Viaggi di Gulliver nelle lontane regioni. Jonathan Swift

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Viaggi di Gulliver nelle lontane regioni - Jonathan Swift

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non andava bene il mio conto, indi diede alla propria mano tale atteggiamento donde compresi che volea condurmi di lì in istato di prigioniero. Pur fece altri segni, bisogna rendergli questa giustizia, per significarmi che avrei avuto da mangiare e da bere pel mio bisogno, e che sarei stato trattato eccellentemente. Qui pure mi tornò la voglia di provarmi ad infrangere i miei ceppi, ma sentii di nuovo il dolore della mia faccia e delle mie mani piene in parte di pustole, grazie al complimento degli spilli che vi erano stati scoccati, e alcuni de' quali ci rimanevano tuttavia conficcati, ed osservai ad un tempo che il numero de' miei nemici andava crescendo. I miei cenni pertanto furono intesi ad accertarli che mi sarei acconciato in tutto e per tutto ai loro voleri. Dietro tal mia promessa l'hurgo ed il suo seguito partirono da me con civiltà ed ottima grazia.

      Immediatamente dopo, udii un generale grido e ripetutamente esclamate queste parole: Peplom selan; poi mi sentii al fianco sinistro una gran folla di gente, la quale allentò i miei legamenti tanto che fui in istato di voltarmi sul destro e dispormi ad una operazione che la mia vescica piena rendea d'inevitabile necessità: al qual bisogno soddisfeci compiutamente a grande stupore di quella popolazione che, dal primo mio atto, avendo congetturato benissimo che cosa fossi per fare, si aperse immediatamente in due ale a destra e a sinistra per non rimanere sommersa dal torrente che con tanta violenza e strepito sgorgò dal mio corpo.

      Ma io dovea dire come prima di questo incidente, m'avessero spalmate le mani e la faccia con certo unguento piacevole all'odorato, che in pochi minuti mi fece passare tutto il dolore derivato dalle loro frecce. Queste circostanze, unite al ristoro portatomi dai nudrimenti e dalle bevande che mi recarono, il tutto d'una sostanza assai nutritiva, mi disposero al sonno. Dormii circa otto ore, come ne venni assicurato da poi, nè c'era di che stupirne, perchè i medici mandatimi per ordine dell'imperatore, aveano versata una dose di sonnifero nelle botti del vino che io aveva bevuto.

      Sembra che fin dall'istante del mio primo addormentamento su la spiaggia, gli abitanti di que' dintorni, accortisi del prodigioso gigante dormente, ne avessero spedita per espresso la notizia all'imperatore, e che questi in pien consiglio mettesse subito il decreto perchè fossi legato nella maniera che vi ho descritta; la qual fazione seguì nella notte stessa mentre io era immerso nel sonno; sembra pure che nel medesimo tempo ordinasse l'apparecchio delle vettovaglie inviatemi e la fabbricazione di una macchina da trasporto per condurmi alla metropoli.

      Una tal decisione può forse apparire arrischiata e pericolosa al massimo grado, e credo che nessun sovrano dell'Europa, in uguale occasione, la prenderebbe ad esempio. Pure a mio avviso fu una decisione circospetta e generosa oltre ogni dire. Mettete un poco che quegli abitanti si fossero provati, mentre io dormiva, ad ammazzarmi con quelle loro frecce, con quelle loro lancie. Mi sarei certamente svegliato alla prima sensazione di dolore, e questo avrebbe incitata la mia rabbia e le mie forze al segno di rompere, a costo di far male a me stesso, que' legamenti che mi teneano; e sciolto che fossi stato, quegli omettini inabili a resistermi non avrebbero potuto aspettarsi misericordia da me.

      È a sapersi che quel popolo era potente nelle matematiche, ed avea raggiunta una grande perfezione nelle meccaniche, mercè le disposizioni e gl'incoraggiamenti di quel monarca, famoso proteggitore delle scienze e dell'arti. Ha questi al suo comando parecchie macchine su le ruote pel traslocamento d'alberi e d'altri grandi pesi. Spesse volte fa fabbricare le sue navi da guerra, alcune delle quali hanno sin nove piedi di lunghezza, nelle foreste stesse ove abbonda il legname da costruzione, e tali navi, poste su le macchine dianzi accennate, fanno viaggi di trecento, di quattrocento braccia per giugnere al mare. Cinquecento carpentieri ed ingegneri pertanto furono messi in opera per allestire uno de' maggiori carri che avessero. Il corpo di questo carro, alto quattro dita da terra, avea sette piedi di lunghezza e quattro di larghezza, e si movea sopra ventidue ruote. Quel grido Peplom selan che udii prima d'addormentarmi la seconda volta, contrassegnava l'arrivo di questo carro, posto all'ordine, a quanto sembra, in quattro ore di tempo dopo il mio arrivo. La macchina fu portata parallela al mio corpo giacente. Ma la difficoltà principale consistea nel sollevarmi da terra e mettermi steso su questo carro. Vennero alzati a tal uopo ottanta pilastri, alti un piede ciascuno, e gagliardissime funi, della grossezza dello spago degli uffizi di spedizione, furono attaccate con uncini a larghe fasce, di cui gli operai subalterni aveano cinto il mio collo, le mie mani, la mia vita e le mie gambe. Novecento tra i più vigorosi facchini, addetti al dicastero del genio, furono scelti per tirarmi su mediante un apparato di girelle poste all'estremità d'ogni colonna, di modo che in men di tre ore fui levato da terra, portato e disteso e legato stretto sul carro. Tutte queste cose mi vennero raccontate, perchè mentre si faceano, io era immerso nel più profondo sonno per una conseguenza de' narcotici infusi entro il mio vino. Mille e cinquecento de' più grossi cavalli dell'imperatore, ciascuno alto quattro dita e mezzo, vennero adoperati per condurmi alla volta della metropoli che, come ho detto, era lontana di lì un mezzo miglio.

