Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis
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— Franzyska, non badate a tutte le sciocchezze che vi ho detto! Rispondete soltanto a questo, soltanto a questo, Franzyska: perchè subito mi avete dato un appuntamento, proprio a me, e prima ancora che io ve lo chiedessi?
— Perchè non c’eravate che voi. Perchè, pur non amandovi, mi piacete. Perchè... cerco l’amore, John, non un amore, l’amore, semplicemente, come lo cercate voi uomini, come lo cercano tutte le bestie, umane e no, sotto questo sole d’inferno, nella calura di queste notti che stremano e incendiano. Non conoscete l’Egitto, John! Io lo conosco ormai da tre notti! Queste terre, alla notte, sono tutto un palpito, tutto un ansioso affocato spasmodico palpito d’amore!
Ebbene, ancora ha ragione lei. E io smarrisco tra le sue braccia ogni possibilità di ragionare, di conoscere, di temere.
Chi ha fatto girare la maniglia della porta?
Ho sentito distintamente lo scatto della molla. Non dormivo, ero affranto, spossato, dolcemente inebriato di languore, ma non dormivo. Ho sentito lo scatto: uno scatto metallico, secco, che ha gridato ahi! sul lieve respirare ritmico di Franzyska e sul mio, più forte del ronzio uniforme delle zanzare, altissimo nel silenzio di questa notte immota.
Mi sollevo sul gomito e guardo fissamente alla porta. La luce è ancora accesa. Maledetta zanzariera! La sollevo, mi sporgo dal letto; inchiodo il mio sguardo contro il pomo nichelato della maniglia, sul piccolo catenaccio che Franzyska ha fatto scorrere, un catenaccio da burla, che una spallata basterebbe a far saltare.
Ecco, è passato un minuto, forse due, e veggo, veggo chiaramente il pomo girare e sento la porta gemere lentamente sotto una pressione debole sì, ma continua, la pressione di una spalla o di un ginocchio appoggiati contro di essa.
Apro la zanzariera, balzo dal letto, afferro la rivoltella e guardo la porta con gli occhi sbarrati, i muscoli contratti, il corpo pronto allo slancio. Rattengo il respiro, nell’attesa. Uno strano formicolio mi stringe i fianchi, mi opprime il petto, mi sale per il collo alle guance. Provate a sentire nella notte lo scatto metallico di una maniglia e a vedere una porta che si muove, che vuole aprirsi, che si aprirà, mostrandovi qualcosa o qualcuno che ignorate ancora, che non sapete immaginare, che è il pericolo ignoto o soltanto l’ignoto, e capirete la sensazione spasmodica che provo io in questo momento di attesa, lungo come un’eternità.
Il gemito lento smorzato della porta si prolunga sotto la pressione che intuisco, che vedo.
— Che c’è? Che avete? Perchè fate questo, John?
Franzyska s’è destata e mi fissa con i suoi grandi occhi verdi.
— Tacete! C’è qualcuno che vuole entrare e che preme contro la porta.
Franzyska guarda, trasale, salta accanto a me, con gli occhi sbarrati, le labbra esangui, il corpo agitato da un tremito convulso.
— No! No!... Chi è? Chi è, là dietro?
La voce le esce strozzata dalla gola; ella ha paura, ella ha più paura di me.
— Tacete, dunque! – e la serro contro di me, e le comprimo la bocca con la mano libera dalla rivoltella. – Tacete, o lo farete fuggire!
Ecco: la pressione è cessata, la porta non geme più, la maniglia come liberata dalla stretta che la teneva scatta di nuovo seccamente.
— Maledizione!
Getto il corpo di Franzyska contro il letto, mi lancio alla porta, levo il catenaccio, spalanco il battente e corro nel corridoio. Nessuno. Il largo corridoio illuminato è vuoto, silenzioso, ovattato di immobilità dal greve tappeto rosso alle lampade opache attorno a cui ronzano le mosche. Lo percorro fino allo scalone, mi getto nell’altro braccio di esso, ritorno dinanzi alla porta della mia camera. Nessuno. Rattengo il respiro per udire un passo, un rumore, un indizio di vita. Nulla. Eppure, certo, qualcuno ha tentato di entrare nella mia camera! E non può essere fuggito così rapidamente, che io non lo abbia veduto o per lo meno non lo abbia sentito scendere o salire le scale, nella sua fuga.
— Rientrate, rientrate, dunque! Abbiamo sognato.
Ma non abbiamo sognato. Vedo in terra brillare qualcosa, proprio davanti alla mia porta, sul tappeto rosso. Mi chino e raccolgo un bottone d’argento, un bottone da camicia da uomo di filigrana d’argento, con una pietra gialla nel mezzo. Adesso, sono di nuovo completamente padrone di me. Questo bottone ha dato un segno al pericolo, un volto all’ignoto, una cifra al mistero.
— Perdonatemi, Franzyska! Certo è stato un sogno. Coricatevi. Chiudo nuovamente la porta e mi corico con voi.
Franzyska ha passato il braccio attorno al mio collo e mi accarezza dolcemente
— Povero caro! Ma perchè vi siete messo in questo stato di ansia? Che cosa avete? Di chi o di che cosa temete?
— Ma di nulla, Franzyska! È stato un sogno. Un’allucinazione, del resto, che avete avuta anche voi!
— Dormite ora, John. Dormite, piccolo caro!
E leva la mano contro la luce, per farne schermo ai miei occhi. Guardo la mano affusolata, bianchissima, il polso sottile, che una vena azzurra traversa... e vedo che la manica del suo pigiama è chiusa da un bottone di filigrana d’argento con una pietra gialla nel mezzo. Le afferro l’altro braccio, guardo al polso: i bottoni ci sono tutti e due.
— Che bei bottoni avete, Franzyska.
— Questi? Sono strani, ma non belli. Li ho comperati al Cairo e li conservo per ricordo. Tutti gli indigeni che vestono all’europea li portano. E giacchè vi è passato il sonno, John, parliamo pure, se volete....
R
5. Il tranello di... Charles Caisgraim
L’automobile, lasciati i sobborghi di Ramleh, corre sulla via di Abou Kir.
Le dune cominciano a mareggiare, come onde contro gli scogli, biancheggiando e sfuggendo, per riunirsi più lontano. S’infiltrano fra gruppi di case, frastagliano i campi verdi, si delineano contro il mare e contro il cielo, così azzurri tutti e due, che anche guardando verso l’interno non si sa se sia mare la linea dell’orizzonte. Qualche minareto trafora l’azzurro e brilla per il sole in un alone di scintille.
Ho lasciato Alessandria dietro me, arroventata dal sole meridiano, con tante anime quante sono le sue lingue. Il vento di mare, contro cui sono lanciato in corsa, placa l’arsura del mio corpo in traspirazione. Solo nell’auto, con lo chauffeur arabo dinanzi a me, che guida fidando nella protezione di Allah, ripenso agli avvenimenti della notte. Franzyska alle cinque è tornata nella sua camera. E io non ho potuto strapparle una sola parola che servisse a illuminarmi la stranezza della sua situazione di fronte a Nikola, il vero essere di costui e il suo piano. Dacchè sono fermamente convinto che Nikola sta tramando qualche cosa. Non so se in buona fede o meno, Franzyska ha mostrato di ritenere che quella nostra di questa notte sia stata una allucinazione. A parte che io non ho mai sofferto di allucinazioni e che la porta gemeva e si muoveva realmente, rimane questo bottone di filigrana d’argento,