Il Cielo Di Nadira. Mongiovì Giovanni

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Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni

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dadi e vino… fuori dalla tenda della guardia variaga se la spassano alla grande!» s’intromise un altro, arrivando tutto eccitato e col fiatone.

      Si diressero al luogo interessato, sennonché, una volta giunti presso lo spiazzo della tenda del comando, dovettero desistere da ogni proposito. Conrad se ne stava ancora rimbambito e seguiva i vecchi amici di suo padre senza capire alcunché. Decine e decine di persone, soldati di ogni genere, religiosi e persino alcune donne non ancora del tutto ricomposte lì dove si erano lasciate scoprire, se ne stavano tutte attorno al centro dello spiazzo, intente ad assistere a qualcosa. Regnava il silenzio e l’apprensione era tipica di quando sta per succedere qualcosa di terribile. Pure gli uomini della guardia variaga, coloro che avrebbero dovuto spassarsela, se ne stavano attenti a fissare il centro della scena. Roul perciò si fece largo spostando gli individui davanti a lui; Tancred, Geuffroi e Conrad ne approfittarono per avanzare.

      Dalla tenda di Giorgio Maniace vennero fuori quattro uomini, quattro stratioti54 di Costantinopoli, riconoscibili dall’armatura e dall’aspetto mediterraneo. Tutt’attorno alla scena che stava per concretizzarsi, altri soldati romei55… calabresi, macedoni e pugliesi, si schierano a protezione, temendo la reazione di qualcuno tra la folla.

      A questo punto Tancred rivolse la parola ad un compagno d’armi lì vicino, il quale probabilmente aveva assistito alla scena sin dall’inizio.

      «Amico, che diamine succede qui?»

      E quello, a bassa voce e mettendo una mano sulla bocca:

      «Maniakes56 e Arduin… pare che sia nata una discussione tra loro.»

      «Per cosa?»

      «Parlavano in greco, non ho capito tutto… però…»

      «Però cosa?»

      «Pare che l’alterco sia scoppiato per un cavallo.»

      I carri col bottino erano stati in parte svuotati e degli uomini fidati smistavano la roba secondo la tipologia a cui essa apparteneva. Effettivamente un bellissimo purosangue arabo, nero come la pece e dal pelo lucidissimo, stazionava davanti ai carri. A questo punto i quattro stratioti fecero presto a tirare la bestia verso il luogo da cui erano usciti. Si fecero avanti anche alcuni longobardi57, ma le picche dei soldati a protezione li fecero desistere dall’intervenire.

      Venne allora fuori Giorgio Maniace, con le mani ai fianchi e tutto furioso. Questi col suo occhio buono cominciò a fissare in cagnesco ogni presente. Poi urlò nella sua lingua, ma tutti compresero:

      «Qualcun altro ha intenzione di sfidare lo Strategos58

      Questa domanda introduceva ciò che stava per concretizzarsi.

      I quattro che avevano portato dentro il cavallo adesso tiravano fuori di forza, peggio di come si farebbe con una bestia, Arduino, capo del contingente longobardo. Afferrarono questi per la barba, affinché si assoggettasse alla prossima volontà di Maniace, e lo legarono al pennone posto all’angolo della tenda del comando, quello con su issata la bandiera con l’aquila bicefala di Costantinopoli. Infine Giorgio Maniace strappò una sferza di corde dalle mani di un suo servitore lì accanto e, dopo aver fatto denudare la schiena e il fondoschiena del malcapitato Arduino, lo prese a colpire personalmente. Ovviamente quell’altro non emise suono, duro e testardo com’era.

      Comandare altra gente non è mai stato cosa facile, si rischia di far contento uno e scontento un altro, tuttavia Giorgio Maniace non faceva contento nessuno, ed eccetto la gente del popolo che lo vedeva come il liberatore della cristianità, per il resto lo odiavano tutti.