      Quattro ore circa dopo esserci messi in viaggio, mi svegliai per un caso il più ridicolo. Essendo avvenuto che il carro si fermasse un istante per raggiustare alcun che di andato fuor d'ordine in quella compostissima costruzione, due giovani nativi, mossi dalla curiosità di vedere che figura io facessi addormentato, s'arrampicarono tanto che arrivarono ad entrare nel carro; poi, avvicinatisi pian piano alla mia faccia, l'un d'essi, un uficiale della guardia imperiale, introdusse nella mia narice sinistra un buon tratto della sua picca, che facendomi il solletico in quella parte come se fosse stata una paglia, mi promosse un violento starnuto; il che gl'indusse a battersela alla presta per paura di essere veduti. Sol tre settimane dopo, seppi il motivo di questo subitaneo mio svegliamento. Marciammo lentamente tutto il restante di quella giornata, e fermatici la notte, rimasero sino a giorno schierate ai lati del mio carro cinquecento guardie, la metà munite di torce a vento, l'altra metà di archi e di frecce per esser pronte a scaricarle su me se avessi tentato disciogliermi. Nella successiva mattina, al levar del sole ci rimettemmo in cammino, ed era all'incirca il mezzogiorno quando ci trovammo ad una distanza di duecento braccia dalla città. L'imperatore e tutta la sua corte ne vennero incontro, ma i suoi grandi uficiali non vollero comportare in verun modo ch'egli s'avventurasse a salir sul mio corpo.

      Laddove si fermò il carro sorgeva un antico tempio, giudicato il più vasto che vi fosse nell'intera monarchia. Contaminato, alcuni anni addietro, da un esecrabile omicidio, il religioso zelo di que' popoli lo ebbe per profano da quell'istante, onde non servì più che ai bisogni del comune, e tutti i sacri arredi e suppellettili del medesimo vennero trasportati altrove. Entro questo edifizio fu deciso che sarei alloggiato. La porta maggiore che guardava a settentrione, era alta a un dipresso quattro piedi e larga quasi due, onde, benchè un po' a stento, io poteva far passare per essa il mio corpo. A ciascun lato della porta era una finestra non più alta di sei dita da terra. In quella di sinistra il fabbro ferraio di sua maestà fermò novant'una catene, simili a quelle che vediamo ai dì nostri (nel 1726) pendere dagli orologi delle signore in Europa, e quasi altrettanto larghe, le quali catene venivano a cignere la mia gamba sinistra, e ve le fermavano trentasei chiavistelli. Rimpetto a questo tempio, all'altro lato della grande strada maestra, e ad una distanza di venti piedi sorgeva una torre di cinque piedi almeno d'altezza. In questa salì l'imperatore coi primari personaggi della sua corte, per avere il comodo di ben osservarmi; così mi fu detto, perchè io non potei allora avere la fortuna di vedere questi alti personaggi. Fu fatto un computo da cui risultò che cento mila abitanti all'incirca della metropoli ne erano usciti, tutti spinti dalla medesima curiosità; e, a malgrado degli sforzi delle mie guardie, credo non saranno stati meno di diecimila quelli che per più riprese salirono sul mio corpo col mezzo di scale. Fu presta per altro ad uscire una grida che proibiva il far ciò sotto pena di morte. Poichè gli esperti ebbero giudicato cosa impossibile che mi sciogliessi dalle nuove catene, vennero tagliate tutte le cordicelle che mi legavano prima; onde mi trovai in piedi, dominato da un mal umore, di cui non ho mai provato l'eguale in mia vita. Ma non vi so descrivere lo strepito e lo stupore di quella popolazione al vedermi saltare in piedi e camminare; e dico camminare, perchè le catene che legavano la mia gamba sinistra erano lunghe circa due braccia, e mi

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