Geschichte und Region/Storia e regione 29/2 (2020). Группа авторов
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Un ultimo caso ci porta a Pavia agli inizi del secolo X e riguarda un conflitto sorto attorno ad alcuni beni monastici tenuti in beneficio. Nell’aprile 915 si svolse un placito presieduto dal messo imperiale Odelrico nel viridarium del palazzo regio, accanto alla laubia dove re Berengario I teneva il placito generale.62 Si trattava dell’ultimo atto di una controversia che si protraeva da anni tra Teodelassio, abate di S. Colombano di Bobbio, e il marchese Radaldo63, scaturita dall’intrusione che quest’ultimo aveva effettuato con i suoi uomini nella curtis monastica denominata Barbada.64 L’abate, infatti, sosteneva che le case e le famiglie della corte erano tenute contra legem da Radaldo poiché spettavano al monastero. Spiegò dunque ai giudici come Radaldo e il suo avvocato Gotefredo avessero risposto alle lamentele sostenendo che quanto affermato corrispondeva a verità ma i beni contestati non erano detenuti in violazione della legge, dal momento che per lungo tempo la curtis era stata assegnata in beneficio.65 Radaldo si era dunque accordato con l’abate per presentarsi in sede di placito e porre fine alla contesa, attraverso un atto ufficiale, esponendo la documentazione relativa. Il marchese e il suo avvocato tuttavia, nonostante una lunga ricerca, non riuscirono a trovare alcuna prova documentaria o testimone che potesse dimostrare il diritto a mantenere quei possessi, gestiti fino a quel momento a titolo beneficiario ex regia potestate66, e furono dunque costretti a restituirli al monastero di S. Colombano. È evidente che la diatriba era stata risolta prima di presentarsi al placito e in quell’occasione il raggiungimento di un accordo venne semplicemente confermato con un atto scritto che tutelasse il monastero. Tale caso, quindi, consente di osservare come il marchese non fosse in possesso di alcun documento che comprovasse l’assegnazione del beneficio regio, che doveva essere avvenuta oralmente al tempo degli imperatori Guido e Lamberto di Spoleto nell’ultimo decennio del secolo IX. Solo nella primavera del 915, tuttavia, il cenobio riuscì a entrare nuovamente in possesso di quei beni rivolgendosi al tribunale regio di Berengario I. Il particolare secondo cui la curtis era solita essere assegnata come beneficio regio sembra inoltre suggerire un’origine fiscale di quei beni, concessi a Radaldo dai rivali storici di Berengario con i quali il marchese aveva rapporti parentali. È probabile, d’altro canto, che le lamentele da parte dei monaci fossero cominciate subito ma solo dopo molti anni, in una fase in cui Berengario I era ormai rimasto l’unico sovrano a dominare la scena politica del regno e si stava preparando all’incoronazione imperiale, riuscirono a riottenerla con un atto ufficiale a fronte dell’impossibilità evidente da parte di Radaldo di difendere in giudizio le sue ragioni in merito al beneficio conteso.
Conclusioni
I dibattiti che hanno animato in ambito storiografico gli ultimi decenni del secolo scorso hanno aperto la strada a un ripensamento di molti assunti che erano dati per acquisiti. Se la periodizzazione può essere vista per certi aspetti come una trappola fatale, essa al tempo stesso può tuttavia costituire un aiuto a pensare il passato che più che essere ciò che gli uomini hanno fatto o che è accaduto in un tempo precedente si configura come l’immagine creata da coloro che sono venuti più tardi rispetto a un determinato momento storico.67 Appare dunque evidente l’importanza di riflettere sul tema della periodizzazione affinché essa non si riduca all’innalzamento di confini granitici e invalicabili tra le fasi della storia ma che al contrario tenga conto degli elementi di continuità e differenziazione, che segua dunque il fluire delle trasformazioni nel corso del tempo. Tutto ciò tenendo comunque ben presente i limiti intrinseci a tale operazione e riconoscendone tuttavia al tempo stesso l’utilità per il lavoro storico, che forse risiede proprio nel poter mettere in discussione le scansioni temporali rigide e mostrare la porosità dei supposti netti confini. Una data simbolica, d’altro canto, potrebbe essere immaginata proprio come un indicatore che aiuta a far chiarezza, a fissare un punto attorno al quale si percepisce che qualcosa è mutato per tornare più volte a esplorare a fondo e da varie angolazioni i tratti di analogia e differenziazione tra due fasi della storia che per alcuni elementi vengono percepite come distinte. L’indagine può portare a scoprire che per molti aspetti gli eventi legati a una data, rilevante ad esempio per un fatto politico come la conquista franca del regnum Langobardorum o la morte dell’ultimo discendente di Carlo Magno per linea maschile, non comportino stravolgimenti in alcuni ambiti, mentre per altri la realtà che emerge dalle testimonianze scritte e materiali risulta chiaramente mutata. Si tratta dunque di tenere conto il più possibile di tutte le facce del poliedro che emerge dall’indagine per giungere a una comprensione dei fenomeni storici che in ogni caso è difficile immaginare come qualcosa di certo e immutabile poiché nuove sfumature potrebbero contribuire alla ridefinizione del quadro.
Si è potuto dunque osservare come l’indagine di un particolare strumento di relazione come il beneficium, derivato da elementi già presenti nella tradizione giuridica romana della tarda antichità, necessiti di una scansione cronologica parzialmente diversa da quella tradizionalmente proposta. Il beneficio si presenta, infatti, come uno strumento già presente in età longobarda in alcune aree del regno, come la Tuscia, conoscendo comunque una diffusione significativa dopo la conquista franca del 774, con attestazioni che emergono in particolare a partire dai primi decenni del secolo IX. Allo stesso modo il termine fissato per l’indagine all’anno 924 ha consentito di ampliare il campo di osservazione coinvolgendo anche una fase della storia d’Italia che tradizionalmente viene intesa come altra rispetto all’età carolingia. I decenni a cavallo del secolo X paiono, tuttavia, ancora strettamente connessi con quel mondo e