Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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ora questo fatto, perchè quella rivelazione ebbe per effetto di svegliare il mio interesse erotico per Ileana, fino al punto di indurmi a offrirle di partire con me. Accettò, infatti, e soltanto al terzo giorno, non ricordo più in quale città della Russia carpatica, si decise a lasciarmi, essendosi finalmente convinta, ella mi disse, che io non ero affatto l’ufficiale da lei inseguito.

      — Ma se non conosco una parola di bulgaro, disgraziata!

      — Appunto per questo, avevo creduto! Un ufficiale bulgaro che fugge parlerà tutte le lingue, tranne il bulgaro, se proprio conosce il suo mestiere.

      Ileana, infatti, come dubitarne? conosceva il suo mestiere di spia, e la sua partenza ruppe un legame, che in me si andava facendo sempre più saldo. Mi chiedo ancora se avverrà qualcosa di simile con Franzyska, e soffro acutamente alla prospettiva di una tale eventualità, che potrebbe indurmi a dimenticare i miei più sacri doveri di «agente segreto».

      Le zanzare gridano. La sveglia fosforica, che sempre mi accompagna, segna sul comodino la mezzanotte. Sento pel corridoio lo scorrere ovattato di un passo e alla mia porta un leggero sfregamento che potrebbe essere di un gatto, se non fosse quello delle rosee unghie di Franzyska. Balzo in piedi e accendo la luce. Se non puro come un Galahad, io mi sento appassionato come Lancillotto. Qui è il male! E do la colpa al clima egiziano, che rende più acuta la tragedia del mio temperamento equatoriale.

      Attendo, in mezzo alla camera. La porta si apre, Franzyska appare. È in pigiama di seta bianca, bordato d’oro. Ha una fiamma di capelli cupi sulla fronte e una zazzeretta scintillante attorno alla testa. Richiude la porta dietro di sè, avendo cura di far scorrere il piccolo catenaccio nichelato. Mi sorride. Una zanzara la morde, ed ella lancia un piccolo «auff!» e batte l’aria con le mani. Vede il letto circondato dalla zanzariera e vi si precipita dentro. In ginocchio, adesso, in mezzo al letto, come una statuetta di Copenaghen coperta da un velo, mi parla.

      — Puntuale?

      Sorrido (sento di sorridere fanciullescamente, mostrando i denti bianchi, così come tante volte ho notato che sorridono gli inglesi, quando sono turbati).

      — Oh!... Sì. Grazie.

      — Non avevo ragione di dirvi che ci sono appuntamenti e... appuntamenti?

      — Certo!... Uff!... Ciacc....

      — Che dite?

      — Ho cercato di uccidere una zanzara... e mi sono dato una guanciata....

      — Non mi sembra un buon metodo. Più tosto...

      — Più tosto?

      — Venite anche voi qui... sotto la zanzariera. C’è posto per due.

      Evidentemente, c’è posto per due; ma lei, quando io sono entrato, s’è accovacciata graziosamente sui cuscini e ha lasciato a me tutto il letto. Che farne di tanto spazio? Mi seggo con le gambe incrociate al modo turco, che è poi un modo largamente diffuso anche in Occidente. Franzyska mi guarda: ebbene, ella ha un certo suo sguardo, carico d’ironia e di compatimento e di affetto, che mi turba. Reagisco, cercando di apparirle freddo, deciso, brutale.

      — Possiamo parlarci ora, signora?

      — Ma certo che lo possiamo, mister Domiziani. A proposito, ditemi, vi prego, il vostro petit nom, se volete che questo colloquio assuma un tono confidenziale...

      — John... Voglio dire: Ippolito.

      — John va meglio. Ebbene, John?

      — Ebbene, Franzyska, che commedia è questa?

      — Una antichissima commedia, John, rappresentata ormai milioni e milioni di volte. La commedia è vecchia: soltanto gli attori si rinnovano, sicchè non dipende che da essi renderla più o meno piacevole.

      — Volete dire che stiamo recitando la commedia dell’amore?

      — Il luogo a ogni modo sarebbe adatto.

      — Quale amore?

      — Oh! non pretenderete mica ch’io vi dica di amarvi, John! E neppure crederete che io esclami: «Ah! che cosa mi farete fare!». Oppure che mi dibatta fra le vostre braccia, mentre faccio in modo che la mia veste si slacci...

      — Bene. Le circostanze non consentirebbero un tale contegno. Ma questa non è soltanto la commedia dell’amore, Franzyska. Voi ne recitate un’altra ben più interessante o ad ogni modo di genere diverso.

      — E quale, se vi piace?

      — Andiamo per ordine. Voi siete la moglie di Nikola Cripopoulo?

      — Mi sono lasciata sposare da lui, tre mesi fa, a Marsiglia.

      — Perchè lo avete fatto?

      — Per amore.

      — Non scherzate, Franzyska!

      — Bon! Allora diremo per interesse.

      — Via!

      — Oh! beh! Sentite: una ragione per sposarlo ha da averla avuta, no? Escludete l’amore, escludete l’interesse, che cosa rimane?

      — La necessità di dare un’apparenza legale a una complicità di cui ancora mi sfuggono le forme e gli scopi, ma che indovino losca e pericolosa.

      — Oh! là là! Come correte! A ogni modo sarebbe un interesse anche questo! Diciamo, allora, complicità. In che cosa potrebbe turbarvi, essa?

      — In tutto. Ma andiamo avanti: voi siete la moglie di Nikola da tre mesi, lo avete sposato a Marsiglia, ebbene, voi venite ad Alessandria con un piroscafo delle Messageries e vi giungete alcuni giorni prima che vi arrivi Nikola, il quale viaggia con me su di un piroscafo della Sitmar . Come spiegate questo?

      — Non lo spiego. Anzi non desidero spiegarvelo. Come potrebbe interessarvi?

      — Mi interessa moltissimo. Ma non è tutto. Voi siete la moglie di Nikola, ebbene voi abitate al Claridge e lui a casa sua, dove ha un’altra moglie araba e dove voi lo andate a visitare due volte il giorno, mentre la notte... ecco, la notte vi recate nella camera del primo uomo che vi trovi bella e che ve lo dica.

      — Mi rimproverate per questo, ingrato!

      — Non vi rimprovero, constato. E aggiungo: soltanto un caso ha fatto sì che io venissi a sapere che siete la moglie di Nikola Cripopoulo; se non lo avessi saputo, quale storia mi avreste narrata questa notte lo sa il cielo!

      — No, non lo sa. –

      — Chi?

      — Il cielo; perchè non lo so neppur io. Infatti, vi avrei narrato una storia. Non lo nego. Ma poichè non ho più nè la voglia, nè una ragione per raccontarvela, che cosa ve ne importa?

      Franzyska mi si avvicina. Sento un braccio scorrermi dietro il collo e una fresca mano setificata posarmisi dolcemente sulla bocca:

      — Basta, John! Basta con questo interrogatorio inutile! Non vi sembra di sciupare un tempo prezioso?! Non credete che io valga meglio e di più

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