      Ciò che era accaduto sotto gli occhi dell’intero esercito era qualcosa di incredibile: un capo… un capo delle truppe ausiliarie, era stato umiliato al pari di uno schiavo. Maniace contava sul pezzo più grosso dell’esercito, quello regolare affidato al suo comando diretto, per cui gli era facile far valere le sue pretese. Arduino controllava invece i conterati, uomini armati di scudo e lancia reclutati con la forza in Puglia; è chiaro che, eccetto per qualche fedele nobile longobardo, nessuno l’avrebbe difeso.

      Il nocciolo della questione aveva poi dell’assurdo:

      Per farla breve Arduino si era rifiutato di consegnare quel bellissimo purosangue arabo al suo generale, lo Strategos, ed era nata una discussione in cui nessuno dei due aveva voluto cedere. All’ennesimo rifiuto di Arduino, Maniace aveva deciso che dargli una lezione esemplare avrebbe ammansito la sua indisciplinatezza.

      Tuttavia non sempre la forza risolve le contese, anzi spesso le conseguenze derivate dal suo uso e abuso risultano più spiacevoli della causa per cui si era deciso di attuarla. Ciò che quel gesto scatenò non poteva immaginarlo neppure Maniace, il quale, a dire il vero, spinto da un pessimo carattere, spesso agiva d’impulso e senza badare ai risultati delle sue azioni. Per di più, mentre l’esercito dava importanza alla vittoria sul campo e intendeva spassarsela, lui valutava la riuscita fuga di Abd-Allah un insuccesso. Tutta colpa della flotta che aveva permesso all’emiro saraceno di imbarcarsi al di là dei monti e di raggiungere la capitale Balarm. Chi comandava la marina, il quale avrebbe dovuto fornire supporto alle truppe di Maniace, era Stefano il Calafato, tuttavia l’abilità militare di quest’ultimo non poteva minimamente paragonarsi alla capacità del generale. Stefano comandava la flotta soltanto perché era il cognato dell’Imperatore, e a causa di questa considerazione che non teneva conto del merito, Giorgio Maniace non lo sopportava.

      «Così finisce chi sfida Geórgios Maniákis!» concluse il generale, guardando gli astanti nella loro interezza e stendendo verso di loro il braccio con la sferza.

      La folla a quel punto iniziò a diradarsi, ma era chiaro che la festa fosse finita lì, nella visione della schiena sanguinante di Arduino. Il longobardo perciò venne raccolto dai suoi fedelissimi e riportato nella sua tenda. Non sarebbe finita lì e tutti lo sapevano...

      Roul e i suoi compagni d’armi si ritirarono mestamente verso la sezione di accampamento in cui si erano sistemati; perfino il vino e le donne persero il loro ascendente per quella sera.

      Una volta ritiratisi in disparte, ed era già il tramonto, Roul, appoggiandosi al palo a cui era legato il suo cavallo, esordì:

      «Ciò che abbiamo visto oggi ha dell’assurdo!»

      «Io dico che saremmo dovuti intervenire.» avanzò Tancred.

      «Noi rispondiamo a Guaimar di Salerno, non ad Arduin.» rispose Roul.

      «Anche Arduin risponde a Guaimar. Ci ha assoldati lo stesso signore.»

      «Allora che gli ristabilisca l’onore il suo signore! Non è anche Guaimar un longobardo?» fece notare Geuffroi, d’accordo con Roul.

      «Non è questione di sangue o di fratellanza, è questione che nessun nobile, per giunta di buona stirpe, sia meritevole di subire quel trattamento. Non saremmo intervenuti se al posto di Arduin ci fosse stato Willaume de Hauteville?»

      «Willaume gli avrebbe strappato il cuore con un morso!» esclamò Roul.

      «Ma Willaume si guarda bene dal contraddire quel maledetto cane rabbioso di un macedone!» affermò qualcuno… bensì non era chiaro chi avesse parlato.

      Il

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