Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti. Italo Svevo
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Ad Annetta non rimaneva che l’aria di superiorità, la parola più franca quindi e che ancora talvolta sonava imperiosa. Realmente questa superiorità non sussisteva più e più visibile si manifestava la differenza nel suo contegno quando si trovavano dinanzi a terzi; fra tutti, egli restava sempre la persona di cui ella aveva maggior cura. Persino nelle discussioni che pur ancora avvenivano sul romanzo, egli, e per quanto poco gl’importasse, riportava sempre la vittoria.
Non sapeva se per questi mutamenti potesse nutrire grandi lusinghe, ma grande lusinga non gli sembrava sperare di portar la loro relazione al punto a cui già si era trovata, ma questa volta col consenso esplicito di Annetta. Egli rimandava da un giorno all’altro quel passo che prima o poi doveva fare e che gli avrebbe fatto conoscere con piena sicurezza i risultati ottenuti, ma otto giorni più tardi neppure pensava a fare tale passo perché troppo bene si sentiva come era. Egli aveva sperato di udire delle parole di amore, ma ora sarebbe stato poco abile a chiederle. Sarebbe equivaluto a retrocedere.
Erano stati per delle ore intere uno accanto all’altra non parlando mai di amore e sempre ambidue con la dolcezza nella voce e nel modo come se ne parlassero. Anch’ella interrompeva delle frasi incominciate perché poco le importava di compierle ed egli non aveva curiosità di udirle perché comprendeva ch’ella veramente nulla aveva da dirgli. Finalmente ella si trovava nella condizione d’animo in cui tante volte egli s’era trovato. Amava o almeno desiderava.
Di spesso, molto di spesso dacché era intervenuta quale consigliera, Francesca assisteva alle loro sedute ed era causa non piccola che i due amanti rimanessero stazionarii.
Nella felicità egli volle dimostrarsi riconoscente a colei cui egli credeva di andar debitore della sua felicità. Dimenticò il modo con cui il consiglio gli era stato dato e con quella franchezza che gli era propria quando credeva di fare un atto doveroso disse a Francesca stringendole la mano:
— Grazie, grazie.
— Di che? — chiese Francesca con isdegno. Poi quando spaventato egli si ritirava ritenendo che Francesca fosse sdegnata perché con quel ringraziamento si vedeva accusata di una complicità che non voleva ammettere, violentemente ella scoppiò nelle parole:
— Se tubano come colombi, non ne ho mica io la colpa.
Ancora sempre e di nuovo ella era malcontenta di lui e sembrava ch’egli non avesse perfettamente inteso il suo consiglio. Egli se ne adirò perché per il momento non si sentiva disposto a tendere dei tranelli ad Annetta. Andava dicendosi che Francesca s’ingannava credendo che per compiacerla egli avrebbe osato delle novità quando si sentiva tanto bene come era. In cosa di tanta importanza voleva avere il suo parere proprio.
Il suo proprio parere? Più tardi non avrebbe osato di asserire che le cose fossero camminate a quel modo per suo volere.
Il fatto si è che, calcolata per commovere Annetta, la sua freddezza aveva apportato altrettanto danno a lui. I suoi sensi erano stati agitati dalle promesse mai mantenute ripetute ad ogni loro convegno. Prima nel tentativo di rubare una carezza o un bacio, la sua mente era stata conservata in una continua attività verso una meta e, questa meta raggiunta, i suoi sensi si erano calmati nella soddisfazione che, per quanto relativa, era però quella ch’essi avevano cercata. Ora invece gli mancava ogni attività e ogni soddisfazione ed egli nell’inerzia analizzava i propri desiderî mai soddisfatti né calmati e li rendeva più acuti. Ma anche per altre cause, naturalmente, erano divenuti più forti. Egli credeva ora che Annetta sentisse i suoi medesimi desiderî e quando pensava che acciocché questi due desiderî s’incontrassero bastasse il suo volere, il suo ardire, egli si sentiva rimescolare il sangue. L’idea della vicinanza di tanta felicità gli dava le vertigini. I suoi sogni prendevano sempre più l’aspetto della realtà. Conosceva o credeva di conoscere il suono di voce o lo sguardo con cui Annetta lo avrebbe amato. Una sera con gesto selvaggio volle attrarla a sé. Con un grido di spavento ella sfuggì all’abbraccio. Perché l’improvviso spavento? Ella sapeva prima di lui stesso ciò ch’egli voleva?
