Il Cielo Di Nadira. Mongiovì Giovanni
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Читать онлайн книгу Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni страница 26
«Tancred Lunga Chioma, un giorno mi spiegherete perché vi chiamano così.» rispose Willaume, ovvero Guglielmo d’Hauteville.
«Lunga Chioma era mio nonno… io ho solo ereditato il nome.»
Poi guardò il più grosso fra tutti e subito dopo Conrad lì accanto.
«Roul Pugno Duro, è onorevole quello che fate per questo fanciullo.»
«Willaume, qualcosa più forte del sangue mi lega a mio fratello Rabel.»
«Ciò dimostra che dietro quell’ascia c'è un cuore…»
Dunque riprese fiato e disse:
«Ad ogni modo voglio che sappiate che provengo dalle tende della guardia variaga… e la cosa non è piaciuta neppure ad Harald.»
«Credo che la cosa non sia piaciuta a nessuno. Non si può umiliare un capitano a quel modo!» ribadì Tancred.
«Sono sicuro che se fossi stato io al posto di Arduin voi non sareste rimasti a guardare.»
«Puoi dirlo forte, Willaume!» sostenne Geuffroi.
«Ma sarebbe stato un suicidio! Pure Arduin oggi lo sapeva.»
«Per Arduin sarà un suicidio anche se interverrà domani… o dopodomani… o fra un mese.» rafforzò un altro appena giunto.
Si trattava di Drogone, per tutti Dreu, fratello minore di Guglielmo. Nella penombra del tramonto, poiché dava le spalle alla luce del crepuscolo, lo riconobbero immediatamente per via del simbolo della casata dei nobili normanni del basso corso della Senna cucito sulla tunica; lo seguivano almeno in cinquanta e la cosa cominciava a sembrare il preludio di una rivolta.
«Già, i conterati di Arduin non sono buoni neppure come concime per il campo una volta morti.» rispose Guglielmo.
«Ma per certo Guaimar non se ne starà a guardare quando la notizia arriverà fino a Salerno. Sono sicuro che ciò che deciderà per Arduin deciderà anche per noi. E allora Maniakes non dovrà vedersela solo con i conterati di Arduin e con i suoi pochi fedelissimi, bensì pure con il temuto contingente normanno… e Dio solo sa quanto siamo temuti!» spiegò Drogone.
«E la guardia variaga? I guardaspalle personali dell’Imperatore Michele da che parte staranno?» chiese Geuffroi.
«Harald Hardrada e i suoi uomini non sono molto diversi da noi e dalle ragioni che ci spingono alla guerra. E non lo dico solo perché condividiamo gli stessi natali tra le lande del nord, lo dico perché li ho sentiti parlare. Dio mi punisca se sbaglio! Se Harald sentirà minacciato il suo compenso, Maniakes dovrà vedersela anche con loro.» espose Guglielmo.
«Cosa dobbiamo fare quindi?» chiese confuso Geuffroi.
«Nulla per il momento. Maniakes sarà già a conoscenza di questa nostra assemblea improvvisata - i suoi informatori sono dappertutto tra l’esercito, e anche tra i nostri - e per certo starà valutando la peggiore delle ipotesi, ovvero il boicottaggio di questa guerra da parte di tutti i contingenti ausiliari. Attendiamo con cautela quello che succede. Aspettiamo di vedere la reazione di Arduin. Tuttavia non possiamo rischiare di essere presi alla sprovvista da quella volpe greca… perciò, fratelli, non spogliatevi dell’armatura e restate sempre uniti tra voi. Lasciate perdere il vino per questa notte, e all’otre vi si attacchi soltanto chi barcolla più da sobrio che da ubriaco. Non scopritevi delle vostre vesti per andare a donne. Dormite a turni e restate sempre aggiornati con le mie disposizioni.» espose le sue direttive Guglielmo, ma per come parlava loro sembrava quasi un consiglio che si dà tra amici.
Poi riprese e disse:
«Questa notte sarà una lunga notte, ma non violeremo le regole d’ingaggio fin quando ci verrà assicurato lo stesso rispetto dall’altro lato. Qualcuno di noi i romei li ha già combattuti in passato… sa di cosa sto parlando quando dico che non bisogna dare niente per scontato, in pace come in guerra. Ognuno alla sua tenda, fratelli, ma non dormite profondamente!»
L’assemblea improvvisata, così come era stata definita da Guglielmo, si sciolse dopo le sue parole. Sarebbe stata una notte lunga, una di quelle che porta decisioni, una di quelle insonne per guerrieri sempre pronti a tutti. Ognuno afferrò la sua arma da guerra e la pose accanto al suo cuscino, oltre al consueto pugnale nascosto tra le vesti.
In tutto questo Conrad sembrava essere il più preoccupato, e non perché un’arma ancora non la possedeva, e nemmeno perché alla sua giovane età tutto sembra più grande e pauroso, piuttosto perché temeva di dover partire di corsa senza poter salutare per l’ultima volta suo padre.
Capitolo 13
Inverno 1060 (452 dall’egira), dentro le mura di Qasr Yanna
Erano passati appena un giorno e una notte da che Mohammed ibn al-Thumna aveva devastato il Rabaḍ e rapito Nadira. I messi di Ali ibn al-Ḥawwās erano scesi dal monte per verificare la natura di quegli incendi avvistati durante il buio notturno, ma non erano stati di nessuna utilità; né lo sarebbero stati i dieci uomini del Qā’id che erano partiti subito dopo alla ricerca di Nadira e dei suoi rapitori.
Seppelliti quei poveri dodici uccisi a fil di spada dai tagliagole del Qā’id di Catania, soprattutto uomini di vedetta e di guardia, tutta la popolazione cominciò a fare i bagagli in preda alla psicosi generale. Una lunga processione di uomini, donne e bambini, ma anche di bestie e carretti trainati a mano o con i muli, saliva verso le mura di Qasr Yanna, lì dove avrebbero potuto trovare la protezione che al Rabaḍ era mancata. Giunti oltre le mura cominciarono a sistemarsi dove meglio potevano: chi aveva un parente gli richiedeva asilo in casa, chi non aveva nessuno si sistemava al confine delle abitazioni, costruendo ripari di fortuna. Pure Alfeo seguì la massa e preferì lasciare la zappa per trovare rifugio a Qasr Yanna.
Corrado, debilitato e non del tutto ripreso, affrontava gli strascichi della febbre. Adesso, persuaso da Apollonia, aveva accantonato il suo desiderio di vendetta per dare la priorità a tutto ciò che c'era da fare per la nuova sistemazione. Alfeo e i suoi figli, al pari di abili beduini, montavano le tende accanto agli orti coltivati dentro le mura e dirimpetto ad uno dei famosi giardini di Qasr Yanna. Fu proprio qui che nel pomeriggio Corrado ricevette una visita.
Umar si fece avanti tutto borioso e prepotente, e quando si avvicinò alla tenda dei cristiani del Rabaḍ ne demolì una parte per accedervi senza preoccuparsi di chiedere permesso.
«Corrado, vieni fuori!» urlò.
L’altro se ne stava intento ad accendere il fuoco, mentre la famiglia lo circondava in attesa di poter scaldare finalmente le mani gelate.
Corrado alzò gli occhi, lo guardò e con calma rispose:
«Il tempo che finisco col fuoco.»
«Vieni fuori... subito!» ordinò di nuovo Umar, questa volta tenendosi la testa lì dove due giorni prima era stato colpito.
«Aspettami ai giardini.»
Umar perciò se ne andò furioso.
«Cosa