Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis
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— Sta bene, mister Domiziani. Io predirò la Morte a questi russi e farò loro il grande e il piccolo giuoco. Vi terrò informato. Verrò io stesso da voi in albergo oppure vi telefonerò. Però, fate bene attenzione a questo particolare. Quando, uscendo dal Claridge, vedrete fermo sul marciapiede di fronte un venditore di arance di Giaffa, osservatelo. Se lui solleva la gamba destra, rientrate in albergo: qualche pericolo vi minaccia. Se alza la gamba sinistra, uscite pure, ma rientrate chez vous il più presto possibile: io sto per recarmi da voi.
— Un venditore?
— Di arance.
— Di Giaffa?
— Di Giaffa.
— Sta bene, Nikola.
— Che Allah vi protegga, mister, Domiziani, e vi salvi dagli effetti debilitanti del khamsìn, che, come non ignorate, è il vento caldo del deserto.
Nikola si leva, mette in testa il suo cappello col nastro rosso listato di blu, e si allontana lentamente, per scomparire tra la folla, che col vespro ha invaso la via Alessandro Zamar.
Io accendo la pipa e chiamo il greco.
— Quanto vi debbo?
— Due piastre e mezza.
Gli do cinque piastre.
— Tenete tutto e rispondetemi. Se mi risponderete, avrete altre cinque piastre.
Il greco ammicca, mentre il suo volto verdastro si illumina di soave gioia. Lo fisso dirittamente, facendogli sentire la trafittura del mio sguardo. (I miei colleghi del Secrety Service hanno sempre fatto grande assegnamento sulla trafittura di uno sguardo diritto).
— Ditemi e non mentite. Come si chiama quel signore... quell’uomo che si è allontanato adesso?
— Parakalò?
— Non meravigliatevi. Voglio sapere il vero autentico nome di quell’individuo che era con me.
— Il nome?
— Sì, il nome mussulmano, il suo vero nome. Sapete? Di quel signore che si è ingozzato con la gelatina di lukùm...
— Ah! mussulmano...
— Ebbene?
— Ecco, signore, quel mussulmano appunto... quell’ottimo egiziano servitore di Allah... Io sono un greco delle isole, corfiota, signore. Io sono un greco scismatico...
— Ah! ah!... Ditemi il nome di colui!
— Ma certo, signore! – e tende la mano, nella quale io metto un’altra moneta da cinque piastre.
— Quel mussulmano si chiama Nikola Cripopoulo. À votre service, monsieur.
Quale forza umana mi ha trattenuto dallo strangolare questo greco scismatico? Nessuna forza; ma il pensiero dell’appuntamento datomi per mezzanotte dalla signora Franzyska, leggiadra donna dagli occhi verdi e dalle gambe diritte. E inoltre, perchè non dirlo?, l’avventura mi diverte e fin quando potrò eviterò di spargere sangue.
R
4. Una memorabile notte d’amore
Indubbiamente gli uomini sono cattivi con le povere bestiole innocenti e non soltanto sgozzano i polli; impallinano gli augelletti e le lepri, scannano i cinghiali e gli stambecchi, e persino i domestici porci e i mansueti vitelli privi ancòra di corna; ma fanno morire per brutale malvagità le mosche, prese alla carta vischiosa che sa di ingannevole miele, e propinano ai topi pizze degne di Tomaso Griffiths Wainewright5 ed inceneriscono le formiche nei loro buchi e lanciano esalazioni mefitiche ed avvelenate, per uccidere le libere bestiole comunque ronzanti e frinenti.
Io non difendo gli uomini dalla accusa di crudeli. Lo spettacolo della loro crudeltà è quotidiano. Nè sostengo che il regno della forza è quello della giustizia, dacchè non ho elementi sufficienti per dare un volto alla giustizia, che non conosco se non sotto la specie di due o più policeman, tanto che ho sempre evitato di avere a che fare con lei. Ma pur riconoscendo la cattiveria degli uomini, non posso questa notte non imprecare alla cattiveria delle zanzare. Ammetto che anche le zanzare abbiano ragioni personali da far valere nell’affermazione del diritto alla vita; ma non so giustificare la loro assurda pretesa che debba essere io a nutrirle col mio sangue, nè più e nè meno della eroica madre di figliuoli anemici o emottoici.
Non io, è certo, ho creato le zanzare e non io dunque, ho l’obbligo di provvedere al loro sostentamento. Eppure, mentre attendo Franzyska, nella mia camera numero 9, le zanzare – piccole e grandi, leggiadruzze e rapidissime, con le trombe spavaldamente rivolte alla luce delle lampadine abbaglianti e i sottili corpicini nudi come danzatrici – empiono la stanza di clamore e fanno fiorire il mio corpo di piccole bollicine pallide.
Spengo la luce. Le zanzare cantano la loro disperata canzone nel diffuso chiarore lunare che entra dalle due finestre spalancate. Disteso nella poltrona, io attendo. Tra poco suonerà la mezzanotte. Tra poco Franzyska verrà. Che cos’è questa strana agitazione indefinita, che mi rende impaziente, come un collegiale al suo primo appuntamento amoroso? Impaziente nei sensi, perplesso nel rendermi conto della situazione. Franzyska ha gli occhi verdi, ma questo non è sufficiente perchè la mia speranza d’amore assuma forme così poco consuete in chi s’è trovato mille volte nella sua vita errabonda a stringere fra le braccia donne con pupille di ogni colore. Non è certo questa la causa della trepidazione che constato in me.
Ma è soltanto trepidazione sensuale la mia? O non più tosto la stranezza degli avvenimenti – certo preordinati da una volontà superiore o comunque più forte della mia – influisce sui miei sensi, esasperandoli in un desiderio carnale, che è poi un desiderio di conoscenza, come tutti gli istinti carnali sono, e che non può scambiarsi con un sentimento di riconoscenza, neppure quando il desiderio sia stato appagato?
Sdraiato nella poltrona, bagnato dal chiarore lunare, oltrechè dal sudore e dal vapore acqueo di cui l’aria marina di Alessandria è satura, guardo in faccia il mistero di questa notte, con fermezza con chiaroveggenza. Nikola è un pazzo lucido, ed è inoltre un briccone astuto e pericoloso. Ma Franzyska? Una complice? Una vittima? Una succube? Un’ignara? Un’incosciente?
Semplicemente una donna, mi dico. Con gli occhi verdi e le gambe ben fatte, e quindi tanto più donna.
O forse, non è soltanto questo. È anche una spia. Ricordo di avere, nella mia vita errabonda, conosciuta un’altra spia, che era donna.. Questo avvenne a Batum, due anni orsono. Allora io facevo il cambusiere su di un cargo genovese, che portava petrolio, fuggiaschi russi, ladri di ogni nazionalità e altra simile merce, da Costantinopoli a Batum e viceversa. Sceso a terra, per sgranchire le gambe e anche per prendere un treno che mi portasse verso l’interno, giacchè ne avevo abbastanza del cargo e della sua merce, mi fermai alla notte in un albergo. Che cos’è un albergo di Batum? È un luogo dove non vi consiglio di sostare, se proprio le circostanze non vi ci obbligano. Comunque, io vi incontrai Ileana. Graziosa, rotondetta, spudorata. Si giacque meco per una modesta mercede, che le avevo offerto con dignità, per quanto con la segreta speranza che ella la rifiutasse come troppo misera. Non la rifiutò, invece, e nel sonno – caduta in uno stato blando di sonnambulismo loquace – mi rivelò come si trovasse a Batum dietro le tracce di un ufficiale bulgaro, che era fuggito con qualche