Quando era presente Francesca, Alfonso parlava molto e di cose che non aveva mai né amate né odiate. Comprendeva che Annetta seguiva il suono della sua voce e che con tutta vivacità, quella vivacità di cui Macario la credeva incapace, ella sentiva e viveva con lui. Questa sensazione ricordava, non le proprie parole, non la cosa di cui aveva parlato.
Eppure se anche agì in quell’esaltazione morbosa che per giornate intere lo faceva vivere in un sogno continuato, pure ebbe una freddezza di calcolo da persona che vuole sapendolo.
Aveva atteso con impazienza che Francesca si assentasse, ma non gli bastava che lasciasse la biblioteca, bisognava che uscisse dalla casa. Era l’unica persona che potesse disturbarlo e voleva assicurarsene. S’era domato per più di una sera e aveva osservato, roso dall’impazienza, ogni movimento di Francesca che usciva di spesso ma per rientrare subito. Era costei che aveva fatto tutto, così egli pensò dopo. Giacché egli non sapeva essere freddo come ella aveva consigliato, ella lo aveva obbligato a certi limiti con la sua continua presenza e il contegno che così gli aveva imposto era già bastato a condurlo dove ella aveva voluto.
Una sera capitò inaspettato. Avevano stabilito di non vedersi per quel giorno, ma dopo lunga lotta egli non aveva saputo rimanere lontano da quella casa. Le due donne avevano detto di voler uscire se il tempo fosse stato bello e da poche ore s’era offuscato; era quindi probabile che avevano dovuto rinunziare alla passeggiata.
Sulle scale incontrò Francesca che usciva sola. Ella lo salutò con maggior cortesia del solito e, guardandolo negli occhi con quel suo sguardo scrutatore quando si degnava di fermarsi sulle cose, gli disse ch’era sorpresa di vederlo e con aria di franchezza gli chiese se Annetta, quando la sera prima li aveva lasciati soli, gli avesse detto di venire. L’interrogazione inaspettata imbarazzò Alfonso e non seppe cavarsela meglio che fingendo di non rammentarsi che con Annetta fosse stato stabilito di non vedersi per quel giorno. Così egli aveva fatto credere che Annetta ad insaputa di Francesca gli avesse dato un appuntamento.
— Annetta l’attende in biblioteca, — disse Francesca più seccamente dacché aveva saputo quello che aveva ricercato, e continuò a scendere. — Fra mezz’ora sarò di ritorno, — disse ancora.
Salendo, ad Alfonso tremavano le gambe. Avrebbe avuto l’energia di fare in mezz’ora quello che s’era proposto? L’azione in sé l’agitava meno che il vederla costretta in sì breve tempo.
— Finalmente soli, una volta! — disse egli, e non appena entrato l’attirò a sé, ma senza violenza, come se avesse voluto salutarla, stringerle la mano.
Ella poggiò la testa sul suo petto e con rimprovero dolce per la posizione da cui lo faceva, ma con serietà, disse con voce troppo soda e tranquilla per essere naturale: — Eravamo pur soli recentemente.
— Mi scusi! — balbettò Alfonso. Egli non voleva commoversi di più e la baciava dolcemente sugli occhi, calcolando fin dove avrebbe potuto condurlo quell’abbandono di Annetta.
La biblioteca non era illuminata che dalla lampada a petrolio sul tavolo e la sua luce, chiusa dal paralume, si proiettava tutta all’ingiù, in una larga macchia sul tavolo verde e in un fascio di luce che sfuggiva verso il pavimento. Si amava bene nell’austerità di quella stanza, in mezzo agli armadi neri e semplici e quella serietà dei libri che mostravano le schiene larghe con le cifre d’oro. Era una contraddizione che aguzzava