Geschichte und Region/Storia e regione 29/2 (2020). Группа авторов

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cui all’origine del beneficium vi sarebbe stata la concessione di precaria, a cui facevano ricorso i signori fondiari altomedievali nell’assegnazione di grandi proprietà terriere a un usufruttuario o a un possessore.19 Della precaria parlava ad esempio Isidoro di Siviglia nel quinto volume della sua opera, dedicato alle leggi e alla storia, dove classificava il precarium nel diritto delle obbligazioni e lo identificava con l’autorizzazione che il creditore concedeva al debitore che rivolgeva la richiesta, sotto forma di preghiera (preces), di rimanere sulla terra concessa e usufruire delle rendite.20 Si trattava di una forma contrattuale duttile, sviluppata nella tarda antichità, che aveva un carattere vitalizio e che consentiva la creazione di legami sociali ed economici in contesti tra loro molto diversi. Uno degli ambiti prediletti per l’uso di tale contratto era quello ecclesiastico che secondo Kasten giocò un ruolo fondamentale nella riflessione sulla precaria, favorendo la connessione con il concetto di beneficium. Nella Gallia del secolo V, infatti, Salviano di Marsiglia usò il termine precarium in senso religioso descrivendo gli esseri umani come precarii possessores dei doni che Dio concede loro.21 Gli uomini, dunque, figurano come degli usufruttuari a termine dei beni che la divinità elargisce, ma il vero proprietario rimane Dio. Ecco che la concessione si configura come un’opera di bene, un beneficium a favore dell’umanità peccatrice. Il concetto, tuttavia, non venne usato solo nell’ambito della teologia morale per essere impiegato anche nell’organizzazione delle stesse istituzioni ecclesiastiche, soprattutto per ovviare alle problematiche connesse alla proprietà. Fu probabilmente Prospero Tirone d’Aquitania a sostenere per primo, sempre nel secolo V, la necessità di donare i propri beni alla Chiesa e a documentare la donazione con un atto ufficiale per quei chierici che avessero voluto vivere attingendo risorse dal patrimonio ecclesiastico.22 Solo a quel punto i donatori avrebbero potuto ricevere, sotto forma di usufrutto vitalizio, i loro beni che sarebbero stati concessi dunque in beneficium. Posizioni simili vennero assunte, verso la metà del secolo VIII, anche da Crodegango di Metz. Nella sua Regula Canonicorum, redatta per i canonici della sua cattedrale, il vescovo sosteneva infatti la necessità di assegnare in usufrutto ai chierici non benestanti uno stipendium, indicato come beneficium, che sarebbe stato ricavato dal patrimonio ecclesiastico e da lui ritenuto strettamente connesso alla precaria. Così il chierico che fosse entrato a far parte della comunità della cattedrale avrebbe dovuto donare la sua proprietà alla sede episcopale per riceverla poi dal vescovo in usufrutto vitalizio sotto forma di precaria.23 Una concessione che avrebbe impedito al chierico di alienare i beni concessi evitando così di compromettere il patrimonio vescovile. Nel corso del secolo VIII si sarebbe quindi avviato un processo di sovrapposizione tra precaria e beneficium parallelamente a una sempre più precisa definizione delle forme di possesso lecite per gli ecclesiastici. Con i Carolingi si sarebbe poi verificata un’espansione della precaria anche tra i laici e tale forma di concessione si sarebbe trovata a convivere, divenendone in alcuni casi modello, con altre assegnazioni temporanee che i sovrani carolingi e i grandi del regno compivano a vantaggio dei loro seguiti di fideles, tra cui troviamo anche i vassalli ma non in maniera esclusiva.

      Alla luce di tali nuovi approcci procederò dunque nella seconda parte di questo lavoro con l’analisi di alcuni documenti, in parte attinti da corpora documentari di importanti monasteri, che consentono l’osservazione dei vari usi del beneficium nel regno italico di tradizione longobarda. Tali usi non sono confinati unicamente alla sfera vassallatica, ma al tempo stesso non sono nemmeno necessariamente legati alla conquista franca del regno longobardo in quanto, come già si è accennato e come si vedrà dal primo caso proposto, l’istituto del beneficium, già presente nella tradizione giuridica romana, emerge sporadicamente anche in età longobarda. Beneficium, d’altra parte, è un termine che assume varie sfumature a seconda del contesto di impiego, ma la sfumatura originaria di favore non verrà mai meno affiancandosi in alcuni casi alla specifica forma di concessione. Lo studio del beneficio, tuttavia, ha posto il problema di abbandonare una scansione temporale per periodi nettamente distinti, pertanto in tale sede seguirò un andamento cronologico a partire dall’inizio del secolo VIII per affacciarmi al secolo X prendendo come estremo l’anno 924 quando venne assassinato l’imperatore Berengario I, ultimo erede di Carlo Magno, sia pur non in linea diretta, che cinse entrambe le corone d’Italia e dell’Impero. Il primo termine è dettato dalla stessa documentazione in quanto è a partire dal secolo VIII che le fonti scritte iniziano a farsi consistenti dopo la grave penuria che caratterizza i due secoli precedenti. Il secondo, invece, è suggerito da un evento politico come la morte di un sovrano che, sebbene tradizionalmente sia stato visto come uno dei tanti deboli re “nazionali” che sarebbero emersi dalla frammentazione dell’Impero carolingio, di fatto fu la figura dominante nella politica del regno dopo la scomparsa del cugino Carlo III nel gennaio 888. Anche la scelta del 924 come estremo cronologico è certo un atto di interpretazione ma funzionale a concentrare l’indagine, per un tema come quello del beneficium, su un arco temporale definito che consenta di evidenziare al tempo stesso sia come alcune tracce di tale forma di concessione emergano anche prima della conquista franca, sia come il mondo carolingio, in cui l’istituto beneficiario ebbe ampia diffusione, per molti aspetti non terminò bruscamente dal momento che alcuni suoi elementi si protrassero nei decenni successivi all’888 trasformandosi gradualmente nel corso del secolo X.

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