compagnia non mi rallegra. Do manifesti segni di cattivo umore: certo il cliente di Nikola deve credere che ci sia nella casa un cane alla catena. Vieppiù i miei rumori aumentano, col protrarsi sconveniente e ingiustificabile dell’attesa. Grido, picchio alla porta, ho persino fatto correre le poltrone sul pavimento, sperando che il timore di vedere i suoi mobili resi inservibili – ma servono essi a qualche cosa, che non sia la decorazione di questo scannatoio? – facesse accorrere qualcuno. Invece, nulla. Perchè mai Nikola ha chiuso la porta dietro le mie spalle? Per quanto gelosi gli siano i suoi misteri chiromantici, non avrebbe dovuto temere di un amico, che gli ha dato tangibili segni di benevolenza. Comincio ad essere preoccupato. Se Nikola non fosse quel Nikola che il mio indiscutibile fiuto di «agente segreto» mi ha fatto scoprire? Se fossi stato tratto in un tranello, preparato con diabolica abilità dai miei nemici? Quali, al postutto? Quali? È evidente! Come potrebbe un «agente segreto» di una grande Potenza europea non avere una folta schiera di avversari, di concorrenti, di nemici insomma, appiattati nell’ombra? Ma mi conoscono, essi? A chi ho io parlato della mia missione, del mio viaggio? Mi sono persino imbarcato a Napoli, sotto un nome straniero. Vero è che i miei capelli rossi, possono avermi fatto riconoscere. La Ceka ha tentacoli dovunque! Con quella invenzione delle cellule, si propaga peggio di una malattia infettiva. E l’Inghilterra ha tanti nemici, la vecchia formidabile Gran Bretagna! La vogliono distrutta! Ah! ma ci sono qua io. Occorre agire, occorre. Per cominciare c’è troppo buio qua dentro: la pancia della consolle non ha un aspetto del tutto pacifico e il rosso sangue di bue del divano e delle poltrone è diventato violaceo, nerastro, sangue appunto raggrumato. Luce, luce! Con l’accendisigaro automatico do fuoco agli stoppini di tutte e sette le candele. Ah! Le guardo: sono buffe con quel loro colore itterico e le sette fiamme vacillano in modo veramente

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